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Nell'evoluzione del cervello, le dimensioni contano

In una riedizione della domanda se sia nato prima l'uovo o la gallina, i neuroscienziati si interrogano se le funzionalità superiori del cervello siano il risultato dell'aumento del volume complessivo oppure se il merito vada all'aumento relativo di aree specializzate rispetto ad altre.
Due sono le principali teorie che si fronteggiano per spiegare l'evoluzione del cervello. Da una parte quella che la selezione naturale abbia determinato cambiamenti progressivi in particolari aree del cervello, che hanno portato poi a cervelli complessivamente più grandi, utili per la sopravvivenza di quella specie. L'altra teoria afferma che si è prima avuto un aumento delle dimensioni complessive del cervello e solo dopo alcune aree si sono differenziate associandosi (e permettendo) a comportamenti e funzioni sempre più complessi.
Un argomento quello volumetrico a cui ho accennato in un precedente articolo (--> "Grande cervello, tanta potenza?").

Un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B da ricercatori della Cornell University fornisce nuovi elementi utili per pesare il contributo di entrambi gli aspetti. La conclusione che se ne trae è che sebbene il cervello dei vertebrati presenti un ampia gamma di dimensioni, strutture e funzionalità connesse, "la dimensione complessiva conta" (almeno in questo caso) perché possa iniziare il processo di neo-funzionalizzazione. Processo necessario ma non sufficiente dato che alcuni animali hanno cervelli dimensionalmente maggiori dei nostri ma senza che per questo siano catalogabili come dotati di funzioni cognitive superiori a quelle di un qualsiasi primate.

Il lavoro di Moore e DeVoogd è consistito nella misurazione del cervello di 58 uccelli canadesi appartenenti a 20 famiglie tassonomiche, sia nel suo insieme che riferite a 30 aree note per essere coinvolte nel controllo del comportamento.
La scelta degli uccelli come campione è legata all'essere animali molto ben studiati sia a livello comportamentale che fisiologico; il restringere il campo di studio alla sola classe Aves ha inoltre permesso di mantenere una certa omogeneità pur mantenendo la variabilità di comportamenti e nel volume del cranio.
Sebbene gran parte delle differenze nel volume relativo delle aree in esame fosse ascrivibile a differenze nel volume complessivo, sono emerse variazioni "indipendenti" in due zone funzionali specifiche. L'area per il controllo del canto era più sviluppata nelle specie il cui "canto" ha un maggior livello di complessità mentre le regioni preposte al controllo del becco e della cavità orale erano più sviluppate nelle specie con becchi corti e massicci (tipiche di uccelli che mangiano semi); al contrario l'area era poco sviluppata nelle specie con becchi lunghi e sottili, che tipicamente si nutrono di insetti.
Del resto aprire un seme è ben più complesso che mangiare una cavalletta come ben si può osservare nel filmato che segue che mostra un uccello intento a mangiare un seme di girasole: fa girare il seme con la lingua e nel contempo lo "manipola" con il becco in diversi punti fino a che trova il punto di rottura per estrarne il contenuto.
video: Extreme Close-up of a Cardinal eating sunflower seeds

I dati raccolti hanno permesso di concludere che la comparsa di specie con cervello progressivamente più grande ha fatto da battistrada ala comparsa di modifiche funzionali del becco e della cavità orale con ricadute che vanno dal tipo di nutrizione al canto, un aspetto che a sua volta richiede lo sviluppo di reti neurali più complesse (sia per essere modulato che per essere "compreso").
Una specie insettivora e dal canto semplice
Studiare lo sviluppo del cervello negli uccelli permetterà di acquisire informazioni riguardo lo straordinario (in senso sia funzionale che volumetrico - in rapporto al corpo) sviluppo del cervello negli esseri umani.
La comparsa di cervelli più grandi avrebbe infatti facilitato l'allocazione di spazi sempre maggiori ad aree che controllano funzioni "meccaniche" come quella del movimento della lingua, che hanno un impatto decisivo sullo sviluppo di funzioni superiori.

"Mantenere" un cervello come il nostro non è stata una scelta evolutivamente indolore in quanto implica un esborso di energia enorme, pari a circa il 20% del consumo totale a riposo, sebbene pesi solo il 2% del totale.
Fortunatamente siamo una macchina efficiente e il consumo in watt del cervello è stimabile in soli 12W (meno di una lampadina). 
I passaggi evolutivi che hanno permesso sia di sviluppare tale potenza funzionale che di permettersi "i costi di gestione" sono molteplici; cito solo l'aumento volumetrico della neocorteccia grazie alla comparsa dei solchi corticali (riconducibili ad una serie di mutazioni in geni chiave) e da un punto di vista comportamentale la cottura del cibo che ha moltiplicato il ricavo calorico a parità di cibo ingurgitato. Secondo altri è stata poi la progressiva costituzione di gruppi di individui a "favorire" la comparsa del linguaggio e di comportamenti sempre più complessi necessari per gestire l'interazione con i propri simili. Un passaggio che però si sarebbe bloccato se l'introito calorico fosse rimasto pari a quello dei nostri antenati australopiteci.
Perché si evolva (o meglio venga selezionato) un cervello grande non serve semplicemente "pompare" le dimensioni ma paradossalmente è necessario rallentare o allungare i tempi dello sviluppo. In questo modo si da più tempo (rispetto al totale) alla corteccia di formarsi. La corteccia, nelle sue varie forme tra cui la neocorteccia che è per dimensioni una esclusiva dei primati antropomorfi, è anche l'ultima a formarsi con una accelerata nelle ultime settimane di gestazione. Ricordo che la corteccia è sede delle funzioni più alte del cervello tra cui memoria, attenzione, percezione, consapevolezza, pensiero, (...)
Sviluppo della corteccia durante il periodo gestazionale
credit: PLoS Med 3(8): e265

Fonte
- Concerted and mosaic evolution of functional modules in songbird brains
JM. Moore & TJ. DeVoogd - Proceedings of the Royal Society B, (2017) 284 (1854)

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