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Multinazionali, globalizzazione e agenda politica

Le multinazionali sono il soggetto che ha guadagnato di più con la globalizzazione ... alla faccia di quello che propagandano i giornali "globalisti" (neologismo scelto in contrasto ai sostantivi populisti" o "sovranisti", inflazionati e usati quasi sempre a sproposito e con secondi fini)

Durante i lunghi viaggi in aereo c'è chi guarda un film, chi lavora, chi chiacchiera ammorbando i vicini e chi coglie l'attimo per leggere libri lasciati sul comodino troppo a lungo.
Di uno di questi libri ne scrivo oggi sia perché voglio fissare alcune delle informazioni catturate in questo agile libello, sia perché la ricerca scientifica è da sempre globale, oggettivamente, e allo stesso tempo locale. Globale per la diffusione delle idee e la collaborazione internazionale tra ricercatori, locale perché è indubbio che senza recinti protetti entro cui "allevare" e formare i propri ricercatori senza che vengano travolti da una competizione impossibile per la ricerca fondi, i centri di ricerca nazionali si tramuterebbero in dependance di multinazionali della ricerca che delocalizzerebbero sempre e solo dove più conveniente e con i ricercatori più "flessibili", oppure diventerebbero meri luoghi di insegnamento per chi vorrà poi andarsene.

Torniamo al libro.
Le multinazionali sono il soggetto che ha guadagnato di più con la globalizzazione in termini economici, di mercati e di libertà di azione. Hanno sempre esercitato un potere, questo è indubbio, ma probabilmente mai come oggi questo potere è indipendente dai governi degli stati di origine.
In questo inizio secolo in cui è cambiato il rapporto tra l’Est e l’Ovest e il Nord e il Sud (il 2001 è la data cruciale con l'entrata della Cina nel WTO, alias il dumping fatto a sistema) le multinazionali non solo sono cresciute, sono cambiate. Da multinazionali con una bandiera (americana, inglese, tedesca) sono diventate transnazionali e quella bandiera si è scolorita. Avendo interessi globali, sempre meno sono disposte a veder influenzare i loro affari dalle posizioni dei governi del Paese natio. La potenza economica le ha rese poteri a sé stanti, protagonisti della politica internazionale alla pari degli Stati. Non sono più rappresentate dalle associazioni di categoria, non sono più campioni nazionali, non sono più allineate e sempre meno possono essere neutrali. Hanno proprie agende di politica internazionale, che il moltiplicarsi dei rischi e dei protagonisti rende assai complesse.
Image credit: Jonathan McIntosh via wikipedia
Quando una azienda ha la capacità di decidere la politica di uno stato e condizionare l'opinione pubblica attraverso sempre disponibili PR nei media, si passa in una nuova era. Forse i tanti film distopici sulle mega-Corp del futuro non erano così fantasiosi. 

I due autori non scrivono per demonizzare il fenomeno ma al contrario spiegano (e il risultato è in un certo senso inquietante) perché le multinazionali sono arrivate a dovere agire attivamente per dettare la politica nazionale. Creare un ecosistema adatto alle proprie esigenze è fisiologico per queste aziende. E i due autori lo sanno bene: Vittorio Cino è direttore "Comunicazione e Relazioni Istituzionali" di Coca-Cola Italia; Andrea Fontana è un sociologo della comunicazione interessato al fenomeno dei brand. Del resto se guardate alcuni spot recenti della Coca-Cola vedrete bene quanti siano i sottintesi messaggi politici mentre, apparentemente, pubblicizzano una bibita.
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Se in occidente si è passati da brand nazionali (con un epicentro ben evidente) a entità che pongono sedi in paradisi fiscali e delocalizzano la produzione in paesi a basso costo, creando così una frattura epocale con il vecchio "epicentro" (il paese di origine) e lavorando per se stesse (fenomeno in parte rientrato dopo le minacce fiscali di Trump) dall'altra parte del mondo (Cina) il fenomeno segue una propria strada: aziende in tutto e per tutto cinesi (e con forte controllo governativo) che operano su scala globale in modo aggressivo ma con interessi nazionali. 
Nota. Un dato poco noto è che qualunque azienda che voglia operare (come produzione o distribuzione) in Cina è obbligata alla condivisione del proprio know-how. Un mercato a porte stagne e a drenaggio costante di informazioni che spiega perché molte aziende "piccole" siano passate in fretta dall'euforia del produrre a basso costo al vedersi scalzate dal mercato da nuovi competitori "protetti" protetti dalle leggi locali.
Il panorama più realistico per l'immediato futuro è che l'Europa diventi un semplice mercato di conquista di multinazionali che lavorano per sé stesse o per il governo cinese e che avranno ogni interesse ad abbattere ogni barriera che limiti la penetrazione del mercato. Per farlo foraggeranno politici e giornalisti con la diffusione di mantra "globalista". Del resto basta osservare il fenomeno Starbucks a Milano per capire il potere persuasivo sui consumatori e politici cittadini di una azienda che ha senso in USA e in altri paesi ma è di fatto incomprensibile nel "paese dell'espresso".

***

Se pensate che il meglio possa emergere senza protezioni, guardate cosa è successo al campionato italiano di calcio o di basket, dove meno del 3% di chi gioca nella Primavera calcherà i campi di Serie A. E non perché non adatti ma perché vengono loro preferiti giocatori di altro appeal, impedendo al giovane di giocare e quindi di "crescere". Passando dallo sport alla scienza, se fino alla fine del secolo avevamo in Italia molte Pharma, oggi siamo nel deserto assoluto. Alcuni potrebbero consolarsi pensando alle "riserve naturali" che vanno sotto il nome di CNR e università dove si è avverato il miracolo di potere disporre di doti divinatorie riuscendo ad indovinare il futuro dei concorsi ... semplicemente guardando il cognome dei partecipanti", Entrambi i sistemi (nessuna regola e protezione totale) sono degenerazioni che portano frutti solo alle solite minoranze di "chi conosce". 

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