Ritorno su un tema già trattato in passato, cioè quanto l'etichetta "biologico" associata al cibo sia un una bandiera qualitativa o una moda spesso priva di sostanza che viene fatta pagare salata al consumatore. Del resto il fenomeno è tutto intorno a noi e, talvolta, va a braccetto con altre mode salutiste come la ricerca del cibo senza glutine (che a cascata provoca danni alimentari - solo i celiaci hanno la necessità di evitare il glutine - ed economici, a causa dell'aumento dei prezzi).
(articolo precedente sul tema --> "cibo biologico, imparare a leggere dall'etichetta")
Rimanendo sul tema del biologico, riporto di seguito il contenuto - accorciato ed adattato per un pubblico italiano - di un articolo pubblicato pochi giorni fa sul Los Angeles Times a firma di David Lazarus. Eccone un estratto:
(...) Di fianco a tanti consumatori che si fanno tentare dall'etichetta "Bio", molti altri cominciano a chiedersi se il mark-up [il costo aggiuntivo rispetto al prezzo base. NdB] di questi prodotti sia ragionevole rispetto alle loro caratteristiche reali. Secondo alcuni recenti sondaggi solo il 40% degli appartenenti alla 'generazione-X' [NdB i quarantenni di oggi] afferma di credere che un prodotto venduto come Bio- sia veramente tale e il 50% ritiene che tale etichetta serva soltanto come scusa per vendere il prodotto (...). La domanda chiave che tutti si pongono è se veramente l'etichetta Bio- sia sinonimo di un prodotto migliore da un punto di vista nutrizionale, un indice di un minore impatto ambientale (e se si quanto) o nessuno dei due. I numeri indicano chiaramente che l'unica cosa certa è il prezzo: in media un prodotto Bio- costa il 47% in più (con punte che arrivano al 300%).In linea generale i consumatori si aspettano che i prodotti Bio- siano a basso impatto ambientale, non trattati con pesticidi o antibiotici. La maggior parte degli acquirenti ritiene che il mark-up sia legato alla più difficile produzione (o alla minore resa).
[NdB. Nessuno vede il controsenso tra la necessità attuale di ottimizzare la produzione in modo da minimizzare l'impatto sull'ambiente e invece usare poco e male la terra favorendo così la ricerca di nuove aree coltivabili, che spesso equivale a disboscare?]E se invece il maggior prezzo non fosse altro che il risultato di una banalissima legge di mercato, dove un prodotto scarso e una domanda in crescita genera in automatico un aumento dei prezzi, che solo marginalmente hanno quindi a che vedere con le difficoltà produttive? Aggiungiamo a questo elemento un altro punto chiave ben noto a chi si occupa di psicologia dei consumi, cioè il traino intrinsecamente associato ai prodotti "ad alto valore etico" motivato dalla consapevolezza di avere pagato qualcosa in più per agire in prima persona nel miglioramento. La domanda importante è allora capire se veramente questo surplus di spesa si traduce in un miglioramento per l'acquirente o solo per chi vende. Uno studio della Mayo Clinic suggerisce che sembra vera solo la seconda ipotesi: non ci sono differenze sostanziali da un punto di vista nutritivo tra Bio e convenzionale".
(...) da un punto di vista normativo le leggi USA affermano che un prodotto agricolo può essere chiamato biologico (NdB. 'Organic' nella versione originale) solo se non sono stati utilizzati pesticidi, prodotti di sintesi o organismi geneticamente modificati. Nel caso di un prodotto animale, questo deve essere stato allevato in ambiente naturale, nutrito con cibo al 100% biologico e mai trattato con ormoni o antibiotici. Il discorso si complica un poco quando si parla di cibo confezionato: se l'etichetta dice "100%-organic" allora vale il discorso di cui sopra per gli ingredienti; se l'etichetta dice solo "biologico", allora il 5% del prodotto può non essere tale; una etichetta che dice che il prodotto è "fatto con ingredienti organic", indica che almeno il 70% degli ingredienti è tale. Quando si arriva a etichette come "cibo naturale" allora si entra nella nebbia totale perché non c'è alcuna norma in merito. Ad esempio lo zucchero è naturale ma da qui a dire che il suo consumo sia salutare ce ne corre... .
(...) Liz Applegate, direttrice del dipartimento di nutrizione sportiva alla università di California a Davis è salomonica: "per quanto riguarda gli alimenti biologici il mio consiglio è di comprare biologico quando il prezzo è abbordabile. Il che è un discorso che può avere senso per un utente singolo ma non per una famiglia, dove l'aggravio di costo sarebbe poco ragionevole. Molto più intelligente è mangiare molta più frutta e verdura classica, dopo averla pulita adeguatamente. Questo da solo avrà un impatto positivo sia sulla nostra salute che sulla sostenibilità ambientale".
Altro interessante articolo
su Time del 2010
****
Sullo "scandalo dei prezzi"gonfiati dai rivenditori consiglio la lettura di un recente articolo pubblicato sull'Huffington Post "Whole Foods Co-CEOs Admit To Overcharging Customers".(articolo precedente sul tema --> "Mangiare organico non abbassa il rischio cancro" )
Nessun commento:
Posta un commento