Ricercatori australiani hanno scoperto che la tecnologia ad ultrasuoni, un approccio assolutamente non invasivo, potrebbe essere un utile strumento terapeutico nel trattare una malattia come l'Alzheimer priva ad oggi di ogni valida terapia. E' bene sottolineare che l'utilità potenziale di questi trattamenti è di solo mantenimento dello status quo, bloccando il più a lungo possibile i processi neurodegenerativi.
La scoperta nasce dall'osservazione che gli ultrasuoni sono in grado di rompere le placche amiloidi, principale causa (anche se non vi è più un consenso unanime in proposito) della perdita di memoria e del declino cognitivo.
In estrema sintesi, gli ultrasuoni sono in grado di aprire temporaneamente (per poche ore) la barriera emato-encefalica, facilitando così prima il processo di eliminazione degli aggregatici proteici neurotossici e poi il ripristino di una funzionalità neurale "meno sofferente". Un effetto rafforzato dalla proprietà di queste onde di attivare l'attività fagocitaria delle cellule microgliali (le uniche cellule immunitarie ammesse in un'area altamente sensibile come il cervello).
I test, condotti su modelli murini dell'Alzheimer, dovranno ora essere confermati in altri modelli animali prima di procedere alla sperimentazione clinica.
Prossimo articolo sul tema --> QUI.
Articolo precedente --> QUI
Fonte
- Scanning ultrasound efficiently removes amyloid-β and restores memory in an Alzheimer's model.
Gerhard Leinenga e Jürgen Götz. Science Translational Medicine (2015) Vol.7, 278, pp.278
La scoperta nasce dall'osservazione che gli ultrasuoni sono in grado di rompere le placche amiloidi, principale causa (anche se non vi è più un consenso unanime in proposito) della perdita di memoria e del declino cognitivo.
In estrema sintesi, gli ultrasuoni sono in grado di aprire temporaneamente (per poche ore) la barriera emato-encefalica, facilitando così prima il processo di eliminazione degli aggregatici proteici neurotossici e poi il ripristino di una funzionalità neurale "meno sofferente". Un effetto rafforzato dalla proprietà di queste onde di attivare l'attività fagocitaria delle cellule microgliali (le uniche cellule immunitarie ammesse in un'area altamente sensibile come il cervello).
I test, condotti su modelli murini dell'Alzheimer, dovranno ora essere confermati in altri modelli animali prima di procedere alla sperimentazione clinica.
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Gerhard Leinenga e Jürgen Götz. Science Translational Medicine (2015) Vol.7, 278, pp.278
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