CC

Licenza Creative Commons
Questo opera di above the cloud è concesso sotto la Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Italia.
Based on a work at scienceabovetheclouds.blogspot.com.

The Copyright Laws of the United States recognizes a “fair use” of copyrighted content. Section 107 of the U.S. Copyright Act states: “Notwithstanding the provisions of sections 106 and 106A, the fair use of a copyrighted work (...) for purposes such as criticism, comment, news reporting, teaching, scholarship, or research, is not an infringement of copyright.”
Any image or video posted is used according to the fair use policy
Ogni news è tratta da articoli peer reviewed ed è contestualizzata e collegata a fonti di approfondimento. Ben difficilmente troverete quindi notizie il cui contenuto sia datato.
QUALUNQUE link in questa pagina rimanda a siti sicuri!! SEMPRE.
Volete aiutare questo blog? Cliccate sugli annnunci/prodotti Amazon (se non li vedete, disattivate l'Adblocker mettendo questo sito nella whitelist. NON ci sono pop up o script strani, SOLO Amazon). Visibili in modalità desktop! Se poi decidete di comprare libri o servizi da Amazon, meglio ;-)
Dimenticavo. Questo blog NON contiene olio di palma (è così di moda specificarlo per ogni cosa...)

Amnesia infantile. Perché non ricordiamo nulla della prima infanzia?

Perché non ricordiamo nulla della nostra prima infanzia?

Sebbene i primi anni di vita siano un continuo processo di apprendimento e memorizzazione, tali eventi scivolano nell’oblio tanto che di questa fase gli adulti ricordano eventi (e solo a sprazzi) avvenuti dopo i 4 anni. Un fenomeno noto amnesia infantile. Circa le cause del fenomeno del non conservare memoria di queste esperienze, il consensus è che l’ippocampo, la parte del cervello responsabile della conservazione dei ricordi, si sviluppa tardivamente e raggiunge la maturità solo durante l’adolescenza. Una nuova ricerca pubblicata su Science contraddice in parte questo assunto, conclusione ottenuta dopo avere confrontato le risposte cerebrali di bambini sotto i 2 anni alla visione di immagini, alcune delle quali mostrate più volte. Tanto più l'ippocampo del bambino risultava attivo quando vedeva un'immagine la prima volta, tanto più era probabile che riconoscesse l’immagine quando ripresentata. Una osservazione che se da una parte dimostra che nella prima infanzia i processi mnemonici sono attivi, dall’altra pone il quesito sul perché (e quando) queste memorie vengano cancellate.

Punto critico affrontato dai ricercatori trovare un metodo solido per testare la presenza di ricordi episodici in soggetti che non possono dire “ho già visto questa immagine” (un volto, oggetto o scena). Scelta ricaduta come metodo sull’innocua e affidabile risonanza magnetica funzionale (fMRI) e come procedura sul mostrare ai bambini una serie di immagini mai viste seguite poi da una serie di due immagini appaiate di cui una poteva essere già stata mostrata. Quando i pargoli si trovavano di fronte a qualcosa che avevano già visto, la reazione era di fissarla per più tempo rispetto alla immagine adiacente nuova (un chiaro indizio del riconoscimento di qualcosa di familiare in atto).
Il campione testato è di 26 bambini tra i 10 e 24 mesi
Un momento della preparazione dell'infante al test mnemonico
(credit: YaleNews)
L’area del cervello che si “illuminava” durante il ricordo è quella dell’ippocampo posteriore, ben nota per la fissazione delle memorie e sede negli adulti della memoria episodica; maggiore l’attività nell'ippocampo quando un neonato guardava una nuova immagine, e più a lungo la (ri)fissava quando riappariva durante la presentazione. Sebbene i risultati siano stati confermati su tutto il campione, i risultati più “forti” si sono avuti nei bambini con più di 12 mesi (metà del gruppo campione), dato che coincide con una maggior sviluppo dell’ippocampo.
In verde l'ippocampo (da sinistra a destra la parte anteriore/posteriore)
Credit: Treccani
Dati ottenuti in precedenza dallo stesso team di ricercatori indicavano che l'ippocampo di neonati di appena tre mesi mostrava un diverso tipo di memoria chiamato "apprendimento statistico". Mentre la memoria episodica si occupa di eventi specifici, l'apprendimento statistico riguarda l'estrazione di modelli attraverso gli eventi (ad esempio non il ristorante in cui si va a mangiare ma come appare un ristorante per essere catalogato come tale). Questi due tipi di memoria utilizzano percorsi neuronali diversi nell'ippocampo. Studi condotti sugli animali hanno dimostrato che il percorso di apprendimento statistico, che si trova nella parte più anteriore dell'ippocampo si sviluppa prima di quello della memoria episodica. Ecco il perché della maggiore forza dei risultati prima descritti nei bambini da 12 mesi in su. Nei neonati serve infatti altro: l’apprendimento statistico consiste nell'estrarre la struttura del mondo che ci circonda, fase fondamentale per lo sviluppo del linguaggio, della vista, dei concetti etc. 
L’importanza di questo studio è che dimostra come i ricordi episodici vengano codificati dall'ippocampo prima di quanto finora ipotizzato, molto prima dei primi ricordi che possiamo ricordare da adulti.

Quindi, cosa succede a questi ricordi?
Diverse le possibilità proposte dai ricercatori. Una è che i ricordi potrebbero non essere convertiti in memoria a lungo termine e quindi “persi”. Un'altra, preferita dagli autori dell’articolo, è che i ricordi permangano a lungo dopo la codifica e semplicemente non possiamo accedervi. 
Sono in corso dei test per verificare se infanti e bambini piccoli riescano a ricordare video casalinghi ripresi dalla loro prospettiva di neonati (più piccoli), con risultati pilota provvisori che mostrano che questi ricordi potrebbero persistere fino all'età prescolare prima di svanire.

Paradigm for Memory Testing in Infants
(credit: The Scientist)

Fonte
- Hippocampal encoding of memories in human infants
TS Yates et al, (2025) Science 387(6740) pp. 1316-1320

The ubiquity of episodic-like memory during infancy
L. Behm et al, (2025) Trends in Cognitive Sciences 


***
Per quanto possa sembrare scontato, il modo migliore per sviluppare la memoria e le capacità dei bambini è dare loro giochi manuali invece di tablet et similia. Un classico sempre verde il gioco della Ravensburger 
Immagine e link da Amazon


Una bolla sferica nella Via Lattea

Cosa potrebbe essere quell’area dello spazio che appare così perfettamente sferica tale da essere stata stata chiamata Teleios (“perfezione”)? 
(Filipović et al., arXiv, 2025)
Secondo un articolo apparso su arXiv, si tratterebbe del risultato di una particolare supernova che ha spazzato via in modo simmetrico tutto il materiale circostante.
La scoperta è stata fatta mediante il radiotelescopio Askap (Australian Square Kilometre Array Pathfinder) che annovera tra le precedenti scoperte gli Orcs (Odd Radio Circles di cui ho scritto QUI). Durante lo studio i ricercatori si sono accorti di una debole luminosità (a lunghezze d’onda lunghe quali le onde radio) associata che faceva pensare ai resti di una supernova di tipo Ia. Ricordo che queste supernova si verificano nei sistemi binari costituiti da una nana bianca e altra stella (in genere più grande e meno densa) da cui la nana bianca cattura materia fino a raggiungere la soglia di massa che innesca la supernova.
Quanto dista da noi? Difficile dirlo con certezza ma si stimano distanze 7-25 mila anni luce, una differenza che ovviamente ha implicazioni sulla dimensione e l’età di questa bolla che sarebbe di 46 o 157 anni luce e 1000 o 10.000 anni, rispettivamente. 
Uno dei problemi nella sua caratterizzazione è data dalla mancata rilevazione di raggi X che invece sono prodotti dalla supernove Ia. Una assenza che ne cambia la classificazione da Ia a Iax, che si differenzia per il fatto che la nana bianca presente non sia andata completamente distrutta (generando una stella di neutroni o un buco nero) lasciando come residuo una stella “zombie”. Se questo fosse il caso, la bolla si troverebbe a 3 mila anni luce da noi e avrebbe un diametro di 11 anni luce.

La stranezza della perfetta sfericità è considerato un fenomeno raro ma non impossibile e sarebbe dovuto al fatto che è avvenuta in una regione di spazio con poco gas e polvere interstellare.


Fonte
Teleios (G305.4-2.2), the mystery of a perfectly shaped new Galactic supernova remnant
Miroslav D. Filipovic et al, (2025) arXiv:2505.04041 [astro-ph.HE]

***
Libri e articoli per chi ama l'astronomia (link Amazon)
Libro del Nobel Kip Thorne (ben noto anche ai fan di Interstellar e di TBBT)
(credit: Amazon)



Telescopio entry-level con cui di sicuro non vedrete la bolla ma perfetto per osservare pianeti come Saturno
(credit: Amazon)



Un picco di dopamina cancella le memorie legate alla paura

La sindrome di stress post-traumatico (vedi articoli precedenti seguendo il tag PTSD) colpisce sia i militari di ritorno da teatri di guerra che le vittime di aggressioni e abusi, e rappresenta un problema sanitario importante anche perché di lungo periodo e con gravo conseguenze sulla qualità della vita delle persone colpite (e dei loro familiari).
Negli ultimi anni si è scoperto, grazie ai modelli murini, l’importanza della dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nella regolazione dell'umore, della motivazione e della risposta allo stress. Alcune ricerche suggeriscono che alterazioni nel sistema dopaminergico possano contribuire ai sintomi del PTSD, influenzando la capacità di elaborare le esperienze traumatiche e modulare le risposte emotive.
La PTSD è associata a disfunzioni neurotrasmettitoriali causate da fattori ormonali attivati dallo stress, che possono cronicizzare anche dopo essere venuti meno gli eventi traumatici originali, e con gli episodi acuti riattivati da "triggers" indiretti come ad esempio una porta che sbatte.
Il sistema dopaminergico interagisce con altre componenti neurobiologiche coinvolte nel PTSD, come l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, che regola la produzione di cortisolo e la risposta allo stress.

Avere identificato il sistema dopaminergico come parte in causa del problema permette, potenzialmente, di ipotizzare terapie mirate a ristabilire l’equilibrio nel sistema mediante farmaci modulanti i livelli di dopamina.
Tra i farmaci in uso noti per agire (anche) sui livelli di dopamina vale la pena citare antidepressivi come gli SSRI e gli SNRI, utilizzati per migliorare la regolazione dell'umore e ridurre l'ansia, sebbene il loro effetto sulla dopamina sia indiretto. Alcune ricerche stanno esplorando l'uso di antipsicotici e modulatori dopaminergici per trattare specifici sintomi del PTSD, come le risposte emotive eccessive e la difficoltà di elaborazione del trauma.
In un recente articolo pubblicato sulla rivista PNAS, si riporta la scoperta che quando la dopamina agisce sui neuroni di una specifica area della amigdala**(1) nota come amigdala basolaterale (BLA)(2), si innesca un meccanismo di "sovrascrittura" delle precedenti memorie capaci di innescare paura, capace  di indurre l'estinzione della paura quando il pericolo è passato.
Fenomeno ben visibile in natura negli erbivori. Subito dopo che il carnivoro di turno (leone, etc) ha catturato la sua preda, gli altri componenti della mandria prima impaurita si fermano a brucare come se nulla fosse successo.
I neuroni che producono questa dopamina si trovano in una regione del cervello nota come area tegmentale ventrale (VTA) (3). Sebbene lo studio sia stato condotto su modelli murini è ben ricordare che le stesse aree esistono negli esseri umani, aree evolutivamente conservate essendo finalizzate agli stessi meccanismi comportamentali.
Tale osservazione suggerisce che i neuroni della BLA potrebbero essere un bersaglio per farmaci che aiutano a trattare condizioni legate alla paura come il disturbo post-traumatico da stress.

Fonte
Dopamine induces fear extinction by activating the reward-responding amygdala neurons
X. Zhang et al. (2025) PNAS



  1. L'amigdala, area cerebrale che fa parte del sistema limbico, ha un ruolo chiave nella regolazione delle emozioni, in particolare della paura e della risposta agli stimoli minacciosi, e nel consolidamento dei ricordi emotivi. Quando percepiamo un pericolo, l'amigdala attiva il meccanismo di "attacco o fuga", preparando il corpo a reagire rapidamente. Nei soggetti affetti da PTSD si nota spesso una iperattivazione della amigdala che si traduce in ipervigilanza, ansia intensa e difficoltà nel regolare le emozioni. Inoltre, il PTSD è associato a una ridotta capacità della corteccia prefrontale di modulare l'attività dell'amigdala, rendendo difficile la gestione delle reazioni emotive (un fenomeno ben evidente nei bambini, in cui il circuito che collega corteccia prefrontale e amigdala non è ancora pienamente sviluppato, il che spiega perché eventi "paurosi" (come un film) inducono paure prolungate anche quando i bambini sono consapevoli che si tratta di eventi fittizi.
  2. La BLA è una regione chiave dell'amigdala coinvolta nella regolazione delle emozioni, in particolare nella memoria della paura e nei processi di apprendimento associativo. Questa area riceve informazioni sensoriali dalla corteccia cerebrale e dall'ippocampo, elaborandole per modulare le risposte emotive e comportamentali. Coinvolta in fenomeni come: la memoria della paura (consolidamento dei ricordi legati a esperienze traumatiche); apprendimento associativo (stimoli neutri vengono associati a risposte emotive); regolazione della risposta allo stress; influenza sul comportamento (comunica con il nucleo accumbens e altre strutture per influenzare la motivazione e la presa di decisioni).
  3. La VTA è una delle principali produttrici di dopamina nel cervello ed è centrale nei meccanismi di ricompensa, motivazione e apprendimento emotivo. La VTA invia dopamina alla BLA, modulando la risposta emotiva agli stimoli stressanti e influenzando la memoria della paura. Studi recenti suggeriscono che la dopamina rilasciata dalla VTA nella BLA non solo rafforza i ricordi della paura, ma (la scoperta di cui si è parlato in questo articolo) è anche coinvolta nel processo di estinzione della paura, aiutando il cervello a riconoscere quando un pericolo non è più presente.


Alzheimer. Nuovi bersagli terapeutici negli enzimi astrocitari che producono il GABA

Gli astrociti, cellule cerebrali che un tempo si pensava avessero solo un ruolo di supporto ai neuroni, sono oggi sotto i riflettori data la loro capacità di influenzare attivamente le funzioni cerebrali.
Una funzione (quella di manutentori e ripulitori) che può prendere una direzione non voluta in presenza di placche amiloidi.
Per approfondimenti circa le potenziali cause della malattia (ipotesi amiloide e non solo) vedi l'articolo precedente. QUI invece un approfondimento sui soggetti che non manifestano alcun sintomo pur essendo portatori delle mutazioni causali l'alzheimer precoce. 
Nella malattia di Alzheimer, gli astrociti diventano reattivi in risposta alla presenza di placche di beta-amiloide (Aβ).
Mentre gli astrociti tentano di eliminare queste placche, il processo innesca una reazione a catena che peggiora la sopravvivenza cellulare. Inizialmente, i detriti cellulari e le placche vengono catturati tramite autofagia a cui segue la loro degradazione attraverso il ciclo dell'urea. Tuttavia, tale processo degradativo provoca una sovrapproduzione di GABA (neurotrasmettitore inibitorio), che riduce l'attività cerebrale e porta a disturbi della memoria. Il processo genera anche perossido di idrogeno (H₂O₂), un sottoprodotto tossico che causa ulteriore morte neuronale esitando in processi neurodegenerativi

Un team di ricercatori coreani ha iniziato ad indagare la causa dell'eccessiva produzione di GABA, sperando di trovare un modo per bloccarne selettivamente gli effetti dannosi senza interferire con altre funzioni cerebrali. Utilizzando approcci di analisi molecolare, imaging ed elettrofisiologia, i ricercatori hanno identificato SIRT2 e ALDH1A1 come enzimi critici coinvolti nella sovrapproduzione di GABA negli astrociti dei malati di Alzheimer.
Nello specifico è stato riscontrato (usando un modello murino di Alzheimer) un aumento della proteina SIRT2 negli astrociti, dato confermato (post-mortem) anche nel cervello di pazienti affetti da Alzheimer.

Gli effetti collaterali della rimozione delle placche amiloidi operata dagli astrociti
(credit: Molecular Neurodegeneration)

A conferma del nesso causale, l'effetto positivo sul recupero della memoria ottenuto inibendo SIRT2 (e a cascata minore espressione di GABA) negli astrociti dei topi malati. 
Recupero mnemonico parziale in quanto limitato alla sola memoria a breve termine (memoria di lavoro) senza invece alcun miglioramento nella memoria spaziale.
SIRT2 partecipa all'ultima fase della produzione di GABA, mentre il perossido viene prodotto nella fase iniziale del processo. È quindi possibile che l'H₂O₂ venga prodotta e rilasciata continuamente dalle cellule anche in assenza di SIRT2; in conseguenza la degenerazione neuronale potrebbe continuare anche usando farmaci che riducono la produzione di GABA, da cui il limite intrinseco a questa terapia se usata singolarmente.

Dato importante emerso dallo studio è stata l'identificazione di SIRT2 e ALDH1A1 come bersagli a valle, scoperta che consentirà ai ricercatori di separare tra loro gli effetti (deleteri) causati dall'eccesso di GABA e di H₂O₂, pesando il contributo individuale.



Fonte
SIRT2 and ALDH1A1 as critical enzymes for astrocytic GABA production in Alzheimer’s disease
Mridula Bhalla et al, (2025) Molecular Neurodegeneration volume 20, Article number: 6 


Alzheimer. Placche amiloidi, sistema immunitario o disfunzioni lisosomali?

Il fallimento delle sperimentazioni cliniche delle terapie anti-Alzheimer centrate sulla rimozione delle placche amiloidi ha messo in discussione l'ipotesi amiloide come (unica) responsabile del morbo di Alzheimer. Discussione che ha spinto ad investigare altri potenziali fattori causali primari (inteso come antecedenti la comparsa delle placche) come attacco immunitario, proteine Tau, virus, colesterolo, infiammazione, etc.
Le terapie anti-amiloide testate erano basate su anticorpi finalizzati ad attivare la risposta immunitaria (e la rimozione) contro le placche amiloidi. Tra queste menziono aducanumab, lecanemab e donanemab che hanno dato (modesti) risultati accompagnati però da effetti collaterali (conseguenza quasi scontata ricordando che la loro funzione è attivare una risposta infiammatoria locale). In un prossimo futuro si prevede l'utilizzo di vaccini a RNA invece dei terapia anticorpali.
Per ulteriori informazioni vi rimando al precedente articolo sul tema o al tag "Alzheimer"
Tra le nuove ipotesi è particolarmente interessante quella proposta da Ralph Nixon della NYU, che vede nella disfunzione dei lisosomi cioè gli organuli cellulari deputati alla distruzione dei prodotti di scarto delle cellule, l'evento causale.
Evidenze prodotte in molti laboratori hanno mostrato che sia nei modelli animali che nelle cellule cerebrali dei pazienti affetti dal morbo di Alzheimer (AD), i lisosomi appaiono ingrossati e disfunzionali ancor prima della comparsa delle placche amiloidi. Lo stesso vale per gli endosomi, anch'essi componenti del meccanismo di eliminazione dei prodotti di scarto delle cellule. L'idea è che una minore efficienza nello smaltimento provochi l'accumulo di prodotti di scarto, tra cui la β-amiloide, all'interno delle cellule cerebrali e a cascata morte cellulare e liberazione nello spazio extracellulare di molecole che fungono da centri di aggregazione per placche sempre maggiori, alterando la funzionalità delle cellule cerebrali adiacenti. 
Questo spiegherebbe per quale motivo la rimozione delle placche amiloidi (ottenuta mediante anticorpi) si sia dimostrata di scarsa utilità: sarebbe come rimuovere un irritante che tuttavia continua ad essere prodotto.
La disfunzione lisosomiale sarebbe causata da una alterazione del pH di questi organelli, insufficientemente acidi perché avvenga la degradazione delle molecole di scarto. A conferma di questa ipotesi esperimenti condotti sui topi con farmaci che riacidificano i lisosomi hanno evidenziato una riduzione delle placche di beta-amiloide e una minore morte cellulare.
Nesso causale confermato anche dalla scoperta che le stesse mutazioni geniche associate al rischio Alzheimer (favorendo la produzione di β-amiloide) alterano anche la funzionalità dei lisosomi.
Nello specifico si ritiene che il frammento di APP (proteina precursore della β-amiloide) che rimane nella membrana endosomale dopo l'azione della β-secretasi, noto come APP-βCTF (o C99), interferisca con le pompe che regolano il pH lisosomiale. Ipotesi rinforzata dall'osservazione che mutazioni nel gene APP, responsabile di alcune forme di Alzheimer familiare (FAD), causano una produzione eccessiva di APP-βCTF. 


APP e le secretasi nella genesi degli aggregati amiloidi
(credit: J. Zhao et al)

Altro gene le cui varianti sono associate al rischio FAD è PSEN1, le cui mutazioni sono state correlate alla comparsa di anomalie funzionali nelle pompe che acidificano i suddetti organelli. 

In sintesi mentre il modello standard (anche noto come ipotesi amiloide) presuppone che le placche di β-amiloide si formino e uccidano i neuroni dall'esterno, il lavoro del gruppo di Nixon ha prodotto una quantità crescente di evidenze che suggerisce il contrario, cioè che "la scintilla della malattia" inizi dentro le cellule (nei lisosomi) per poi diffondersi alle cellule adiacenti attraverso l'accumulo di prodotti di scarto liberati dalle cellule morte. Terapie finalizzate alla sola rimozione delle placche porterebbero nel migliore dei casi ad un rallentamento della progressione della malattia senza però rimuovere le cause della malattia.

Sebbene anche i sostenitori irriducibili dell'ipotesi amiloide concordino con il fatto che l'Alzheimer sporadico sia principalmente un problema di mancata eliminazione dei prodotti tossici, ritengono responsabili di tale carenza le cellule della microglia (deputate alla pulizia e difesa del sistema nervoso centrale). Ipotesi contestata da Nixon secondo cui queste cellule entrano in gioco più tardi nel corso della malattia; la microglia elimina l'amiloide extracellulare, ma questo avviene solo dopo che è stata rilasciata dalla cellula morente.

Ref.
- Makin S. Nature 640, S4-S6 (2025)
- van Dyck, C. H. et al. N. Engl. J. Med. 388, 9–21 (2023). 
- Sims, J. R. et al. JAMA 330, 512–527 (2023).
- Malampati, S. et al. Alzheimers Dement. 20, e095538 (2025).
- Lee, J. H. et al. Nature Neurosci. 25, 688–701 (2022).
- Im, E. et al. Sci. Adv. 9, eadg1925 (2023).


***
Libri per approfondire le neuroscienze (Amazon)



Nuovi indizi sul legame tra Asgard e proto-eucarioti

In un precedente articolo si era parlato degli Asgard, sottogruppo di Archea, come gli organismi più simili alle cellule che avrebbero originato gli eucarioti.
In estrema sintesi l'albero della vita consta di 3 Domini (Archea, Bacteria e Eucarya), il più recente dei quali il nostro (cioè Eucarya) sarebbe originato dalla "fusione" simbiontica tra un Archea e un batterio. 
Maggiori dettagli negli articoli––> "Asgard" e "Alla ricerca di LUCA". 
Da un ramo degli Archea e una "preda" batterica, l'origine degli eucarioti
Graphic: Florian Wollweber / ETH Zurich
Di particolare interesse sul tema la recente caratterizzazione di un membro degli Asgard, Lokiarchaeum ossiferum, la cui analisi proteica ha permesso di identificare proteine analoghe (funzionalmente omologhe) alle "nostre" actina e tubulina così da fare luce su alcuni dei passaggi evolutivi che hanno accompagnato la transizione tra questi Archea e gli eucarioti.
Lokiarchaeum ossiferum
Image T. Rodrigues-Oliveira, University of Wien

Nella prima dello studio, pubblicato 2 anni fa su Nature, i ricercatori descrissero la struttura cellulare del L. ossiferum, scoperto in Slovenia nei sedimenti di un canale di acqua salmastra, evidenziando la presenza di alcune strutture tipiche degli eucarioti, basate su una proteina molto simile alla actina degli eucarioti.
Questa proteina, chiamata Lokiactin (poi trovata in gran parte degli Asgard), forma strutture filamentose abbondanti nelle protrusioni simili a tentacoli che emanano dal corpo cellulare di questi Archea, che sembrano svolgere un ruolo chiave nel mantenere la architettura cellulare (quello che negli eucarioti chiameremmo citoscheletro).
Il citoscheletro degli eucarioti però è basato (anche) sui microtubuli, polimeri lineari in perenne rimaneggiamento il cui mattone fondante è la tubulina. Questi minuscoli tubi sono importanti per i processi di trasporto all'interno di una cellula e la segregazione dei cromosomi durante la divisione cellulare. L'origine (evolutiva) dei microtubuli è ancora oggi poco compresa essendo (apparentemente) assente negli altri Domini. 
Un recente articolo apparso su Cell pare viene in aiuto a questo mistero riportando la scoperta di proteine (funzionalmente) simili alla tubulina negli Asgard. capaci di assemblarsi a formare microtubuli, sebbene più piccoli di quelli presenti negli eucarioti.
Dato curioso, solo poche cellule di Lokiarchaeum producono i microtubuli. Inoltre, a differenza dell'actina, tali proteine (i geni) sono presenti solo in pochissime specie degli Asgard e non sono state rilevate negli altri Archea.
Graphic: Margot Riggi, Max Planck Institute of Biochemistry
Domanda a cui bisognerà rispondere è perché solo alcuni microbi di Lokiarchaea producono queste strutture e che ruolo rivestono nella funzione cellulare. Come prima anticipato, negli eucarioti i microtubuli sono responsabili dei processi di trasporto all'interno della cellula e vi sono delle proteine ​​motrici che "camminano lungo" questi tubi (chinesina e dineina ad esempio), proteine però mai identificate negli Asgard.
Il fatto che anche nei Lokiarchaea tali strutture siano dinamiche (i monomeri di tubulina si aggiungono ad una delle estremità) rafforzan l'idea che queste svolgano (anche) funzioni di trasporto simili ai microtubuli negli eucarioti.

L'opinione comune attuale è che la comparsa di un citoscheletro sia stato uno dei passaggi più importanti tra quelli che hanno portato agli eucarioti. Possibile quindi che i progenitori di questi Asgard abbiano compiuto, sviluppando queste strutture, il primo passo verso la pluricellularità e la differenziazione funzionale, proprio quando hanno sviluppato strumenti come le "appendici" (protrusioni) cellulari guidate da proteine actiniche con le quali avrebbero catturato e inglobato il batterio dalla cui mancata digestione si sarebbe evoluto un profondo rapporto simbiontico di cui i mitocondri e i plastidi sono testimoni.
Nel tempo, la comparsa del nucleo e dei compartimenti cellulari avrebbe sancito la nascita del Dominio Eukarya.

In sintesi, l'identificazione di proteine e strutture tipo il citoscheletro degli eucarioti (assenti sia nei Bacteria che, in parte, negli altri Archea) rafforza l'ipotesi che tra gli antenati degli Asgard ve ne siano stati alcuni che, dotati della capacità di catturare prede mediante estroflessioni cellulari, abbiano infine dato il via alla fusione simbionte con una preda batterica non digerita. 

Vantaggio ulteriore di queste scoperte è che l'isolamento di queste proto-actine/tubuline permetterà di generare anticorpi specifici utili per scandagliare acquitrini o colture microbiche complesse alla ricerca di nuovi Archea.


Fonte
- Microtubules in Asgard archaea
Wollweber F. et al. (2025) Cell 

- Actin cytoskeleton and complex cell architecture in an Asgard archaeon.




Shirt e libro di testo per veri nerd (Amazon)


La pinguedine dei Labrador spiega anche quella umana

I Labrador retriever sono cani notoriamente di buon carattere ma con una innegabile tendenza ad ingrassare anche in ragione di un appetito mai pago.
Il 40-60% dei cani domestici è sovrappeso o chiaramente obeso, con problemi a cascata sia per la salute che per il carattere. Lo studio nei cani di razza è “facilitato” dalla omogeneità genetica frutto dei continui incroci per fissare e mantenere nel tempo i caratteri distintivi di quel breed
Ricercatori inglesi ne hanno analizzato i geni per tracciare le basi della predisposizione all’obesità con la speranza di sviluppare terapie utili anche per gli umani. Un primo studio del 2024 aveva mostrato il coinvolgimento del gene POMC in cui una mutazione rendeva i cani costantemente affamati pur bruciando a riposo il 25% di calorie in meno di altri cani (vedi dettagli a fondo pagina)

Il nuovo studio, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science, hanno individuato nel gene DENND1B (di cui esiste omologo umano) il principale responsabile, gene che codifica per una proteina tipo GEF (Guanine nucleotide Exchange Factor) necessaria per la “ricarica” di enzimi noti come GTPasi 
Il GEF facilita il ricambio GDP/GTP sulla GTPasi eliminando la molecola "scarica" e sostituendola con il GTP "carico".
Il prodotto genico, la proteina DENND1B, svolge un ruolo importante all'interno del sistema di mantenimento dell'equilibrio energetico dell'organismo, noto come circuito leptina-melanocortina (vedi dettagli in calce all'articolo). DEEND1B agisce come un regolatore molecolare, influenzando la trasmissione dei segnali tra la leptina e i recettori melanocortinici nel cervello. Quando il gene DENND1B è alterato, la proteina può compromettere la capacità del corpo di rispondere correttamente ai segnali di sazietà inviati dalla leptina. Questo porta a una sensazione di fame persistente e a un aumento dell'assunzione di cibo.
Oltre a DENND1B sono stati identificati altri quattro geni che però non qui non prenderemo in considerazione essendo coinvolti in processi biologici chiave su cui non è consigliabile interferire.
Come nel caso umano anche l'obesità canina non è attribuibile ad un singolo gene ma al concorso di più geni che determinano una predisposizione.
Tra i geni con varianti a rischio nell'uomo abbiamo FTO (Fat Mass and Obesity Associated Gene), il recettore della melanocortina-4 (MC4R) e il gene della leptina (LEP),
Nei Labrador la variante genica di DENND1B pone un importante fattore di rischio che si traduce in obesità in assenza di una dieta controllata e di attività fisica costante, regola che vale anche per noi. Nello specifico tale variante determina, a parità di dieta e attività fisica, un incremento dell'8% di grasso corporeo.

Confrontando questo dato che le banche dati genetiche umane si è avuta la conferma che lo stesso gene è responsabile negli umani dell’aumento della massa corporea, legata ad un funzionamento anomalo del sistema di controllo dell'appetito.
Leptina. Ormone prodotto principalmente dalle cellule adipose. La leptina agisce sul cervello, in particolare sull'ipotalamo, segnalando la quantità di energia immagazzinata sotto forma di grasso. Quando i livelli di leptina aumentano (indicando un'abbondanza di energia), la sensazione di fame viene spenta e aumentano i processi che portano al consumo di energia. Al contrario, bassi livelli di leptina stimolano l'appetito e riducono il dispendio energetico.
Sistema melanocortinico. Sistema che fa parte dell'ipotalamo e comprende una serie di neuropeptidi e recettori che regolano l'appetito. Un esempio è l'ormone stimolante dei melanociti (α-MSH), che si lega ai recettori melanocortinici (MC3R e MC4R) per inibire l'appetito. La leptina agisce favorendo la produzione di α-MSH, amplificando così il segnale di sazietà.
Il gene POMC codifica per la proopiomelanocortina, una proteina precursore che viene poi suddivisa in vari peptidi (tra cui l'ormone α-MSH) che agiscono sul sistema melanocortinico per controllare l'appetito. Nei Labrador, alcune mutazioni nel gene POMC impediscono la produzione completa di alcuni peptidi regolatori dell'appetito, portando alla sensazione di fame costante 

Fonti
Low resting metabolic rate and increased hunger due to β-MSH and β-endorphin deletion in a canine model.
Marie T. Dittmann et al, (2024) Science Advances 

- Canine genome-wide association study identifies DENND1B as an obesity gene in dogs and humans.
NJ Wallis et al. (2025) Science



***
Qualche suggerimento per amanti dei Labrador
Pupazzo di Labrador che "respira" (Amazon)


"Manuale" del Labrador (Amazon)

Identificate 128 "nuove" lune di Saturno

Saturno guadagna 128 nuove lune, portando il totale a 274

La gara tra Giove e Saturno su chi ha più lune si arricchisce di un nuovo sorpasso con la identificazione di 128 nuove lune portando il totale di Saturno a 274.
Giove ha 95 lune (conosciute), Urano 28 e Nettuno 16. Trovate QUI il precedente articolo sulla "gara" tra Giove e Saturno
Beninteso tutti i nuovi membri del club lunare hanno taglie ben inferiori alle lune (saturniane) classiche come Titano (5150 km) o Encelado (550 km), con i loro (probabili) oceani sotterranei e, chissà mai, microbiche forme di vita. 
La Luna per confronto ha un diametro di poco più di 3000 km.
Le nuove lune sono al più catalogabili come megarocce dati i pochi km del loro diametro. (Ex) asteroidi catturati dal campo gravitazionale del pianeta o residui di scontri spaziali i cui detriti sono rimasti intrappolati nell’orbita del pianeta non più tardi di 100 milioni di anni fa.
Del resto la definizione di luna (satellite naturale) è alquanto lassa e definisce come tale oggetti in orbita stabile intorno ad un pianeta. Forse avrebbero dovuto restringere il campo, come fatto in passato per i pianeti, aggiungendo la postilla della sfericità, che presuppone una certa massa. 
La scoperta delle nuove lune, certificata settimane fa dall’Unione Astronomica Internazionale, è frutto delle osservazioni condotte nel 2023  con il telescopio di Mauna Kea nelle Hawaii.

Tutte le nuove lune identificate hanno forma irregolare, il che significa che sono piccole (massa insufficiente perché la gravità le modelli in sfere), hanno una orbita molto inclinata rispetto all'equatore di Saturno e in molti casi tale orbita è retrograda rispetto alle lune principali. Le loro orbite sono distali rispetto a quelle delle lune principali, con distanze che vanno da 10 ​​milioni a 29 milioni di km dal pianeta. 
Per dare una idea della distanza considerate che gli anelli del pianeta si estendono fino a 281 mila km da Saturno e le lune principali sono distanti non più di 3 milioni di km.
Non molte sono le altre informazioni disponibili data la distanza (e dimensioni) che anche i più potenti telescopi terrestri li vedono come deboli punti luminosi.

L'esistenza di così tante lune attorno a Saturno suggerisce un passato di molteplici mega-collisioni avvenute in prossimità del pianeta. La stessa origine degli anelli è ancora oggi oggetto di ipotesi, che vanno dalla distruzione di una antica luna avvicinatasi troppo a Saturno alla cattura di materiale vagante vecchio come il sistema solare che, a causa della posizione, non è riuscito a completare il processo di aggregazione come invece avvenuto per i corpi non disturbati dalla gravità dei pianeti giganti.

Molte delle nuove lune identificate sono state raggruppate, identificando famiglie potenzialmente legate ad una origine comune.
Uno di questi sottogruppi particolarmente interessante è stato chiamato Mundilfari, nome mutuato da una divinità norrena, e include 47 delle 128 nuove lune. Tale sottogruppo potrebbe essere il risultato di una collisione all'interno dell'orbita di Saturno risalente a 100 milioni di anni fa, un battito di ciglia fa su scala cosmica.

"Vecchio" grafico (2019) che mostra le lune allora note raggruppate per tipo di orbita


Un articolo interessante (aggiornato) sulle lune di Saturno lo trovate 

Fonti
Saturn has a whopping 274 moons ― scientists want to know why
Nature 03/2025

- Elenco delle lune di Saturno


Telescopio entry-level ma più che adatto per osservare (anche) Saturno
(credit: Amazon)




Le aziende private (finalmente) sono riuscite a sbarcare sulla Luna

Blue Ghost, un robot "quadrupede" made in Texas, ha raggiunto il 2 marzo la regione Mare Crisium sulla Luna, e fin qui nulla di speciale considerando il numero di missioni dirette sul suolo lunare negli ultimi anno.
A fare la differenza è l'essere il primo veicolo spaziale commerciale a compiere la missione con successo. Il lander costruito da Firefly Aerospace trascorrerà le prossime due settimane sul terreno per compiere esperimenti appaltati dalla NASA, dopo di che arriverà la gelida notte lunare a terminare ogni operazione.
L'ombra proiettata dal lander sul suolo lunare
(Credit: Firefly Aerospace)
Altre aziende avevano tentato prima l'allunaggio ma per un motivo o l'altro tutte le missioni erano fallite; ad esempio, la navicella spaziale Odysseus era riuscita nell'impresa ma aveva impattato il terreno con tale violenza da rompersi una delle "gambe" finendo i suoi giorni ribaltata sul lato.
Le prime immagini inviate dal lander hanno mostrato la sonda in posizione verticale sulla superficie grigia, tra cui un suggestivo scatto della sua ombra e la Terra che brilla sullo sfondo.

Tutti questi tentativi compiuti dalla aziende private hanno il compito principale di togliere carichi economici (e logistici) alla NASA che può quindi concentrarsi su missioni ad alto valore. Servono inoltre, oltre alla già citata delega a compiere esperimenti su commissione, a selezionare il partner commerciale più affidabile nell'ambito del programma Commercial Lunar Payload Services con cui la NASA vuole esternalizzare la consegna di strumenti scientifici e in futuro i "mattoni" per le basi lunari.

Tra gli strumenti trasportati da Blue Ghost ci sono un piccolo trapano e il planetvac" specie di "aspirapolvere" per raccogliere la friabile (e abrasiva) polvere lunare. Tra gli esperimenti in fieri lo studio della viscosità della polvere lunare e test basati sull'attivazione di campi elettrici finalizzati a trovare un modo per tenere libere dalla polvere la superficie delle astronavi.

Esperimenti che devono essere conclusi entro il 16 marzo quando inizierà la notte lunare della durata di 14 giorni in cui non sarà possibile ricaricare le batterie solari e le temperature (circa -133 C) non permetteranno l'operatività.
Due giorni prima della messa in stand-by le telecamere a bordo di Blue Ghost cattureranno un'eclissi totale causata dalla interposizione della Terra.
La rotta di avvicinamento alla Luna seguita da Blue Ghost
(credit: Firefly Aerospace)


Articoli precedenti sul tema Luna (e missioni lunari) sono reperibili cliccando sul tag dedicato


Fonte
Private spacecraft nails Moon landing: first images of Blue Ghost on the lunar surface
Nature 2025


***

Gadget e strumenti per chi la Luna la deve osservare da lontano
Luna luminosa da mensola (Amazon)

La mitica Aquila di Spazio 1999
(Amazon)




Geni protettivi contrastano la predisposizione alle forme ereditarie di Alzheimer

I geni (o più correttamente la combinazione allelica) che costituiscono il nostro genoma contribuiscono a definire il rischio di sviluppare alcune patologie, rischio pesato dalla penetranza genetica.
In alcuni casi essere portatori di un (solo) allele “sbagliato” non avrà alcuna rilevanza sul rischio incrementale di una malattia (ad esempio i portatori di una copia del gene mutato per la fibrosi cistica o per la anemia mediterranea non si ammalano) mentre in altri casi il rischio di sviluppare un tumore aumenterà considerevolmente (una copia del gene BRCA1 mutato conferisce una probabilità del 60% di sviluppare un tumore alla mammella nel corso della vita).
Nel caso delle malattie neurodegenerative, come Parkinson o Alzheimer (da qui in poi AD, Alzheimer's Disease), che in genere si manifestano in tarda età, quindi dopo il periodo riproduttivo e come tale la permanenza degli alleli predisponenti nella popolazione non è controselezionata, i fattori causali sono eterogenei; oltre alla componente genetica vi sono fattori esterni come ambiente e stile di vita, il che rende complicata l’identificazione degli alleli facilitanti, spesso molteplici e ciascuno con impatto minimo ma cumulativo. Diverso il discorso per le forme familiari della malattia (AD familiare o FAD) dove la chiara ereditarietà del tratto si associa ad una precocità dei sintomi, fatto che ha permesso non solo di identificare i geni coinvolti e di validare i fattori di rischio associati ai vari alleli ma anche di testare farmaci sperimentali pensati per prevenire la malattia prima che diventi sintomatica (quando i sintomi compaiono il danno è già irreversibile).
Predisposizione ed alta penetranza equivale a certezza della malattia?
Non necessariamente. Si tratta di fattori di rischio che anche in caso di probabilità dell’80% lasciano un certo margine condizionato da fattori terzi (ambiente e stile di vita). C’è però un altro elemento da mettere sulla bilancia, l'esistenza di fattori genetici protettivi.
Già in un precedente articolo su infezione da HIV e rischio AIDS ho discusso di questi fattori che in quel caso erano varianti geniche che rendevano l’infezione del virus (o la sua replicazione) più difficile e lo “smantellamento” del sistema immunitario, alla base della fase clinica nota come AIDS, limitato.
Fenomeni simili di resistenza ad una infezione associati ad aumentato rischio di altre malattie sono noti per malaria/emoglobinopatie, colera/fibrosi cistica, tubercolosi/sindrome di Tay-Sachs, e resistenza a infezioni fungine/fenilchetonuria. Da un punto di vista evolutivo l'aumentato rischio di malattia, in genere legato alla presenza di due copie del gene alterato, è ampiamente compensata dalla resistenza ad un dato patogeno ad alta mortalità.
In tal senso riporto l'identificazione (in due studi separati) di tre individui appartenenti a famiglie con chiara predisposizione all’AD, che pur essendo portatori delle varianti alleliche  di rischio, rimasti asintomatici per oltre un decennio rispetto all'età media in cui si è sviluppata la malattia nei consanguinei, suggestivo di un aplotipo (combinazioni di alleli) protettivo. Di questi tre individui l’ultimo identificato è quello di maggior interesse data la mole di dati genetici ottenuti e il follow-up decennale. 
L'articolo in cui il soggetto è stato descritto è apparso poche settimane fa su Nature Medicine che riassumo brevemente di seguito.


Nell'ambito dello studio Dominantly Inherited Alzheimer Network (DIAN), iniziato nel 2011, sono stati analizzati e seguiti nel tempo i membri di  una famiglia ad alto rischio (FAD), portatrice di una mutazione nel gene PSEN2, codificante per l'enzima gamma secretasi che ha tra i suoi "bersagli" APP (proteina precorritrice della beta-amiloide) i cui prodotti sono i "mattoni" delle placche amiloidi.
La maggior parte delle mutazioni associate al FAD (almeno 200) sono a carico del gene PSEN1. Le mutazioni nel gene PSEN2 sono più rare, da qui l’interesse per questa famiglia.
La proteina mutata favorisce la produzione di prodotti la cui aggregazione porta alle placche amiloidi, ritenute il passaggio chiave nel processo neurodegenerativo (meccanismo noto come “ipotesi amiloide”, ipotesi che negli ultimi anni ha cominciato a mostrare alcune crepe).
La mutazione è di tipo autosomico dominante che tradotto vuol dire che il gene non si trova su un cromosoma sessuale (quindi ereditarietà non legata al sesso) ed è sufficiente essere portatori di una sola copia del gene mutato per avere la quasi totale certezza di manifestare i sintomi causati dalla mutazione (nel caso FAD sviluppare la malattia intorno ai 50 anni).
Date le premesse grande fu la sorpresa quando si scoprì che un membro della famiglia analizzata, 61 anni e portatore della mutazione, mostrava una piena funzionalità cognitiva a differenza di 11 dei suoi 13 fratelli “portatori” in cui la demenza si era invariabilmente palesata intorno ai 50 anni.
Non bastasse la sorpresa della asintomaticità, la scansione cerebrale mediante PET mostrava un cervello simile a quello di persone con l'Alzheimer, pieno di placche amiloidi ma con una differenza sostanziale: l’assenza di aggregati dovuti alla proteina Tau, minimamente presenti solo nel lobo occipitale, una regione del cervello coinvolta nella percezione visiva solitamente non responsabile dei sintomi di AD. 
Test di memoria e altre valutazioni cognitive diedero punteggi normali e costanti nel tempo (oggi l'uomo è un sano settantenne), alcuni dei quali anzi migliorarono grazie alla pratica.
Quale allora la differenza tra questo individuo sano e i consanguinei malati portatori della stessa mutazione? Le variabili possibili sono quelle ambientali (stile di vita, alimentazione, etc) come pure l’avere ereditato, per pura casualità, una combinazione di alleli “protettivi” in grado di minimizzare l’effetto della mutazione
Alcuni alleli protettivi sono noti da tempo (ad esempio APOE ε2), nessuno di questi però presente nel soggetto in esame dove invece sono state identificati 9 alleli assenti nei fratelli malati. Di queste varianti 6 non erano mai state associate al rischio AD, ma correlabili a processi di neuroinfiammazione e al controllo del corretto ripiegamento (folding) delle proteine.

Tra le ipotesi formulate quella che la presenza di varianti antinfiammatorie insieme a fattori esterni e comportamentali spiegherebbero l'assenza di sintomi pur in presenza di fattori scatenanti come le placche amiloidi (declassate da agenti causali ad agenti facilitanti). 
A supporto di tale ipotesi il ridotto stato infiammatorio delle aree coinvolte nel AD, pur in presenza di placche amiloidi, rispetto a quanto osservato nei soggetti sintomatici; dato che suggerisce una minore reattività del sistema immunitario contro le placche amiloidi 
Ricordo per inciso che in molte malattie i danni maggiori sono causati da una reazione eccessiva o anomala del sistema immunitario contro un  “fattore scatenante” più che al fattore stesso. 
Se sommiamo questi dati con la ridotta presenza di accumuli di proteina Tau diventa lecito ipotizzare che le placche amiloidi siano condizione necessaria ma non sufficiente per la malattia e che (forse) l'innesco definitivo viene da altre alterazioni che facilitano (oppure non impediscono) la formazione di aggregati di Tau, un combinato che favorirebbe la attivazione locale di una infiammazione cronica e a cascata neurotossicità.

Identificare i fattori genetici protettivi potrebbe un giorno portare allo sviluppo di trattamenti farmacologici utilizzabili anche nelle forme sporadiche dell'AD come trattamento preventivo.

Tra gli studi clinici in atto vale la pena segnalare quello basato su lecanemab, un anticorpo che attacca l'amiloide (approvato dalla FDA nel 2023) in combinazione con anticorpi diretti contro la proteina tau.


Fonte
Longitudinal analysis of a dominantly inherited Alzheimer disease mutation carrier protected from dementia
Jorge J. Llibre-Guerra et al, (2025) Nature Medicine


***
Modellino anatomico del cervello (Amazon)



Il bambino morto di morbillo in Texas era "prevedibile" (calo di vaccinazioni) e prevenibile

Sono passati quasi 10 anni dall'articolo in cui stigmatizzavo il trend novax (e siamo ben prima del Covid) che aveva portato alla (ri)comparsa di estesi focolai di morbillo a causa del calo delle vaccinazioni. Ridotta protezione che nel caso di infezioni come quella di un virus altamente infettivo come il Paramyxovirus, basta che scenda sotto 85% della popolazione perché rimangano focolai pronti a colpire i più deboli (infanti, anziani o persone con sistema immunitario compromesso).
La soglia di "protetti" (vaccinati o immuni post malattia) necessaria perché non si abbia diffusione in ambienti frequentati da bambini in età prescolare è del 95%
È notizia di pochi giorni che in Texas si è verificato il primo caso (da anni) di un bambino in età scolastica morto per le conseguenze del morbillo, o meglio per le infezioni respiratorie opportuniste che il morbillo facilita spegnendo le difese immunitarie dell'infetto. Delle 124 persone malate (su 9 contee in zone scarsamente popolate), 16 hanno dovuto essere ospedalizzate. Nel 2019 il numero di persone che avevano contratto il morbillo in Texas era di 22.
Il calo del numero di vaccinati in Texas (2025)


Di seguito l'articolo del 2015 che preannunciava il rischio ora verificatosi (per gli articoli successivi usate il tag "morbillo" a fondo pagina)


*** Articolo di febbraio 2015***

Il ritorno del morbillo. La stupidità si paga

Non servivano capacità divinatorie o abilità analitiche degne dei migliori think-tank per prevedere l'epidemia di morbillo che sta imperversando da qualche mese negli USA. Tanto è vero che l'allarme era stato da me rilanciato quasi un anno fa  in articoli tematici (vedi "Vaccinazione morbillo" e "Non abbassare la guardia sul calo delle vaccinazioni").
(wikipedia)
Il punto centrale dell'articolo odierno sottolinea l'impresa (in senso negativo) dell'essere riusciti a trasformare il morbillo, una malattia sotto controllo (in USA e Europa) da più di 15 anni con un numero di casi annuali meno che esiziale, a malattia che si riaffaccia in comunità immunologicamente impreparate  ad affrontarla. 
E questo non perché nel frattempo sia comparso un nuovo ceppo virale particolarmente insidioso o sufficientemente diverso a livello epitopico da rendere meno efficaci le difese immunitarie. La causa è molto più semplice e va ricercata nella sensibile diminuzione delle persone vaccinate (in alcune aree con numeri percentuali a doppia cifra), che si traduce in più persone sensibili all'infezione; maggiore il bacino di infettabili, più probabile è la diffusione dell'epidemia al di fuori del focolaio iniziale. Dato che la vaccinazione contro il morbillo conferisce una protezione pluriennale, ne deriva che i soggetti sensibili per definizione sono i giovani in età scolare o pre-scolare, una età già di suo a maggior rischio a causa della promiscuità sociale a scuola e nei campi gioco.

Paradossalmente il virus del morbillo potrebbe ben figurare come l'esempio da copertina di un virus contro cui il vaccino manifesta una massimizzazione di utilità (durata e grado di protezione) ed efficacia (rapporto rischio-beneficio) proprio per le caratteristiche del virus:
  •  altamente infettivo (valore dell'indice R0 maggiore di 10, tre volte quello dell'influenza). Il virus rimane attivo e contagioso nell'aria o su superfici contaminate per circa due ore dopo che è uscito dal corpo e il periodo infettivo copre l'intervallo compreso tra 4 giorni antecedenti e successivi la comparsa delle macchie cutanee. Sommando questi dati si evince quanto sia facile per un bambino sensibile (cioè privo di anticorpi specifici) essere infettato. Per altre informazioni vedi i dati OMS.
    Malattie infettive a confronto. Morbillo (measles) batte Ebola in quanto a numero di persone infettate da singolo individuo malato
  •  La bassa variabilità virale permette di avere una immunità pluridecennale post-esposizione, dato che il virus è sempre "lo stesso". Confrontate questa "staticità" con l'estrema variabilità del virus influenzale (per cui è necessario ogni anno una nuova vaccinazione); solo questo fatto dovrebbe togliere ogni dubbio sull'importanza del vaccino contro il morbillo
  • Uno dei concetti chiave per comprendere come il rapporto tra soggetti immuni (vaccinati o precedentemente esposti) e sensibili in una data popolazione sia determinante per bloccare sul nascere la nascita di una epidemia, è quello della Herd Immunity (immunità di gregge) Ad ogni malattia infettiva corrisponde un valore diverso di "soglia di immuni" al di sopra della quale il patogeno non riesce a innescare l'epidemia. Come evidenziato dalla figura sotto, il morbillo è tra le malattie infettive comuni quello che è in grado di automantenersi in una popolazione quando la soglia di immuni (vedi sopra) scenda sotto il 90%. Bastano quindi relativamente poche persone (tra quelle sensibili) che decidono di non vaccinarsi per trasformare una popolazione immune in un focolaio epidemico; un fenomeno che, per definizione, favorisce l'insorgere di ceppi virali più aggressivi

    La Comparazione tra l'infettività di malattie comuni (a sinistra) e la copertura sulla popolazione conferita dal vaccino. Per ulteriori dettagli su R0 e concetto di "Herd Immunity" vi invito a rileggere l'articolo precedente sul blog (QUI) e le referenze a fondo pagina. Per una descrizione più semplice di Herd Immunity -->QUI.
     

E qui veniamo al punto dolente. Mai come stavolta si può affermare che più che la ragione potè la credulità popolare, nell'impresa di ridare fiato ad una malattia prevenibile, grazie alle dicerie sul presunto connubio tra vaccinazione e autismo. Un legame totalmente infondato, per vari motivi:
  • eziopatogenesi. L'autismo oltre ad essere una malattia eterogenea e quindi non correlabile ad un singolo e ben identificabile evento (quindi dire che si conosce il nesso causale è un falso), non è nemmeno una malattia che insorge nell'infanzia ma è conseguente a problemi di sviluppo neurologico nella fase embrionale (vedi "Autismo: una patologia geneticamente eterogenea" e articoli successivi per altri dettagli). Un dettaglio non secondario in quanto rende di fatto impossibile teoricamente anche il solo postulare una associazione tra problemi di sviluppo embrionale e vaccinazione infantile: come possa un vaccino avere un effetto retroattivo è un mistero che nessuno dei seguaci di tale ipotesi sembra considerare.
  • Lo studio responsabile di questa credenza venne pubblicato da un medico inglese negli anni '90. Peccato che la teoria formulata, in cui si ipotizzava il legame vaccino/autismo, non solo NON ha mai trovato riscontro in tanti altri studi condotti da allora ma nasce da dati falsi che hanno portato alla ritrattazione dell'articolo da parte dello stesso autore e alla successiva espulsione dello stesso dall'ordine dei medici. ATTENZIONE: non si tratta di un errore di analisi o di dati poi corretti in seguito a migliori tecniche sperimentali (questo è normale e accettabile nella scienza) ma di dati falsificati come appurato da una indagine successiva. Per altri dettagli vedi QUI.
Nonostante queste evidenze, il rifiuto del vaccino è diventato sempre una più una bandiera sotto la quale sono confluite persone e idee anche molto diverse tra loro, in particolare nei paesi anglosassoni. Ne riparlerò in chiusura di articolo.

Non sorprende quindi che dal rischio di epidemie si sia passati alla realtà di epidemie in pochi mesi, come egregiamente riassunto nei due articoli pubblicati oggi sul New York Times (vedi link a fondo pagina).
La conta dei casi di morbillo negli USA secondo i dati ufficiali diffusi dal Center for Disease Control (CDC). Articolo originale QUI.

Risultato simile prendendo in esame il trend in Australia. La freccia rossa indica l'inizio delle vaccinazioni di massa sui bambini
La figura parla chiaro. I casi di morbillo sono saliti l'anno scorso a 644, quasi quanto la somma di casi nell'ultimo decennio. E le prospettive sono negative se si pensa che il numero di casi confermati nel solo gennaio 2015 è già a quota 84, concentrati in solo 14 dei 48 stati continentali degli USA, ad indicare una diffusione ancora nelle prime fasi. Non è nemmeno casuale che uno dei focolai dell'infezione sia stato il parco divertimenti di Disneyland, un luogo "ovvio" in quanto concentra in un'area ristretta e molto affollata quelli che sono i soggetti sensibili per definizione (se non vaccinati): i bambini. Soggetti che al loro rientro a casa e prima della comparsa dei segni rivelatori del morbillo avranno tutte le occasioni per diffondere il virus a scuola o durante le attività ricreative.
Nota. Sebbene possa sembrare ovvio, vale la pena sottolineare che il motivo per cui negli anni passati la frequentazione degli stessi luoghi non abbia alterato sensibilmente il numero di casi di morbillo, a parità di soggetti portatori sempre presenti nella popolazione, era legato al superamento della soglia minima di individui resistenti che rendevano molto difficile al virus trovare "terreni di coltura" adatti. E qui torniamo al concetto di herd immunity che nel caso del morbillo (vedi figura sopra) deve essere superiore al 85-90% dei membri della popolazione in esame. Se prendiamo la popolazione complessiva è probabile che il valore sia (di poco) ancora superiore; se prendiamo però la sottopopolazione degli under-15 (quelli che compongono scuole e campi gioco) tale valore cala drasticamente arrivando al 60%. Una vera "manna" per il virus del morbillo.
Contrarre una malattia così contagiosa come il morbillo ha immediate ripercussioni sulle comunità colpite e i racconti forniti dal New York Times sono emblematici; ne citerò di seguito alcuni.
Le scuole hanno ad esempio cominciato con il vietare la frequentazione ai soggetti non vaccinati (sia perché "a rischio" che per rallentare la diffusione dell'epidemia). Stessa cosa per feste di compleanno e attività sportiva dei ragazzi (attività molto più comuni che da noi).
Un caso emblematico lo si è avuto nella contea di Riverside (a est di Los Angeles), dove in seguito alla malattia di un dipendente della scuola si è deciso per sicurezza di lasciare a casa 40 studenti non vaccinati
A questo si aggiunge una crescente stigmatizzazione verso coloro ora additati come "irresponsabili egoisti" che per una idea personale hanno di fatto messo a rischio l'intera comunità; ricordiamoci infatti che la vaccinazione è SOPRATTUTTO utile per tutelare coloro che per motivi sanitari (anziani, immunodepressi, bambini pre-vaccinazione) non sono o non possono essere vaccinati. Si è quindi passati da una filosofia permissiva nelle piccole comunità basata sul "se non credi nella vaccinazione, sei libero di non farla" ad esplicite accuse ai vicini per "comportamento negligente e criminale che lede la mia sicurezza e non solo la tua".
Molti negozi hanno cominciato ad affiggere avvisi sulle vetrine con inviti alle persone con famigliari malati a indossare mascherine prima di entrare.
Nota. Il problema principale associato al morbillo non è la "malattia in se" ma le complicanze che ad essa possono associarsi. Il fattore rischio aggiuntivo deriva da una capacità peculiare del virus del morbillo che è quella di essere un efficiente immunosoppressore. Minore attività del sistema immunitario si traduce in un aumentato rischio di sviluppare malattie causate da patogeni opportunisti. I numeri sono ancora una volta chiari: 1 bambino su 20 con morbillo contrarrà anche una polmonite (causa principale di decesso nei più giovani); 1 su 1000 si ammalerà di encefalite (causa di convulsioni e potenziale induttore di danni permanenti come sordità o ritardo mentale); ogni 1000 bambini che si ammalano di morbillo, 1-2  ne moriranno.
Numeri assolutamente inconcepibili e inaccettabili essendo il morbillo una malattia prevenibile.
Di fronte al tradursi del morbillo da una minaccia ipotetica ad un evento reale gli stessi attivisti del movimento anti-vaccino americano sono passati da una posizione "militante" compatta ad una divisione tra irriducibili ("preferisco che i miei figli perdano anche un semestre a scuola piuttosto che consentire l'iniezione delle tossine del vaccino" [parole testuali]) e dubbiosi corsi dal medico per una vaccinazione last minute dopo aver soppesato i rischi teorici al morbillo reale. Tendenza in aumento dopo che nuovi focolai di morbillo sono apparsi in Nebraska, Minnesota, New York e in varie contee californiane.
Nota. La corsa dell'ultimo minuto al vaccino è di suo indicativa di una certa ignoranza sui meccanismi di immunizzazione. Una volta ricevuta la vaccinazione sono necessarie circa 3 settimane perché la copertura immunitaria sia evidente (i primi anticorpi cominciano a circolare circa 8 giorni dopo l'esposizione). Non si tratta di una pozione magica o di una medicina che inizia ad esercitare l'effetto subito dopo l'assunzione
La Casa Bianca ha esortato i genitori ad ascoltare la scienza e non le dicerie prive di fondamento. Un simile appello viene dai funzionari della sanità dello stato dell'Arizona che hanno stimato in almeno un migliaio le persone ad immediato rischio di morbillo, esortando chiunque mostrasse i sintomi a contattare il proprio medico e a minimizzare i contatti con altre persone. Un timore sostanziato dal fatto che domenica sera a Phoenix (Arizona) ci sarà l'evento clou della stagione sportiva americana, il Super Bowl; si vuole evitare che l'evento sportivo (aggregatore di pubblico) diventi un nuovo trampolino di lancio per la diffusione del virus in aree ancora non colpite.
Le autorità del New Mexico, stato ancora "libero" da focolai, sono consapevoli di essere a rischio sia per la vicinanza con California e Arizona che per l'alto tasso di bambini non vaccinati, aumentati del 17 per cento nell'ultimo biennio.

Due parole sulle caratteristiche degli appartenenti al movimento anti-vaccino. Si tratta di una compagine alquanto eterogenea per censo, istruzione e motivazioni: andiamo da persone che ancora credono alla validità dell'articolo incriminato di cui sopra a movimenti religiosi che rifiutano pratiche mediche moderne (ad esempio gli Amish) fino alla sottocultura che incorpora idee post-new age e di salutismo assoluto. Una sottocultura molto in voga tra famiglie benestanti e istruite che vivono in quartieri esclusivi di Los Angeles e San Francisco che fanno del motto "all-natural" un modus vivendi per se e i propri figli (le interviste a divi hollywoodiani come Gwyneth Paltrow et similia sono molto indicative).
Una compagine sempre più estesa che lascia sconfortati molti pediatri di base che lamentano di "sentirsi proiettati indietro negli anni '50" data la percentuale di bambini non vaccinati negli asili che oscilla tra il 20 e il 40 per cento. "Le motivazioni addotte dai genitori per non farli vaccinare sono sempre legate a convinzioni personali" continua il medico intervistato "E' molto frustrante vedere un bambino ammalarsi e soffrire per qualcosa del tutto evitabile".
Nota. La protezione fornita dal vaccino trivalente è circa del 95%. Fate voi due calcoli tra la certezza di infezione tra un non vaccinato esposto e un vaccinato. Una differenza molto superiore a 95 volte dato che se nella comunità la soglia dei "resistenti" è superiore al 90% (Herd Immunity) la probabilità di "incontrare il virus" diventa meno che decimale.
Paradossalmente la percentuale di bambini vaccinati è inversamente proporzionale al reddito medio della contea: la classe medio-bassa è più propensa a seguire i consigli dei medici di quelli a reddito elevato. Un caso che mostra come il quoziente intellettivo non va di pari passo con il reddito ...


Un esempio pratico di Herd Immunity. All'aumentare della percentuale di vaccinati nella popolazione varia la velocità di diffusione di un virus. Alcuni valori corrispondono alle percentuali di vaccinati "reali" in alcune contee USA. Facile notare quanto la variazione al di pochi punti percentuali (sotto il valore soglia) abbia un profondo impatto sulla epidemia. La foto è una istantanea di un video flash disponibile sul sito del giornale inglese The Guardian. Clicca --> QUI per vedere la simulazione interattiva.
Se avete dubbi su quanto sia contagioso e pericoloso il morbillo, questo grafico ne evidenzia molto bene le caratteristiche (Credit:NYT)

***

Il problema però non riguarda solo il morbillo (ne ho discusso QUI) che pur con le complicazioni associate è meno distruttivo di altre malattie per cui esistono dei vaccini. Un esempio eclatante viene  dal caso della contea di San Geronimo, California, una bella area rurale sita 30 miglia a nord di San Francisco. Qui il 40 per cento degli studenti della locale scuola elementare non sono vaccinati per il morbillo e il 25 per cento non è stato nemmeno vaccinato contro il virus della polio. In totale il 58% dei bambini è carente per almeno una delle vaccinazioni standard.

Chiudo con il citare una chicca tratta sempre dall'articolo del New York Times che esemplifica al massimo il modo di pensare di alcuni che permangono nelle loro convinzioni anti-vaccino.
La signora McMenimen, una delle mamme che si trova con un bambino con il morbillo, risponde così al giornalista che chiede il perché della scelta di non vaccinare il figlio: "Tobias ha sopportato molto bene sia la varicella che la pertosse, e quest'ultima è stata come un comune raffreddore. Ho solo avuto la tentazione di fargli fare una antitetanica dopo che il bambino si era tagliato con il filo di un recinto ma poi ci ho ripensato. Ha un sistema immunitario così forte"
Credo non servano altri commenti

***

E l'Italia?
L'Italia è stata richiamata ufficialmente dall'OMS a causa del calo del tasso delle vaccinazioni obbligatorie. Sarebbe interessante confrontare i dati e pesarli in base ad aree geografiche, censo, livello di istruzione e origine delle famiglie inadempienti. Dati essenziali per capire come correggere un trend inammissibile.
Casi per milioni di abitanti: <1 (giallo); <10 (arancione); pois (>20)



(Articolo precedente su morbillo qui)


Fonti ulteriori oltre a quelle già citate nell'articolo
- Dal New York Times

  • Vaccine critics turn defensive over measles (31/1/2015)
  • As Measle Cases Spread in US, So Does Anxiety (31/1/2015)
  • Reckless Rejection of the Measles Vaccine (3/2/2015)
- Istituto Superiore di Sanità e Ministero della Salute
- Centers for Disease Control
- Mayo Clinic
- National Institutes of Health

***
Se volete affrontare l'argomento "quanto sono importanti i vaccini e perché" vi consiglio la lettura del libro scritto da Alberto Mantovani, uno che si occupa di scienza 365 giorni all'anno e che rappresenta un fiore all'occhiello della ricerca italiana in ambito internazionale. Il libro è scritto in modo semplice ma rigoroso, pensato apposta per informare e spiegare senza dogmatismi o dietro false ideologie




"Immunità e vaccini" di Alberto Mantovani
Clicca su Amazon.it per comprarlo o avere maggiori info

.
Powered By Blogger
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50"
Clive S. Lewis

"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato"
Bertrand Russel

"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita"
Karl Popper