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Il tumore contagioso nei cani. Origini e genetica

Il cancro è la conseguenza della perdita di una serie di meccanismi di controllo proliferativo e differenziativo in una cellula e nella sua discendenza. Sottolineo che l'esito non è "solo" la proliferazione incontrollata delle cellule alterate ma soprattutto l'alterazione di equilibri tissutali e sistemici.
Per comprendere l'impatto distruttivo del cancro pensiamo ad un organo il cui funzionamento viene meno perché l'organizzazione interna è alterata dallo sbilanciamento nella tipologia di cellule presenti (in genere con l'accumulo di cellule non differenziate) e dalla invasione delle stesse nelle aree adiacenti "normali" con conseguente alterazione delle proprietà funzionali di tutto l'organo.
L'effetto "distruttivo" del tumore può inoltre essere trasmesso alle cellule sane in modo indipendente dall'invasione tissutale, grazie alla produzione di segnali chimici che ne modificano il comportamento. Nei tumori solidi il percorso è in genere un susseguirsi di displasia (variazione forma), iperplasia (aumento numero cellule ma senza fuoriuscita dalla membrana basale nel caso di tessuti epiteliali), neoplasia, neovascolarizzazione ed eventualmente disseminazione. Un processo multi-step che in organi delicati e autolimitati spazialmente come il cervello ha un quasi immediato impatto disfunzionale. Nelle leucemie invece molti dei problemi sono la conseguenza di uno sbilanciamento nella tipologia di cellule prodotte, conseguenza di mutazioni nel bacino di cellule midollari non differenziate che favorisce un percorso differenziativo (spesso incompleto) a discapito di altri. In altre parole alcuni tipi di cellule del sangue si riducono di numero e altri sono in eccesso e/o solo parzialmente funzionanti. Da qui problemi che possono andare da anemia, problemi nella coagulazione alla depressione immunitaria (e quindi sensibilità a infezioni).
All'interno della variabilità nei meccanismi che possono provocare il cancro, il punto fermo è che NON si tratta di una malattia contagiosa (vedi sotto quando e perché invece un "contagio" è teoricamente possibile). Il motivo è semplice e non ammette deroghe: ogni cellula estranea che penetra nel nostro organismo viene considerata un nemico e come tale distrutta immediatamente. Nessuna sorpresa dato che questa è la ragione del rigetto dei trapianti o di trasfusioni di sangue non compatibile. La differenza tra un tumore ed una malattia causata da un "agente estraneo" è proprio nel fatto che le cellule tumorali sono cellule "nostre" (la definizione corretta è self) e come tali il nostro sistema immunitario è programmato ad ignorarle (grazie ad un processo noto come "selezione negativa"); quando questo meccanismo funziona male ecco comparire le patologie autoimmuni, in cui il "self" è scambiato per estraneo ("non-self") e quindi attaccato. 
Le cellule tumorali che per definizione proprio normali non sono (e quindi con marcatori che potrebbero farle identificare come non-self) dovrebbero quindi essere eliminate in quanto "diverse dal sé". Un processo che in effetti avviene durante tutta la vita e che spiega per quale motivo un tumore conclamato sia una possibilità e non una certezza nell'arco di una vita media di 75 anni e con innumerevoli divisioni cellulari avvenute. Tuttavia sappiamo altrettanto bene che sviluppare un tumore è una possibilità reale che deve essere spiegata con la sua capacità di eludere in qualche modo i meccanismi di controllo. Le modalità sono varie ma riassumibili in "mascherandosi" da cellule normali (mediante la riduzione dei marcatori di superficie anomali) oppure "istruendo" il sistema immunitario ad ignorare queste cellule reclutando in loco i linfociti T regolatori.
Non si tratta, come potrebbe apparire, di una regolazione "stupida" in quanto pro-tumorale ma di un processo normale (e fondamentale) con il quale si evita che permangano stati infiammatori di lungo periodo che sono di per sé causa di danni tissutali.
In pratica il trucchetto usato dalle cellule tumorali equivale a dire alle pattuglie del sistema immunitario "guarda che siamo self! Non vedi che abbiamo questi segnali che ci identificano come tali?". Se il messaggio è ben modulato, i linfociti Treg bloccano il reclutamento nel sito delle cellule deputate alla eliminazione dell'invasore, fungendo quindi da "complici inconsapevoli" del mantenimento prima e dell'accrescimento poi del tumore.
Tali escamotages non sono possibili con le cellule esogene in quanto immunologicamente diverse dal self. Anche qui l'evoluzione ha selezionato strategie elusive con le quali alcuni patogeni sfuggono al riconoscimento nascondendosi dentro le cellule dell'ospite o mimetizzandosi con marcatori self.
Questa è la ragione per cui NON si può contrarre un tumore come se fosse un agente infettivo anche qualora si ricevesse una trasfusione contenente cellule tumorali. Salvo una eccezione, cioè che il ricevente ed il donatore siano geneticamente omogenei; questo è il motivo per cui quando si studia la propagazione di un tumore in animali di laboratorio si usano animali singènici e/o con sistema immunitario deficitario. In assenza di queste condizioni il tumore non "attecchisce" una volta trasferito in un animale diverso da quello di partenza.

Eziologicamente il tumore è la conseguenza di un certo numero di mutazioni in geni chiave in grado di conferire un vantaggio proliferativo rispetto alle cellule normali. In alcuni casi l'input disregolatorio arriva, oltre che da agenti mutageni esterni quali sostanze chimiche o radiazioni,  anche da virus, noti non a caso come oncovirus. I virus sono per loro natura capaci di modificare il comportamento di una cellula reindirizzando il suo "macchinario" per creare copie di se stessi  a scapito della funzionalità cellulare. Alcuni virus non si limitano a sfruttare questo macchinario come farebbe un "banale" virus dell'influenza, ma riprogrammano la cellula in modo tale che da uno stato quiescente (poco utile per alcuni di loro) passi a quello proliferante. Mentre in alcuni animali sono noti virus "francamente" oncogenici (--> virus del sarcoma di Rous) negli esseri umani solo pochi virus (HTLV e alcuni papilloma virus) hanno tale capacità e in genere "solo" come aumentato rischio; alcuni di questi mostrano tale effetto solo in presenza di condizioni facilitanti come uno stato immunitario e/o nutrizionale precario. Il virus di Epstein Barr (EBV) è un esempio classico in tal senso.
L'EBV nei paesi occidentali causa una "banalissima" e spesso asintomatica mononucleosi mentre altrove è stato correlato con il carcinoma nasofaringeo (Sud-Est asiatico) o con il linfoma di Burkitt (Africa equatoriale e Maghreb), tumori altrimenti rarissimi. Si ritiene che le concause che determinano esiti così diversi siano da ricercarsi nello stato di salute generale (quindi anche l'alimentazione), genetica predisponente e nella presenza di infezioni concomitanti (malaria ma non solo) che "sovraccaricano" il sistema immunitario rendendolo meno capace di montare una risposta efficace contro il virus. Per capirci il 90% delle persone occidentali sopra i 14 anni ha anticorpi contro EBV ad indicare l'avvenuto contatto con il virus (e successiva eradicazione); non a caso la mononucleosi è chiamata la malattia del bacio ad indicare la modalità di trasmissione e la banalità dei sintomi che in genere non vanno al di là di qualcosa di simile ad una lievissima influenza.
Ho scritto prima che i tumori non sono trasmissibili tra individui diversi della stessa specie purché sussistano certe condizioni. Ripetiamole:
  • il sistema immunitario deve essere funzionante. In caso di malfunzionamenti il sistema di monitoraggio viene meno e questo spiega perché nei soggetti immunodepressi come i malati di AIDS la frequenza di tumori altrimenti rarissimi come il sarcoma di Kaposi sia alta.
  • Il pool genetico della popolazione deve essere ampio. Non parliamo qui di differenze elevate (come quelle tra specie diverse anche se simili) ma è sufficiente quel decimale di differenza genetica che esiste all'interno della popolazione umana perché compaia una incompatibilità de facto (i trapianti che non necessitano di immunosoppressione sono possibili solo tra gemelli o fratelli "compatibili"). Una variabilità che viene meno nelle popolazioni rimaste isolate per generazioni o in cui per qualunque ragione vi sia stata una elevata frequenza di incroci tra consanguinei; l'immediata conseguenza è che il tasso di omozigosi è maggiore del "normale", il che a cascata comporta sia un aumento della frequenza di alleli deleteri che una minore variabilità genetica.
Ed è proprio il secondo punto che spiega l'esistenza di tumori "contagiosi" descritti in animali come i cani e il diavolo della Tasmania. Le cause sono diverse ma l'esito identico.
Nel caso del cane è il concetto stesso di "razza" che spiega l'uniformità genetica; molte razze canine sono relativamente recenti e sono state create dall'uomo mediante incroci selettivi per fare emergere un dato carattere. Se la popolazione di partenza non è ampia, oltre a selezionare il carattere voluto si accumulano alleli deleteri, un fenomeno ben evidente nella sensibilità di alcune razze di cani a malattie anche molto serie.

Il tumore nel diavolo della Tasmania
Credit: R. Hamende/Nature
Nel caso del diavolo della Tasmania il problema (di cui ho parlato in precedenza --> "Una minaccia mortale per il Diavolo della Tasmania") deriva dal suo vivere in un'area geograficamente ristretta e con un numero di individui non sufficiente per mantenere una variabilità genetica adeguata. Un collo di bottiglia genetico che riduce drasticamente le differenze genetiche tra un individuo e l'altro (e che le rende meno capaci di "adattarsi" alle variazioni ambientali).

Il tumore contagioso nel cane
Cosa succede se all'interno di popolazioni geneticamente povere compare (come è "normale" che avvenga essendo il tumore un "accidente" fisiologico) un tumore che colpisce aree esposte dell'animale che entrano spesso in contatto con quelle dei consimili? 
Può comparire e diffondersi il tumore venereo trasmissibile (CTVT), erroneamente attribuito all'inizio ad un oncovirus, una ipotesi oggi esclusa.
Si tratta invece di un tipico esempio di trasmissione tumorale mediata da cellule, tra individui geneticamente compatibili. Il trasferimento di cellule tumorali dall'epitelio dell'apparato urogenitale di un cane malato al ricevente può avvenire sia durante l'accoppiamento che per il quotidiano processo di identificazione olfattiva ravvicinata, in cui il muso va a contatto con l'area genitale. Non è un caso che il tumore si localizzi principalmente sul muso e sui genitali.

Un fenomeno questo possibile solo tra individui geneticamente omogenei o (ma per ragioni complementari) con un sistema immunitario deficitario.

Un cane con tumore localizzato
nell'area genitale
(credit: BMC)
La comparazione del DNA ottenuto da diverse biopsie tumorali, ha permesso inoltre di determinare l'età di questo tumore. Un concetto associato a quando detto prima, cioè che il CTVT non è un tumore che compare ex-novo ma è uno stesso tumore che si propaga da innumerevoli generazioni e che è diventato capace di farlo (passare da un cane all'altro) in quanto ha accumulato le caratteristiche funzionali per farlo.
L'analisi genetica fa risalire il tumore originale a 11 mila anni fa, un caso incredibile di un tumore sopravvissuto al suo "soggetto zero" e trasmesso in modo orizzontale (da un cane all'altro e NON in modo ereditario) grazie ad una serie di concause, tra cui il processo di domesticazione del cane che ha ridotto la variabilità genetica della popolazione
Per quanto diversi possano sembrare un alano da uno yorkshire, sono di gran lunga più simili tra loro rispetto a due umani originati da aree geografiche diverse (il che ha senso in quanto le razze canine sono molto recenti - spesso meno di 200 anni - mentre alcune popolazioni umane non hanno avuto più contatti tra loro negli ultimi 30 mila anni (vedi --> QUI). Il "paziente zero" dell'epidemia canina si ritiene assomigliasse, confrontandolo con le razze attuali, ad un Alaskan Malamute.
In tutto questo tempo il tumore si è mantenuto ed adattato (si stimano in 2 milioni il numero di mutazioni acquisite) solo mediante il trasferimento orizzontale, cioè il passaggio da un cane all'altro.
Molto interessante a tal proposito lo studio "genealogico" pubblicato sulla rivista eLife da un team internazionale guidato da ricercatori della  università di Cambridge, si è concentrato sul DNA mitocondriale prelevati da 449 tumori CTVT da cani in 39 paesi nei sei continenti.
Il mitocondrio
I mitocondri, le centrali energetiche delle cellule, sono  organelli di origine batterica (risultato di una simbiosi spinta al massimo avvenuta circa 1,5-2 miliardi di anni fa) che mantengono ancora un proprio DNA distinto da quello nucleare. Lo studio delle variazioni del DNA mitocondriale è particolarmente utile nella ricostruzione di alberi filogenetici che si spingono molto lontano nel tempo.
 Studi precedenti avevano mostrano che durante "la storia evolutiva di questo tumore" si erano verificati trasferimenti di mitocondri dalle cellule dell'animale "infettato" alle cellule tumorali, poi tramandate alla discendenza delle cellule tumorali attraverso i secoli. Un trasferimento che probabilmente ha fornito al tumore gli strumenti per sopravvivere
Nel nuovo studio i ricercatori hanno potuto quantificare in cinque il numero di volte in cui questo "passaggio" è avvenuto dalla comparsa del tumore nel "cane zero". Un dato che ha permesso, oltre che di ricostruire in modo dettagliato la storia del tumore, di provare che il trasferimento dei mitocondri da una cellula è l'altra è possibile (un evento mai osservato prima nei tumori).

 All'interno di questo albero genealogico del tumore, i cinque eventi indipendenti sono stati assimilati a cladi, rami rappresentanti un punto della storia in cui i mitocondri sono passati dal cane al tumore. Mappando i tumori all'interno di questi cladi e rapportandoli alla localizzazione geografica, i ricercatori hanno mappato la via di diffusione con il risultati di osservare una sovrapposizione con i flussi migratori (o commerciali) dell'essere umano nella sua storia.
Uno di questi rami sembra essersi originato dalla Russia o dalla Cina circa 1000 anni fa mentre un altro, verosimilmente associato ai coloni europei, compare nelle americhe circa 500 anni fa. L'arrivo in Australia è invece molto più recente (fine del ventesimo secolo) data l'assenza del cane in queste aree (ricordo che il dingo NON è un cane).
La distribuzione attuale dei 5 cladi (courtesy of the Cambridge University)


Di seguito un video riassuntivo dei risultati dello studio.
Se non vedete il video, cliccate --> YouTube

I dati sono molto importanti sia per la conoscenza dei tumori contagiosi, che tanti danni hanno provocato nei cani ma soprattutto nel Diavolo della Tasmania spinto sull'orlo dell'estinzione, che per la biologia del cancro. La scoperta della capacità delle cellule tumorali di "catturare i mitocondri" per guadagnare vantaggi selettivi, potrebbe tradursi nello sviluppo di nuove terapie.


Fonte
- Mitochondrial genetic diversity, selection and recombination in a canine transmissible cancer
Strakova, A et al. (2016) eLife, DOI:10.7554/eLife.14552

- How a contagious dog tumour went global
Nature (2014) 

- Canine infectious cancer has spread to all corners of the world
BioMed Central (2014)




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