Il paradosso dell'obesità. Si vive meglio e più a lungo ma solo se si fa attività fisica
Alcuni anni fa, Mercedes Carnethon, ricercatrice presso la Feinberg School of Medicine alla Northwestern University, cominciò a riflettere su un enigma: se da una parte l'obesità è il fattore di rischio principale per diabete di tipo 2, è anche evidente che persone con peso normale possono sviluppare la malattia.
Una evidenza al netto di predisposizioni genetiche che rendono alcuni soggetti più suscettibili a certe malattie come il diabete. Neil Ruderman, un endocrinologo della Boston University, già nel 1981, identificò persone "metabolicamente obese ma normopeso", individui con un indice di massa corporea (BMI) nella norma ma affetti da alterazioni metaboliche come insulino-resistenza e alti livelli di trigliceridi, che facilitano il deposito dei grassi viscerali (pericolo per gli organi interni) invece che su fianchi e cosce.
Dall'analisi comparativa dei suoi pazienti la Carnethon scoprì qualcosa di ancora più curioso: i pazienti diabetici di peso normale avevano il doppio delle probabilità di morire rispetto a coloro che erano sovrappeso. Un fenomeno noto come il paradosso dell'obesità riassumibile con il fatto che pazienti in sovrappeso e moderatamente obesi affetti da alcune malattie croniche vivono spesso più a lungo e stanno meglio dei normopeso con gli stessi disturbi. Esempi di malattie croniche associate a questo paradosso sono insufficienza cardiaca, ictus, malattie renali, pressione alta e diabete.
Carl Lavie, direttore del centro di riabilitazione cardiaca al John Ochsner Heart e Vascular Institute di New Orleans, è stato uno dei primi ricercatori a documentare tale paradosso nel 2002 riuscendo solo molti tentativi a pubblicare le sue scoperte su una rivista scientifica. Una difficoltà comprensibile dato che le sue osservazioni andavano contro il "senso comune scientifico" facendo ipotizzare ai revisori che vi fosse qualcosa di sbagliato nei dati raccolti o nel metodo di analisi usato.
In effetti come si poteva da una parte lanciare l'allarme sui rischi dell'obesità e dire nello stesso momento che come questo stato poteva anche agire come fattore protettivo?
I dati in letteratura erano però troppi, anche se sparsi, perché fossero catalogabili come aneddotici. Tra questi uno studiomostrava che i pazienti sovrappeso che necessitavano di dialisi avevano una minore probabilità di morire per complicanze rispetto a pazienti simili ma normopeso o sottopeso. Nel 2007, un altro studio condotto su più di 11 mila canadesi seguiti nel corso di un decennio evidenziò che quelli sovrappeso avevano una minore probabilità di morire (per qualsiasi causa).
In altre parole è meglio essere grassi e fare attività fisica che normopeso e sedentari.
Una conclusione certificata nel 2005 quando l'analisi dei dati contenuti nel National Health and Nutrition Examination Survey mostrò come i maggiori rischi di morte si collocavano alle due estremità dello spettro, essere cioè sottopeso o gravemente obesi. Le persone sovrappeso (BMI da 25 a 30) avevano il rischio più basso in assoluto mentre l'obesità moderata (BMI da 30 a 35) presentava un rischio non superiore ai normopeso sedentari.
Una buona notizia per coloro che faticano a buttare giù i chili di troppo e si lasciano per questo scoraggiare: pensate invece che gran parte dei benefici li avete già catturati, anche se non ve ne siete accorti.
Carl Lavie, direttore del centro di riabilitazione cardiaca al John Ochsner Heart e Vascular Institute di New Orleans, è stato uno dei primi ricercatori a documentare tale paradosso nel 2002 riuscendo solo molti tentativi a pubblicare le sue scoperte su una rivista scientifica. Una difficoltà comprensibile dato che le sue osservazioni andavano contro il "senso comune scientifico" facendo ipotizzare ai revisori che vi fosse qualcosa di sbagliato nei dati raccolti o nel metodo di analisi usato.
In effetti come si poteva da una parte lanciare l'allarme sui rischi dell'obesità e dire nello stesso momento che come questo stato poteva anche agire come fattore protettivo?
I dati in letteratura erano però troppi, anche se sparsi, perché fossero catalogabili come aneddotici. Tra questi uno studiomostrava che i pazienti sovrappeso che necessitavano di dialisi avevano una minore probabilità di morire per complicanze rispetto a pazienti simili ma normopeso o sottopeso. Nel 2007, un altro studio condotto su più di 11 mila canadesi seguiti nel corso di un decennio evidenziò che quelli sovrappeso avevano una minore probabilità di morire (per qualsiasi causa).
Tra le ipotesi avanzate per spiegare il fenomeno vi la "pista metabolica": si ritiene che con il manifestarsi di una patologia cronica si abbia anche uno spostamento del metabolismo verso le attività cataboliche, il che significa che chi ha maggiori riserve caloriche sarà avvantaggiato .L'attività fisica è un elemento fondamentale ed è dominante, come impatto, rispetto al solo BMI. Il primo infatti non necessariamente porta ad una diminuzione del peso ma ha un pesante impatto nella "rimozione" dei grassi viscerali e, a cascata, nella diminuzione del fattore di rischio associato alle malattie metaboliche.
In altre parole è meglio essere grassi e fare attività fisica che normopeso e sedentari.
Una conclusione certificata nel 2005 quando l'analisi dei dati contenuti nel National Health and Nutrition Examination Survey mostrò come i maggiori rischi di morte si collocavano alle due estremità dello spettro, essere cioè sottopeso o gravemente obesi. Le persone sovrappeso (BMI da 25 a 30) avevano il rischio più basso in assoluto mentre l'obesità moderata (BMI da 30 a 35) presentava un rischio non superiore ai normopeso sedentari.
Una buona notizia per coloro che faticano a buttare giù i chili di troppo e si lasciano per questo scoraggiare: pensate invece che gran parte dei benefici li avete già catturati, anche se non ve ne siete accorti.
Nessun commento:
Posta un commento