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L'epidemia di Ebola ad un anno dall'inizio

In occasione di una conferenza a cui è intervenuto Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases - NIAID, è stato possibile avere un quadro aggiornato dei numeri dell'epidemia di Ebola in Africa. Una epidemia "poco interessante" oramai per i media, ma mai dimenticata dagli addetti ai lavori, siano essi scienziati, addetti alla sicurezza o semplicemente persone che ben conoscono i rischi reali legati alle pandemie nel mondo globalizzato di oggi.

Domanda diretta. L'epidemia è finita? No 
(2 anni dopo questo articolo un nuovo focolaio di Ebola è apparso in zona del tutto diversa dell'Africa --> "Ebola. Di nuovo")
Il territorio è stato messo controllo grazie soprattutto agli sforzi americani che hanno dispiegato circa 3 mila militari e migliaia di civili, impegnati in attività di logistica e nella sanità. Una azione di petto e su larga scala che si è resa necessaria a causa delle enormi problematiche infrastrutturali e sociali locali.
Giusto per avere una idea delle gravi carenze infrastrutturali locali, nei mesi successivi alla presa d'atto internazionale della situazione di emergenza e quando il materiale sanitario per affrontare l'emergenza (in primis indumenti protettivi per gli operatori sanitari) era già arrivato nell'area, si riscontrava una penuria di materiale base (negli ospedali si disponeva solo un paio di guanti - in teoria usa e getta - alla settimana e di un solo camice da lavare ogni fine giornata).
Questo pur essendo i magazzini territoriali pieni del materiale carente negli ospedali da campo.
Il motivo? Il materiale, una volta scaricato dagli aerei cargo veniva semplicemente stipato nei magazzini dalle autorità locali senza essere inventariato. Di fatto quindi non si sapeva cosa fosse disponibile, dove fosse e in che quantità. L'esercito ha costruito una catena di distribuzione parallela, istruendo i locali delle norme base sulla gestione del magazzino, e grazie al supporto degli elicotteri si sono fatti carico di distribuire il materiale ospedaliero in tempi rapidi a qualunque struttura sanitaria ne avesse fatto richiesta, per quanto remota fosse. Non parliamo necessariamente di villaggi dispersi in luoghi inaccessibili (paradossalmente più al sicuro dal contagio per via umana) ma di località  distanti anche solo 50 km; una distanza che in termini pratici equivaleva a quasi una giornata di viaggio date le strade e il traffico locali. La logistica parallela ha permesso da una parte di evitare l'ecatombe del personale sanitario (ricordo che questi rappresentano circa il 25 per cento delle persone infettatesi nelle prima parte del 2014) che aveva, a cascata, scatenato una comprensibile fuga o riluttanza a fornire assistenza medica sul territorio.

credit: CDC
 Altro elemento importante è che prima che Obama decretasse l'area come zona vitale per la sicurezza nazionale autorizzando l'intervento (dietro, sia chiaro, il placet dei governanti locali) la quasi totalità delle ONG aveva lasciato il paese a causa del grave e non gestibile rischio per i loro operatori (non solo per il rischio infezione ma anche per il timore di sommosse anti-mediche, vedi sotto). Tra le ONG l'eccezione è Médecins Sans Frontières, che una volta di più ha dimostrato nei fatti di essere l'organizzazione che più preferisce l'operatività alle chiacchiere mediatiche o alla pubblicità. Una organizzazione solida e pragmatica che ha accettato senza alcuna preclusione ideologica l'offerta di aiuti logistici e medici offerti dall'esercito americano.

L'organizzazione logistica e l'assistenza sanitaria per quanto fondamentali non sarebbero stati sufficienti senza una parallela campagna informativa capillare ai locali su come minimizzare il rischio di infezione, sui sintomi da riconoscere e sulla necessità di trasportare i congiunti malati negli appositi centri sanitari. E' stato così possibile iniziare un monitoraggio accurato delle nuove infezioni, intervenendo in modo mirato sui nuovi focolai di infezione.

A differenza di altre malattie infettive, il virus Ebola si trasmette solo quando il soggetto infettato diviene sintomatico; tuttavia i sintomi iniziali possono essere confusi con quelli causati da altre malattie endemiche, ad esempio la malaria (lo schema riassuntivo dei sintomi nelle diverse fasi della malattia è disponibile QUI).
Una sottovalutazione spiegabile con il fatto che il virus Ebola era praticamente sconosciuto in Africa occidentale (le precedenti epidemie sono tutte avvenute nella zona delimitata da Zaire, Congo e Sudan). La non percezione del pericolo è stata anche la causa delle sommosse che hanno costretto molte ONG a fuggire dal paese: i parenti dei ricoverati, convinti che il malessere dei congiunti fosse uno dei tanti che periodicamente colpiscono gli abitanti di quelle aree e vedendo che la stragrande parte dei ricoverati moriva durante la degenza, cominciarono ad associare gli ospedali a centri in cui venivano uccise persone "sane".
Due le conseguenze di tale pensiero: i nuovi infettati venivano nascosti nei villaggi (con conseguenze morte degli altri abitanti); sommosse dirette contro il personale sanitario culminato anche con l'uccisione di medici ed infermieri.
Sfuggiva ovviamente che non trattandosi di malaria o di altre febbri, il tasso di mortalità arrivava fino al 90 per cento, in assenza di terapie di mantenimento (e anche con queste il tasso di mortalità è superiore al 40 per cento). Un tasso spaventoso spiegabile con il suo rapido decorso, essendo tra le più aggressive a livello sistemico (culmina in una disfunzione multi-organo che in genere porta alla morte), oltre che per l'assenza di terapie farmacologiche valide (vedi sotto).

Sappiamo oggi che il motivo per cui il virus non si era mai palesato in quest'area geografica non era perché era assente ma perché le probabilità di contatto tra essere umano ed il serbatoio naturale del virus erano molto scarse. E anche quando il contatto fosse avvenuto, la bassa densità di popolazione, unita alle difficoltà degli spostamenti e al rapido decorso della malattia, di fatto impedivano la comparsa stessa di una epidemia. In altre parole ogni nuova infezione si auto-estingueva perché chiunque l'avesse contratta moriva pochi giorni dopo la comparsa dei sintomi.
Nelle ultime decadi l'aumento della popolazione locale, le procedure di disboscamento e la conseguente penetrazione umana in aree prima a bassissima densità umana hanno attivato una sorta di bomba ad orologeria deflagrata con il paziente "zero".

L'analisi retrospettiva data al 26 dicembre 2013 il primo malato la cui sintomatologia è attribuibile (a posteriori) al virus Ebola. Si trattava di un bambino di 18 mesi residente nel villaggio di Meliandou in Guinea. La sua morte avvenne due giorni dopo la visita ambulatoriale, ma nel frattempo il virus aveva già cominciato a diffondersi, nella sua famiglia e tra i vicini prima, per raggiungere, intorno al 12 gennaio 2014, l'ospedale di Guéckédou.

Sulla dinamica dell'infezione del paziente zero è possibile solo fare ipotesi. L'unica certezza è che il bambino era solito giocare nei pressi dell'albero cavo raffigurato nella foto, un luogo frequentato anche dai pipistrelli della frutta, gli animali ritenuti essere il serbatoio naturale del virus.

Il confronto tra la distribuzione del pipistrello della frutta e le zone colpite da Ebola identificano aree che potrebbero diventare serbatoi naturali del virus (-->mappa ingrandita). Credit: WHO/OMS

La contaminazione è probabilmente avvenuta attraverso l'ingestione da parte del bambino di frutta contaminata da saliva/feci di pipistrelli o anche solo per avere portato alla bocca oggetti contaminati (un evento più che comune per un bambino).
L'albero cavo da cui, probabilmente, ha avuto inizio l'epidemia 2014-15 (EMBO Mol. Med. 2015, v7, pp.17-23)

E' con gennaio 2014 quindi che il virus esce "dalla foresta" in cui risiede da sempre dando inizio ad una trasmissione totalmente mediata dal contatto umano (o meglio dai liquidi prodotti dai soggetti sintomatici) che porterà a circa 20 mila infezioni in pochi mesi.
Dal luogo dell'epicentro il virus procedette inesorabile (compatibilmente con i lenti spostamenti causati dalle disastrate strade degli infettati asintomatici o dei sintomatici ancora in grado di spostarsi) via via alle prefetture limitrofe (vedi mappa a marzo 2014)
Il focolaio iniziale a marzo 2014 ...
Un anno dopo questa è la diffusione dell'epidemia (come casi registrati). Ovviamente faccio riferimento alla sola Guinea. Nella tabella a lato sono indicati i casi registrati nei paesi limitrofi.
... i casi registrati ad oggi (marzo 2015)
I diversi colori indicano quanto tempo è trascorso dall'ultimo caso di Ebola: meno di 7 giorni (rosso); tra 22 e 42 giorni (giallo); più di 42 giorni (verde).
E' ad agosto 2014 che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) dirama l'allerta di emergenza sanitaria globale, un allarme che scatta quando una malattia contagiosa supera la soglia di un morto ogni 10 mila persone per giorno.
L'obiettivo primario diviene a quel punto impedire con ogni mezzo che i diversi focolai di epidemia che dalla Guinea si erano propagati nei paesi adiacenti arrivassero nella vicina e popolosa Nigeria, un evento che avrebbe avuto conseguenze disastrose. L'aumento dei controlli, il blocco delle frontiere e l'arrivo di personale competente in loco, sembra essere stato risolutivo. Alla fine di ottobre 2014 il WHO ha dichiarato ufficialmente che il pericolo in Nigeria era stato scongiurato e che l'epidemia nel paese, dopo 42 giorni dall'assenza di nuovi casi, era ufficialmente finita.
Un esempio mirabile di come i controlli rigidi abbiano permesso (in un paese di molti milioni di persone) di limitare i casi a 19 di cui 7 letali (fonte WHO).
Aggiornamento 5 maggio 2015
  • Liberia: Nessun nuovo caso dal 20 marzo 2015. Epidemia ufficialmente finita.
  • Guinea: 9 nuovi casi confermati al  4 maggio.
  • Sierra Leone: 21 nuovi casi confermati al 27 aprile. 6 casi nel periodo dal 22 al 29 April
Ma se il caso è chiuso in Nigeria non si può dire lo stesso nei paesi da cui l'epidemia è partita, sebbene gli enormi sforzi compiuti abbiano messo l'epidemia sotto controllo e per la prima volta da mesi il numero di nuovi casi ha subito un drastico calo.
Di seguito la conta dei casi cumulativi nell'area aggiornata ad aprile 2015 ...
Dati aggiornati al 15/4/2015 (credit: WHO; The Economist)
Questo il numero di nuovi casi dall'inizio dell'anno.
L'epidemia in questi paesi è chiaramente sotto controllo ma non può assolutamente essere definita conclusa (fonte: WHO)
Gli ultimi bollettini redatti dal WHO indicano che sebbene l'epidemia sia sotto controllo e la casistica di nuove infezioni sia in drastico calo, il virus è tutt'altro che annientato e rimane in agguato. Limitandoci alla sola Guinea (l'epicentro della malattia, vedi sotto) nella settimana conclusasi con il 12 aprile sono stati registrati 37 nuovi casi, contro i 30 della settimana precedente. In leggero rialzo ma circa 15 volte meno del picco registrato a dicembre 2014.

L'epidemia del 2014 ha avuto un impatto senza precedenti rispetto alle precedenti epidemie (vedi grafico) o almeno quelle di cui si ha notizia; la malattia è stata identificata nel 1976 ma è verosimile che il passaggio del virus da animale ad uomo fosse già avvenuto più volte in passato. I motivi per cui solo nel 1976 se ne è avuta l'evidenza vanno cercati in primis nella natura auto-limitante della malattia in condizioni di bassa densità della popolazione.


I numeri non sono l'unico dato peculiare di questa epidemia che si distingue anche per la sintomatologia. Nonostante l'attributo che caratterizza il virus Ebola nei media, quello di virus emorragico, in realtà questa non è la sua caratteristica principale e di sicuro NON è tra i virus emorragici più aggressivi (trovate gli altri virus --> qui). La perdita di sangue riguarda in media il 45% dei pazienti e solo nelle fasi avanzate della malattia. L'epidemia attuale di Ebola  presenta una frequenza dei sintomi emorragici inferiore al normale mentre diventa massiccia la perdita di liquidi a livello gastrointestinale (diarrea e vomito sono responsabili della perdita di 5-10 litri di liquidi corporei al giorno!!).
Quali siano le motivazioni che hanno reso questa epidemia diversa dalle precedente, lo potrà dire solo lo studio accurato del genoma virale e il confronto con quello delle epidemie precedenti.
Aumentare la percentuale di sopravvivenza vuol dire agire, in assenza di farmaci specifici, sui sintomi che mettono a rischio immediato la sopravvivenza del paziente, sintomi che qui coincidono con una profonda disidratazione. La pratica sul campo ha mostrato che ristabilire per quanto possibile un equilibrio dei liquidi corporei fa guadagnare tempo al paziente e consente al suo sistema immunitario di montare una risposta adeguata.
La reidratazione può avvenire per via orale o se la perdita di liquidi è troppo alta (il che vuol dire quasi sempre) per via endovenosa. La via endovenosa è chiaramente ad altissimo rischio per gli operatori sanitari ed ancora di più le procedure di dialisi che si rendono necessarie nelle fasi avanzata della malattia quando il collasso della funzionalità renale è il segnale di pericolo di vita imminente.
E' facilmente comprensibile allora comprendere la sfida che hanno dovuto affrontare gli operatori sanitari per implementare tali procedure in ospedali da campo.
 ***
In apertura ho accennato al fatto che il luogo in cui il bambino si è verosimilmente infettato è un albero frequentato da pipistrelli. 
Ebola è infatti un chiaro esempio di zoonosi, cioè di malattia trasmessa da microbi che non hanno l'essere umano come ospite naturale. Nella maggior parte dei casi la possibilità che un virus riesca ad infettare e a riprodursi in un ospite non adatto è molto bassa. Tanto maggiori sono i contatti e tanto maggiore la possibilità che uno dei tanti virus mutati prodotti ad ogni riproduzione del virus abbia acquisito, per puro caso, caratteristiche in grado di superare la barriera interspecifica. Una volta che il virus riesce ad infettare l'essere umano in modo produttivo (cioè è in grado di generare una progenie virale a sua volta infettiva) l'epidemia può iniziare, sempre che il paziente sopravviva abbastanza a lungo.
Nota. Non tutte le zoonosi sono uguali. In alcune malattie (malaria, Lyme, etc) l'infezione avviene sempre e soltanto partendo da un animale infettato. Ad esempio non ci si può infettare di malaria anche vivendo insiema a malati (tranne nel caso di trasfusioni) se il microbo (un plasmodio) non transita prima nella zanzara dove avviene la sua maturarazione. In altre è necessario un lungo processo selettivo per rendere il virus permissivo in grado di infettare e di riprodursi nel nuovo ospite (HIV, morbillo, vaiolo).
***
Ben difficilmente Ebola potrà essere eradicata. Il progressivo disboscamento rende sempre più facile il contatto tra noi e nicchie ecologiche finora nascoste. La probabilità che i contatti finora saltuari con scimmie, pipistrelli, roditori (o altro) infettati da virus ignoti non è più materia di statistica teorica ma di quando si manifesterà il prossimo focolaio.

***
Ultimo considerazione sui vaccini in via di sperimentazione.
Uno dei problemi principali che hanno dovuto affrontare gli sperimentatori è come fare i test. Per ovvie ragioni etiche e di rigore scientifico non è concepibile fornire prodotti che non siano stati validati in laboratorio prima (compresi test su modelli animali) e in studi clinici poi. Non fare questo equivarrebbe a dare ad un soggetto un prodotto che non solo non si sa se funziona ma di cui si ignorano gli effetti collaterali, potenzialmente letali.
Il modello animale di eccellenza sono le scimmie, come noi sensibili al virus Ebola. Tra l'altro il tasso di mortalità dei primati non umani infettati è perfino superiore a quello riscontrato in essere umano (quindi i dati sperimentali devono essere corretti per il tasso di mortalità).
I dati ad oggi disponibili indicano che:
  • l'utilizzo di virus attenuati o inattivati non conferisce protezione in primati;
  • l'utilizzo di immunizzazione genetica o di vaccini ricombinanti conferisce un grado di protezione insufficiente;
  • i vettori (lo scheletro in grado di trasportare pezzi di Ebola in modo sicuro ed immunogenico) più promettenti  sono quello della stomatite vescicolare (VSV) e l'adenovirus (AdV);
  •  è stato approvato per uso di emergenza un vaccino post-esposizione mostratosi valido in scimmie se somministrato fino a 48 ore dopo l'esposizione al virus. I test su essere umano sono in atto e sono condotti sul personale sanitario entrato in contatto con il virus e quindi a rischio elevato di infezione.
I risultati della sperimentazione ad oggi sui vaccini

Un compito arduo quello di trovare una cura.
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, il virus Ebola ha un tasso di variazione nettamente inferiore al virus influenzale (e mi riferisco non ai ceppi classici ma a quelli responsabili di SARS et similia). Fortunatamente per noi Ebola non è strutturalmente adatto a mutare come un virus influenzale che deve tale proprietà all'essere dotato di più filamenti, quindi in grado di riassortirsi ogni volta che una cellula viene infettata da due virus influenzali diversi.
Ma questa è un'altra storia.


*** AGGIORNAMENTI IMPORTANTI ***

--> I primi risultati degli studi clinici sull'efficacia dell'immunizzazione passiva (marzo 2016)
--> Il virus può persistere nei pazienti guariti  (luglio 2016)
--> Ebola, di nuovo! (luglio 2019). Nuovo focolaio, non correlato, in ltra zona dell'Africa equatoriale

(Tutti gli articoli apparsi su questo blog sul tema Ebola --> qui)


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