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Non tutti gli animali invecchiano

Non tutti gli animali invecchiano
Una delle caratteristiche dell'invecchiamento è la progressiva perdita di funzionalità fisiologica, e quindi un calo di efficienza che comporta una riduzione della probabilità di sopravvivenza, vuoi per una ridotta capacità di sfuggire ai predatori, di procacciarsi il cibo o una maggiore predisposizione alle malattie.
Questo paradigma tuttavia non è universalmente vero. 
Chiariamo una cosa innanzitutto. E' ovvio che non si vuole qui parlare di probabilità cumulativa di morte. E' infatti chiaro che data una probabilità X di essere predati, costante per ogni adulto non malato, e ammettendo che nel decennio successivo la performance dell'animale rimanga inalterata, la sua probabilità di essere predato da qui a dieci anni sarebbe cumulativa. In altre parole sarebbe più probabile che un animale di nove anni arrivasse al decimo anno di età rispetto a quella di un animale di cinque anni. 
Il tema qui non è la probabilità cumulativa ma la variazione della probabilità X in funzione dell'età. Ad esempio un cervo anziano ha sicuramente meno probabilità di sfuggire ad un lupo solitario rispetto ad uno nel pieno della maturità. Un dato apparentemente ovvio per tutti gli esseri viventi, ma in realtà alcuni animali non solo non mostrano una diminuzione di probabilità di vita (in ambiente naturale) con l'età ma mantengono una capacità riproduttiva inalterata.  A questo secondo gruppo di animali appartiene il paguro, l'abalone rosso e l'idra
Immagine ingrandita dell'Idra
L'idra in particolare è un animale microscopico di acqua dolce che può vivere secoli, godendo di una fertilità e tassi di mortalità stazionari. Questo è solo uno dei dati presentati in uno studio comparativo su 46 specie, pubblicato sulla rivista Nature, che suggerisce l'esistenza di diverse "strategie di invecchiamento", eliminando il concetto di senescenza (ripeto, un deterioramento della vitalità e della fertilità in funzione dell'età) come caratteristica intrinseca alla vita.
Delle 46 specie analizzate, 12 sono mammiferi, 11 sono vertebrati diversi da mammiferi, 10 invertebrati, 12 piante vascolari e un'alga verde. Tra le 24 specie che mostrano il più brusco aumento della mortalità in funzione dell'età, 11 avevano cicli di vita relativamente lunghi. Un rapporto simile si ottiene se si parte da quelle specie con un tasso di mortalità in funzione dell'età meno marcato. I mammiferi si collocano principalmente nel primo gruppo, quello in cui è evidente l'effetto dell'invecchiamento; al contrario le piante si collocano all'estremità opposta dello spettro. Uccelli e invertebrati si distribuiscono invece in modo uniforme tra i due gruppi.
I mammiferi mostrano una maggiore tendenza rispetto ad altri vertebrati a mostrare i segni dell'invecchiamento una volta superato il picco dell'età riproduttiva. Sempre che ovviamente la superino, evento non scontato in natura. Non è forse un caso che il cane, l'animale più plasmato dall'uomo in seguito alle decine di migliaia di anni di coabitazione (e di adattamento), sia anche quello in cui possono comparire patologie da invecchiamento come l'Alzheimer. Questo fa di loro un buon soggetto di studi per la prova di funzionalità di farmaci in grado di contrastare tali sintomi.
Il problema ancora irrisolto è capire le ragioni fisiologiche alla base di queste differenze. Un confronto reso problematico dalle molte variabili coinvolte. Capire come e perché l'età agisca da discrimine negativo per la sopravvivenza equivale a tenere in considerazione sia fattori esogeni (predatori e cibo) che endogeni (efficienza fisiologica ma anche ad esempio le diverse dimensioni che possono agire come fattore positivo o negativo per la sopravvivenza).
Hal Caswell, un ecologo che si occupa di modelli matematici,  afferma che cercare di distinguere se il tasso di mortalità sia legato alla senescenza è un errore: "un aumento della mortalità in funzione dell'età rappresenta un calo nella capacità di affrontare i rischi di morte, indipendentemente dalla loro origine. Questa è la senescenza". Altri ricercatori, come Stephen Stearns, sono critici con questo approccio, "questo studio è utile solo per ricordarsi che i modelli di invecchiamento sono diversi, non che i modelli esistenti sono errati. Ciò richiederebbe misure empiriche estremamente difficili da ottenere quali il trade-off tra riproduzione e mortalità".

Insomma, pur avendo fatto passi da gigante nella comprensione molecolare dei difetti legati all'invecchiamento, rimangono i dubbi sul perché si siano affermati modelli che non contemplano l'invecchiamento e quali siano i sistemi molecolari in grado di preservare l'efficienza fisiologica con il tempo. E' chiaro che una popolazione "eternamente giovane" non può prescindere dal rimanere in equilibrio con l'ambiente, pena la distruzione del proprio ecosistema e quindi di se stessi. Organismi sfuggiti alla "condanna dell'età" sono molto probabilmente soggetti ad una tale decimazione da parte dei predatori che l'assenza di invecchiamento non è in grado di alterare gli equilibri ambientali, anzi forse serve proprio per mantenere la popolazione a livelli tali da evitarne l'estinzione.
Un tema alquanto interessante.
Nota a margine riguardo le piante (il tema è solo in parte simile a quanto prima discusso). In un articolo pubblicato recentemente su Nature un gruppo di ricerca americano ha valutato la crescita comparativa delle piante in base alla loro età (e quindi dimensione in questo caso). Dallo studio di oltre 670 mila alberi appartenenti a 403 specie abitanti sia aree temperate che tropicali si evince che oltre all'evidente balzo nella crescita nella fase giovanile della pianta, le piante "vecchie" purché non malate non solo continuano a crescere in modo sostenuto ma sono le vere responsabili dell'aumento di massa totale. Un esempio può meglio spiegare quanto detto: negli USA gli alberi con diametro maggiore di 1 metro sono solo il 6%, ma sono responsabili del 33% della crescita complessiva. Sebbene le foglie delle piante anziane siano meno efficienti di quelle delle piante giovani, il loro maggior numero aumenta la velocità di crescita della pianta. Il fatto che le foreste antiche (ricche di piante anziane) siano foreste in decadenza è quindi solo un mito.
(©Richard Schultz/Corbis/Nature)

(sull'argomento potrebbe interessarti anche l'articolo successivo, "Due o tre cose che il DNA della tartarughe ci può dire") e "Modificare l'espressione dei geni per ringiovanire".


Fonti
- Not all species deteriorate with age
Nature (2013) 14322

- Diversity of ageing across the tree of life
Owen R. Jones et al, Nature (2014) 505, 169–173

- Tree growth never slows
Jeff Tollefson, Nature gennaio 2014

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