Fare acquisti di prodotti alimentari è per alcune persone una vera corsa ad ostacoli, a causa del dilagare "apparente" delle allergie nella popolazione. Il numero di persone che soffrono di allergie alimentari è aumentata negli ultimi decenni; i numeri dei soggetti a rischio sono impressionanti con il 5-7% dei bambini e 1-2% degli adulti.
Nota. Le allergie e le intolleranze (tra loro molto diverse sia da un punto di vista causale che per i problemi potenziali associati) sono indubbiamente un problema reale e serio nella nostra società. Un fenomeno che sembra essere aumentato esponenzialmente negli ultimi anni. Proprio perché è un problema serio bisogna scremarlo della componente suggestiva e mediatica che induce persone asintomatiche ad evitare, ad esempio, il cibo con il glutine; una attitudine indotta da un marketing pervasivo e molto ben fatto da parte di aziende che nella nicchia dei cibi "garantiti da allergeni" ha trovato una miniera d'oro e che come tale fa pagare i propri prodotti. Non c'è infatti alcuna ragione sensata che possa spingere a comprare prodotti "gluten-free" se non si è intolleranti al glutine. Ovvio? Mica tanto a sentire i discorsi tra utenti al supermercato. In parallelo è proprio l'aumentata sensibilità delle capacità diagnostiche e la variazione dello stile di vita ad avere messo sotto i riflettori intolleranza "blande" ugualmente comuni ma quasi asintomatiche quando i nostri genitori erano ragazzi. Esempio classico è la non digeribilità del latte da parte di molti adulti; fenomeno geneticamente determinato comune in molte popolazioni umane la cui prevalenza nella popolazione non è di sicuro aumentata ma è solo diventata evidente a causa del maggior consumo di latte da parte degli adulti (vedi anche qui). In questo articolo io farò riferimento UNICAMENTE alle problematiche allergiche reali (no intolleranze) legate all'alimentazione.
Credit: nhs.uk
Mentre gli ingredienti potenzialmente allergenici utilizzati nella preparazione di un prodotto alimentare devono essere elencati ed evidenziati sulle etichette alimentari, non esistono indicazioni precise sulla presenza in tracce di allergeni presenti "accidentalmente" nel prodotto. Le etichette avvertono della possibile presenza di tracce di tali allergeni, ad esempio perché la stessa azienda ha una linea di produzione che "maneggia" prodotti contenenti noccioline o perché le noccioline sono state usate per preparare uno degli ingredienti base. Il che crea un rischio non quantificabile in quanto dipende sia dalla dose presente che dalle caratteristiche del soggetto allergico.
Le reazioni allergiche non sono innescate da influssi astrali o da quantità omeopatiche di un determinato prodotto. Esiste una certa variabilità nella risposta (per entità) che permette di distinguere soggetti ad altissima sensibilità per un allergene (molto rari) e individui moderatamente intolleranti.
Questo il motivo per cui le etichette che avvertono della possibile presenza di un dato allergene sono prive di utilità. Bisognerebbe prima definire quali sono le soglie in grado di fare scattare la reazione allergica nei soggetti più sensibili. Al di sotto di questa soglia il prodotto è di fatto sicuro.
La quantificazione dell'allergene permetterebbe di evitare a molte persone di fare ricorso a prodotti più costosi di uguale innocuità.
Di questa tematica si è occupato un team di ricercatori dell'Università di Manchester, il cui lavoro, pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology, riporta il livello di cinque degli allergeni alimentari più comuni in grado di causare una reazione allergica in almeno il 10 per cento delle persone più sensibili.
I ricercatori hanno analizzato i dati di 436 persone raccolti nell'ambito del progetto EuroPrevall finalizzato allo studio delle allergie ad arachidi, nocciole, sedano, pesce o gamberetti. A ciascuna di queste persone è stato dato cibo con dosi minime e crescenti dei prodotti a cui essi potevano essere allergici. L'effetto è stato monitorato nelle ore successive allo scopo di calcolare la dose minima in grado di produrre l'effetto allergico. Il dato ottenuto, cioè il livello di allergene in grado di produrre una reazione nel 10 per cento dei soggetti più sensibili, è il valore che si potrebbe come riferimento per identificare se un prodotto è a rischio per gli allergici o no.
Per avere una idea dei numeri, per nocciola, arachidi o sedano sono sufficienti tra 1,6 e 10,1 milligrammi per indurre una reazione nei più sensibili, mentre per pesce e gamberetti cotti i valori sono nettamente maggiori (27,3 milligrammi e 2,5 grammi, rispettivamente).
Per ulteriori dettagli fare riferimento all'articolo originale.
Fonte
Le reazioni allergiche non sono innescate da influssi astrali o da quantità omeopatiche di un determinato prodotto. Esiste una certa variabilità nella risposta (per entità) che permette di distinguere soggetti ad altissima sensibilità per un allergene (molto rari) e individui moderatamente intolleranti.
Questo il motivo per cui le etichette che avvertono della possibile presenza di un dato allergene sono prive di utilità. Bisognerebbe prima definire quali sono le soglie in grado di fare scattare la reazione allergica nei soggetti più sensibili. Al di sotto di questa soglia il prodotto è di fatto sicuro.
La quantificazione dell'allergene permetterebbe di evitare a molte persone di fare ricorso a prodotti più costosi di uguale innocuità.
Di questa tematica si è occupato un team di ricercatori dell'Università di Manchester, il cui lavoro, pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology, riporta il livello di cinque degli allergeni alimentari più comuni in grado di causare una reazione allergica in almeno il 10 per cento delle persone più sensibili.
I ricercatori hanno analizzato i dati di 436 persone raccolti nell'ambito del progetto EuroPrevall finalizzato allo studio delle allergie ad arachidi, nocciole, sedano, pesce o gamberetti. A ciascuna di queste persone è stato dato cibo con dosi minime e crescenti dei prodotti a cui essi potevano essere allergici. L'effetto è stato monitorato nelle ore successive allo scopo di calcolare la dose minima in grado di produrre l'effetto allergico. Il dato ottenuto, cioè il livello di allergene in grado di produrre una reazione nel 10 per cento dei soggetti più sensibili, è il valore che si potrebbe come riferimento per identificare se un prodotto è a rischio per gli allergici o no.
Per avere una idea dei numeri, per nocciola, arachidi o sedano sono sufficienti tra 1,6 e 10,1 milligrammi per indurre una reazione nei più sensibili, mentre per pesce e gamberetti cotti i valori sono nettamente maggiori (27,3 milligrammi e 2,5 grammi, rispettivamente).
Per ulteriori dettagli fare riferimento all'articolo originale.
Fonte
- How much is too much?: Threshold dose distributions for 5 food allergens
Barbara K. Ballmer-Weber et al, Journal of Allergy and Clinical Immunology
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