La città cinese di Guangzhou vanta da tempo il primato dell'ospedale oftalmologico più grande al mondo. "Grande" è un aggettivo aleatorio in un paese esteso e, in alcune aree, densamente popolato come la Cina e infatti l'ospedale ha in progetto di ampliare la struttura. Il motivo non è però, come sarebbe lecito attendersi, legato al numero degli abitanti, ma alla ben più preoccupante prevalenza di bambini con problemi alla vista (Ellie Dolgin, Nature, 2015).
Nota. In epidemiologia il termine prevalenza indica il numero di casi rispetto alle persone a rischio (la popolazione). Al contrario con incidenza si intende il numero di nuovi casi, sempre rapportati alla popolazione in esame.
Il temutissimo gaokao |
L'ovvia conseguenza di questa totale dedizione allo studio, che inizia prima dei cinque anni, è la miopia. Un problema acuito dalla pervasività dei nuovi strumenti digitali (computer, console, smartphone e tablet) che sempre più spesso inglobano i giovani (e non solo) anche nel loro, poco, tempo libero. Una sola è la caratteristica che accomuna strumenti digitali e i libri: costringono l'occhio a mettere a fuoco da vicino e per tempi prolungati.
Prendete questi comportamenti e moltiplicateli per il numero di studenti di una delle megalopoli cinesi ed otterrete la saturazione dei centri oculistici, soprattutto in occasione delle vacanze estive o invernali quando emerge il problema dello sforzo compiuto dall'occhio nei mesi precedenti.
Prendete questi comportamenti e moltiplicateli per il numero di studenti di una delle megalopoli cinesi ed otterrete la saturazione dei centri oculistici, soprattutto in occasione delle vacanze estive o invernali quando emerge il problema dello sforzo compiuto dall'occhio nei mesi precedenti.
Il boom della miopia in una immagine
credit: InsideRecent.comL'ospedale di Guangzhou è talmente sommerso di richieste che per riuscire a gestire la domanda, in attesa dell'ampliamento della struttura, ha pensato bene di ampliare i suoi spazi ... nei centri commerciali, uno dei luoghi "sacri" per il cinese moderno, preda di una fame consumista che dalle nostre parti ci siamo scordati da anni. Nathan Congdon, uno dei medici trasferiti nella succursale ospedaliera di un centro commerciale, commenta così nell'intervista pubblicata su Nature: "È letteralmente impossibile camminare per i corridoi dell'ospedale a causa del numero di bambini in attesa di essere visitati".
Parlare di miopia come fenomeno endemico in alcune aree del mondo non è una esagerazione. Fino a sessantanni fa il numero di miopi in Cina era il 10-20% della popolazione. Oggi i numeri hanno dell'incredibile con circa il 90% di adolescenti che hanno bisogno di occhiali! Un fenomeno che non riguarda solo la Cina ma tutte le nazioni che si fregiano del titolo di "tigri asiatiche", dalla equatoriale Singapore alla Corea del Sud. Ed è proprio a Seul, che si raggiunge il picco, udite-udite, del 96,5% di ragazzi di 19 anni clinicamente classificabili come miopi.
Se in Asia le percentuali della miopia sono a livelli indicibili, in Europa la situazione non è rosea. Secondo uno studio dal King's College di Londra (--> kcl/news) circa un quarto della popolazione europea è miope, con picchi di frequenza quasi due volte superiori nei più giovani. Lo studio, frutto della meta-analisi di 15 lavori pubblicati (per un totale di 60 mila persone analizzate), evidenzia la forte correlazione tra grado di istruzione e miopia: la percentuale di miopi negli studenti liceali è doppia rispetto a quella nella scuola primaria. Anche in questo caso le cause vanno ricercate nella natura dell'educazione moderna sempre più totalizzante come tempi e modi (computer e altri strumenti digitali).
L'insieme dei dati americani ed europei sull'incidenza del problema nella fascia under-30 della popolazione indica che il numero dei miopi è raddoppiato rispetto a mezzo secolo fa.
Numeri che riflettono una diversa
intensità di studio e di attività all'aria aperta tra due "orientamenti
culturali" opposti: moderatamente rilassato quello occidentale anche quando competitivo e "affamato di
successo e di voglia di emergere" quello orientale.
Le previsioni degli analisti non sono positive. Entro la fine del decennio almeno un terzo della popolazione mondiale - circa 2,5 miliardi di persone - rientrerà nella poco ambita categoria dei miopi. Giova ricordare che sebbene essere miopi sia oggi considerato "normale", questo non è un semplice inconveniente ma rappresenta sia un costo (occhiali, lenti a contatto, chirurgia) che un limite operativo per chi è miope.
La minaccia concreta di una generazione di miopi ha spinto a finanziare studi per trovare modi per contrastare il più precocemente possibile l'insorgenza di questo difetto refrattivo. In realtà un modo c'è già ed è a costo zero, cioè favorire il più possibile le attività all'aria aperta (lontana da tablet, libri e peggio ancora dai cellulari); per i più renitenti al distacco da monitor e libri ci sono esercizi oculari di messa a fuoco da ripetersi almeno ogni mezz'ora.
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Fino a pochi anni fa quando si parlava clinicamente di miopia si adducevano due cause principali: familiarità; malattia professionale degli studiosi. Certamente il patrimonio genetico gioca un ruolo determinante (direi dominante, geneticamente parlando) sul rischio miopia; avere genitori miopi pone a rischio la prole come ben evidenziato dagli studi sui gemelli, ma non è sufficiente per spiegare i numeri dell'attuale pandemia. Lo screening genico volto alla ricerca degli alleli associati alla miopia è stato certamente utile ma ha poca applicabilità al al di fuori dei casi in cui la miope è familiare.
L'evidenza oramai indiscutibile è che lo stile di vita ha un ruolo determinante sul rischio miopia.
Uno degli esempi più chiari a tal proposito viene da uno studio del 1969 sugli Inuit che abitavano la parte settentrionale dell'Alaska, un periodo in cui il loro stile di vita entrava, più o meno volontariamente, nell'era moderna. Tra tutti gli adulti testati, cresciuti in comunità isolate, solo 2 su 131 erano miopi (una condizione chiaramente non favorevole per chi vive di caccia e che si deve difendere dagli orsi). La frequenza però si ribaltava nei loro figli e nipoti cresciuti "modernamente" (scuola e vita in ambienti chiusi), con percentuali di miopi che raggiungevano punte del 50%.
L'ambiente, o meglio il "non-ambiente" di aule e uffici ha un impatto sul nostro occhio.
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La correlazione miopia-studio non è una scoperta della medicina moderna. Già 400 anni fa il grande astronomo e esperto di ottica tedesco Johannes Kepler (perché italianizzare il nome di qualcuno?) attribuì la colpa della sua miopia al tempo passato a studiare. L'ipotesi causale prese poi piede nel XIX secolo, quando alcuni oculisti cominciarono a consigliare l'utilizzo di poggiatesta frontali per i giovani studenti allo scopo di impedire la naturale tendenza di chi legge ad avvicinarsi troppo al libro.
E qui torniamo al caso cinese, paradigmatico della epidemia di miopia.
E qui torniamo al caso cinese, paradigmatico della epidemia di miopia.
Secondo stime ufficiali uno studente quindicenne di Shanghai passa circa
14 ore settimanali a fare i compiti a casa contro le 5,5 ore dei
ragazzi americani e inglesi. In Italia e Francia i numeri sono superiori a
quelli anglosassoni data la preminenza dei compiti a casa rispetto alle
attività in classe.
Discorso a parte, ma in accordo con l'idea kepleriana, per i ragazzi israeliani che frequentano le scuole religiose (yeshiva) dove lo studio intensivo dei testi religiosi è la costante ... così come il tasso di miopia, tra i più elevati al mondo... finora.
Perché studio e miopia vanno di pari passo? Semplificando al massimo, il problema è causato dall'alterazione della crescita del bulbo oculare indotta dal tentativo di accomodamento della messa a fuoco della luce in ingresso nel caso di fonti ravvicinate. Un accomodamento che con il tempo si fissa in una messa a fuoco alterata (frontale rispetto alla retina) delle immagini "lontane".
Ma questa spiegazione (più studi più aumenta il rischio di miopia) è semplicistica, e in effetti alcuni esperimenti condotti una decina di anni fa non sostanziarono in toto tale nesso causale. I ricercatori correlarono il numero di libri letti a settimana (o le ore trascorse ial computer) con la frequenza di miopia. L'indice di correlazione fu invero alquanto basso.
Fu necessario attendere il 2007 quando Donald Mutti della Ohio State University College of Optometry pubblicò i risultati del monitoraggio pluriennale di 500 bambini californiani di otto e nove anni, tutti non-miopi. Dall'analisi comportamentale dei bambini che a distanza di 1-5 anni erano diventati miopi, si scoprì che il fattore di rischio NON era il tempo trascorso a leggere QUANTO il dove i bambini svolgevano le attività quotidiane (vedi LA Jones et al, Invest Ophthalmol Vis Sci. 2007 Aug;48(8):3524-32).
Da qui l'ipotesi che attività all'aria aperta e rischio miopia fossero inversamente correlati.
Perché studio e miopia vanno di pari passo? Semplificando al massimo, il problema è causato dall'alterazione della crescita del bulbo oculare indotta dal tentativo di accomodamento della messa a fuoco della luce in ingresso nel caso di fonti ravvicinate. Un accomodamento che con il tempo si fissa in una messa a fuoco alterata (frontale rispetto alla retina) delle immagini "lontane".
Ma questa spiegazione (più studi più aumenta il rischio di miopia) è semplicistica, e in effetti alcuni esperimenti condotti una decina di anni fa non sostanziarono in toto tale nesso causale. I ricercatori correlarono il numero di libri letti a settimana (o le ore trascorse ial computer) con la frequenza di miopia. L'indice di correlazione fu invero alquanto basso.
Fu necessario attendere il 2007 quando Donald Mutti della Ohio State University College of Optometry pubblicò i risultati del monitoraggio pluriennale di 500 bambini californiani di otto e nove anni, tutti non-miopi. Dall'analisi comportamentale dei bambini che a distanza di 1-5 anni erano diventati miopi, si scoprì che il fattore di rischio NON era il tempo trascorso a leggere QUANTO il dove i bambini svolgevano le attività quotidiane (vedi LA Jones et al, Invest Ophthalmol Vis Sci. 2007 Aug;48(8):3524-32).
Da qui l'ipotesi che attività all'aria aperta e rischio miopia fossero inversamente correlati.
A conferma del dato la pubblicazione l'anno successivo di un nuovo studio (--> KA Rose et al, Ophthalmology. 2008 Aug;115(8):1279-85) basato sull'analisi di ben quattro mila bambini delle scuole primarie e secondarie monitorati per tre anni. Tra i dati emersi quello indicante che i giovani impegnati in attività fisiche svolte indoor
(palestra, etc) non godevano di una uguale protezione dal rischio
miopia rispetto a quanto riscontrato in giovani parimenti attivi all'esterno.
Cominciò così a sedimentare tra i medici sempre più l'idea che fosse sufficiente trasferire all'aperto parte delle attività fatte in un ambiente chiuso piuttosto che privilegiare le attività non connesse alla lettura.
Cominciò così a sedimentare tra i medici sempre più l'idea che fosse sufficiente trasferire all'aperto parte delle attività fatte in un ambiente chiuso piuttosto che privilegiare le attività non connesse alla lettura.
Fino a poco tempo fa i risultati di questi studi non avevano convinto del tutto alcuni ricercatori che ritenevano troppo soggettivi e poco controllabili i metodi di indagine del comportamento basati su questionari forniti agli studenti. I dubbi sono andati via via scemando con la pubblicazione quest'anno di uno studio australiano (ma condotto in Cina) sull'effetto "anti-miopico" di attività all'aria aperta (Mingguang He et al, JAMA (2015) 314,11).
Sempre più studiosi oramai concordano che la luce naturale ha un ruolo protettivo contro la miopia. L'attività fisica (se presente) ha un ruolo benefico generale ma assolutamente secondario per la vista (vedi anche un articolo precedente sul benefico effettivo dell'attività fisica in un ambiente "ricco" per topi con difetti visivi indotti --> QUI).
Stare in un ambiente ricco di stimoli visivi posti a distanze eterogenee fa la differenza. Anche il semplice leggere un libro sulla spiaggia impone di tanto in tanto il sollevare lo sguardo dalla pagina per vedere chi passa accanto o fissare un punto all'orizzonte e questo sembra sufficiente per allentare la tensione sull'occhio.
(continua ---> 2)
Sempre più studiosi oramai concordano che la luce naturale ha un ruolo protettivo contro la miopia. L'attività fisica (se presente) ha un ruolo benefico generale ma assolutamente secondario per la vista (vedi anche un articolo precedente sul benefico effettivo dell'attività fisica in un ambiente "ricco" per topi con difetti visivi indotti --> QUI).
Stare in un ambiente ricco di stimoli visivi posti a distanze eterogenee fa la differenza. Anche il semplice leggere un libro sulla spiaggia impone di tanto in tanto il sollevare lo sguardo dalla pagina per vedere chi passa accanto o fissare un punto all'orizzonte e questo sembra sufficiente per allentare la tensione sull'occhio.
(continua ---> 2)
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