Uno studio pubblicato su Nature suggerisce che i vaccini a mRNA contro il COVID-19 rendono le terapie antitumorali più efficaci.
Vero che con tutte le fufferie pubblicate oggi un tale risultato risulterebbe quantomeno sospetto ma il risultato non è in sé sorprendente proprio per il meccanismo d'azione del vaccino.
Proprio come il virus del morbillo è pericoloso non per la malattia che causa ma perché agisce spegnendo il sistema immunitario (rendendo l'organismo preda di microbi opportunisti) così i vaccini, e quello a RNA contro il COVID in particolare, agiscono stimolando la risposta immunitaria rendendo "visibili" bersagli prima poco immunogeni. E la immunoterapia antitumorale ne trarrebbe un beneficio indiretto.
Ma andiamo con ordine
Un primo articolo su questo effetto indiretto fu pubblicato dallo stesso team di ricercatori ad inizio 2025, studio basato sull'evidenza sperimentale che l'interferone 1 è in grado di massimizzare la risposta immunitaria e che i vaccini a RNA paiono attivare proprio questo tipo di interferone, evento che rende i tumori più "responsivi" al trattamento.
Il nuovo studio (pubblicato nelle scorse settimane) ha preso in esame i dati retrospettivi della sopravvivenza di pazienti (più di 1000) in terapia durante la pandemia che avevano ricevuto, nello stesso periodo, anche il vaccino, con studi condotti sugli animali di laboratorio per comprendere l''effetto indiretto del vaccino sulla terapia antitumorale.
I dati ottenuti hanno mostrato chiaramente che i pazienti che avevano ricevuto il vaccino a mRNA contro il COVID-19 entro 100 giorni dall'inizio dell'immunoterapia avevano una probabilità più che doppia di essere ancora vivi 3 anni dopo rispetto a coloro che non avevano ricevuto nessuno dei due vaccini (dati ovviamente normalizzati per i soli pazienti che non erano morti di COVID nel frattempo).
Nello specifico il gruppo vaccinato aveva un tasso di sopravvivenza globale a 3 anni del 55,7%, rispetto al 30,8% del gruppo non vaccinato, il che si traduce in una riduzione del 49% del rischio di mortalità associato al cancro.
Altro dato importante da menzionare è la terapia antitumorale di ultima generazione a cui tutti questi pazienti erano stati sottoposti era basata sugli inibitori dei checkpoint immunitari (ICI), che in termini semplici funzionano inducendo il proprio sistema immunitario a riconoscere e distruggere il tumore.
Uno dei meccanismi che spiega la resilienza dei tumori è che alcuni di questi si "nascondono" (letteralmente) dal sistema immunitario "spegnendo" le cellule immunitarie di pattuglia dando loro un falso messaggio che si traduce in "queste cellule sono ok. Nessun attacco".
Gli inibitori dei checkpoint consentono alle cellule immunitarie, come i linfociti T, di riconoscere ed eliminare le cellule tumorali in modo più efficace. Il problema è che questa terapia avanzata funziona solo per una frazione di pazienti in quanto alcuni tumori continuano a rimanere "invisibili" al sistema immunitario anche quando rafforzato.
I vaccini a mRNA danno una "scossa" al sistema che diventa ancora più efficiente nello scovare qualunque cosa sia anomala (dai microbi alle cellule malate).
Dato confermato dagli studi sugli animali che hanno evidenziato come tra gli effetti di questi vaccini vi sia una impennata nella produzione di interferoni di classe I, in particolare di uno chiamato interferone alfa. Incremento che induce una attivazione del sistema immunitario innato, che facilita il lavoro dei linfociti T nel riconoscere e attaccare gli antigeni associati al tumore. L'azione dei linfociti T in genere provoca una risposta difensiva da parte delle cellule tumorali che iniziano a produrre una molecola che agisce come un freno sul sistema immunitario; freno che però in questo caso viene reso inefficace dalla terapia con inibitori dei checkpoint immunitari.
Bisognerà ora capire come sfruttare questo sistema in modo che sinergizzi con ogni terapia antitumorale.
Fonti
- SARS-CoV-2 mRNA vaccines sensitize tumours to immune checkpoint blockade
Adam J. Grippin et al, (2025) Nature
- Sensitization of tumours to immunotherapy by boosting early type-I interferon responses enables epitope spreading.
Qdaisat S. et al. (2025) Nat. Biomed. Eng
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