E se la prossima pandemia (perché ci sarà) venisse da qualcosa di ben diverso da un virus, il parassita per antonomasia, ad esempio da un fungo?
Questo è l’argomento che esplora il libro “Blight: fungi and the coming pandemic”. Non un romanzo ma un saggio scientifico che esplora una minaccia emergente per la salute pubblica figlia sia della globalizzazione che del riscaldamento globale.
In verità non si tratta di una minaccia mai sentita essendo stata descritta sia in videogiochi/serie TV (The last of us), che in libri di SF (The Genius Plague). Ma, come si suol dire, la realtà supera di molto la fantasia come ben evidente in Natura, dove abbiamo funghi che zombificano le formiche per renderle vettori di disseminazione delle spore o, in tutt'altro scenario, l’ecatombe dei castagni americani, descritta anche nel bel libro di bryson “Una passeggiata nei boschi”.
Delle formiche zombie ne ho scritto in dettaglio in un precedente articolo a cui vi rimando (vedi QUI), mentre sui castagni ne riassumo ora gli eventi.
Nell’estate del 1904 i castagni americani (Castanea dentata) del Bronx, dove ha sede il famoso zoo, cominciarono a mostrare evidenti alterazioni. Le foglie, tipicamente sottili e di un verde brillante, mostrarono prima bordi arricciati per poi diventare gialle; su rami e tronchi comparirono in alcuni casi strane chiazze color ruggine. Dal momento della rilevazione dei primi sintomi fu sufficiente 1 anno perché tutti tutti gli alberi di castagno nei dintorni risultassero moribondi. Passa qualche decennio (siamo intorno al 1940) e tutti i castagni americani nativi (siti nella zona orientale degli USA, lungo la catena degli Appalachi) erano oramai morti o moribondi.
Un castagno infetto |
Il colpevole era un fungo (Cryphonectria parasitica) causa del cancro corticale del castagno, importato casualmente insieme ad esemplari di castagni giapponesi.
I castagni americani sono invece più resistenti ad un altro fungo, Phytophthora cambivora, di cui soffrono i castagni europei e che causa il cosiddetto mal dell'inchiostro.
I castagni giapponesi, evolutisi per contrastare un parassita endemico, funsero da "portatori sani" del fungo che una volta approdato nel nuovo mondo si trovò di fronte delle "vittime" prive di difese finendo così per soccombere, tranne in alcune aree isolate (lontane dalla minaccia fungina) come il Rock Creek Park.
Nelle foreste un tempo dominate da castagni maestosi, alti come un edificio di 9 piani, sopravvivono (a tempo) alcuni castagni immaturi nati dalle radici ancora vive di alberi morti. Purtroppo per loro questi germogli non hanno alcuna speranza di sopravvivere fino all’età adulta per svettare; il fungo è ancora lì pronto a colonizzare gli alberelli nel momento in cui germogliano.
Il destino del castagno americano è solo un esempio della devastazione che i funghi possono provocare,
Il libro prima menzionato ci offre un resoconto illuminante, e a volte macabro, delle malattie fungine che minacciano pini, banane, rane, pipistrelli e, sempre più, le persone.
Sia chiaro, non tutti i funghi sono nocivi come ben dimostrano le forme commestibili (o che aiutano nella preparazione di cibi e bevande come i lieviti) e soprattutto i funghi saprofiti, fondamentali nella decomposizione degli organismi morti, rimettendo i circolo gli elementi essenziali per la vita. Ad esempio il legno degli alberi defunti, tra i materiali più resistenti alla decomposizione, rimarrebbe li per “sempre” se non fosse per l’azione combinata di di batteri e (su tutto) funghi.
Il problema è quando organismi non autoctoni si trovano trapiantiati (trasportati insieme alle merci) in posti in cui non hanno né nemici naturali né competitori. Se questo vale per animali e piante “aliene”, vale ancora di più per organismi microscopici ben più difficili tra controllare. Le conseguenze possono essere catastrofiche
Esempi in tal senso (dette specie aliene ... per un dato territorio) sono purtroppo innumerevoli e vanno dallo scoiattolo grigio al pitone in Florida (ne ho scritto QUI), dai gamberetti ai funghi, ... . QUI un elenco più esaustivo.
Fortunatamente*, noi mammiferi siamo troppo caldi per essere appetibili per la maggior parte dei funghi. Un dato ben evidente da chi ha esperienze di laboratorio, che sa che i funghi crescono preferenzialmente a 30 gradi, mentre le cellule di mammifero e i batteri di uso comune (derivati non a caso da ceppi colonizzanti l’intestino, come E. coli) necessitano di 37 gradi. I nostri corpi sono l’equivalente della Valle della Morte per molti funghi. Laddove le condizioni siano "permissive" per i funghi, ecco che gli animali sociali come formiche e termiti applicano procedure di rimozione drastiche per gli infetti.
* una affermazione che è implicitamente vera, ricalcante il famoso principio antropico: se non fosse così (i funghi non avessere questo punto debole) noi non saremmo qui a parlarne ma come mammiferi saremmo diventati loro cibo preferito fin dai tempi della comparsa del "sangue caldo" nei vertebrati
Altro ostacolo per i funghi viene dal nostro sistema immunitario abile (ancora, ha DOVUTO diventarlo) nel riconoscere e respingere i potenziali invasori fungini che nella maggior parte dei casi rimangono confinati nella loro azione su mucose, cute e unghie). Protezione che dura almeno fintanto che il sistema immunitario funziona a dovere come ben sanno le persone con immunodeficienze esposte ad attacchi molto pericolosi da parte di funghi come la Candida che nei soggetti sani sono al più un fastidio.
Ma non si tratta di una protezione perenne come la certezza che un batteriofago (virus batterici) che per quanto abbondanti ( nel mare se ne possono trovare fino a 10^7 fagi/ml) non potranno mai e poi mai, qualsiasi siano le mutazioni, diventare capaci di infettare una cellula eucariote.
I cambiamenti climatici sono oggi una variabile di cui si deve tenere conto. Il riscaldamento globale ha già reso possibile la migrazione di specie in territori prima a loro preclusi (vedi il mar mediterraneo e le specie tropicali) e i funghi potrebbero essere forzati ad adattarsi a temperature più elevate, diventando così meno “intolleranti” alle nostre temperature.
Cito la Candida auris che nell’ultimo decennio si è adattata diventando capace di infettare le persone fino a diventare un fattore di rischio concreto nelle strutture sanitarie (vedi qui), già prone per loro natura a facilitare la selezione e diffusione dei superbatteri. Anche altre infezioni fungine umane, come la coccidioidomicosi potrebbero presto seguire in questo adattamento.
Un rapido sguardo sulle pandemie fungine che oggi colpiscono altre specie ci offre una lezione sul loro potenziale effetto devastante, se avvenissero in tempi rapidi, senza dare il tempo al “bersaglio” di sviluppare contromisure.
- Il Fusarium è un fungo che oggi minaccia piante già di loro sensibili come i banani (ricordo che si tratta di fatto di cloni creati per produrre frutti commestibili senza semi e proprio per tale assoluta omogeneità esposti al rischio di attacco distruttivo su larga scala)
- Lo Pseudogymnoascus destructans è responsabile della strage di pipistrelli colpiti dalla sindrome del naso bianco, che li fa letteralmente morire di fame in quanto ne consuma, durante il periodo invernale di stasi, tutte le riserve di grasso. I cadaveri degli animali alati affollano molte caverne negli USA.
- Batrachochytrium dendrobatidis ha preso di mira le rane in America Centrale, una strage ora spostatasi in altre aree dove si osserva un drastico calo della popolazione degli anfibi.
Chiaro che, in un arco di tempo sufficiente, le piante e gli animali colpiti possono adattarsi per gestire meglio i nemici fungini come avvenuto per le rane nel Parco Nazionale di Yosemite, che nonostante siano infette non mostrano più i segni della malattia, oppure i pini dalla corteccia bianca (Pinus albicaulis) degli Stati Uniti occidentali che, a differenza dei cugini pini bianchi della costa orientale, hanno geni per la resistenza alla malattia nota come ruggine del pino bianco (endemica nell'area da circa un secolo)
Potrebbe aiutare anche l’ausilio di tecniche di ingegneria genetica, come stanno cercando di fare alcuni ricercatori, mediante l’inserimento di geni per la resistenza presi dai resistenti (come i castagni giapponesi) per inserirli nei cugini americani,
In caso di pandemia umana potremmo non avere il tempo necessario per "adattarci" e di sicuro non potremmo godere di tecniche di ingegneria genetica per renderci resistenti. Quindi meglio che non accada
Libri suggeriti sul variegato universo dei funghi ... a cominciare da "Funghipedia"
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