Cosa ci insegna il genoma della tartaruga?
Studiare il genoma degli organismi più vari non è un esercizio scientifico fine a se stesso, sebbene sia utile ricordare che la scienza ha come "motore interno" la conoscenza dei fenomeni naturali e non l'idea di dovere utilizzare nell'immediato le conoscenze acquisite. Se questo non fosse stato vero il mantra della ricerca allora anche gli esperimenti di Faraday non avrebbero avuto ragione di esistere dato che l'idea stessa di elettricità e del suo utilizzo era ben al di là da venire.
Questo per dire che studiare il genoma di un organismo, sia questo un batterio o un tardigrado, è sensato in quanto
- tecnicamente fattibile,
- economicamente sostenibile e
- scientificamente interessante.
Da un punto di vista economico il costo di sequenziare un genoma è oramai alla portata di un qualunque individuo. Si è passati dalle centinaia di milioni di dollari e migliaia di persone coinvolte a fine anni '90 per il Progetto Genoma all'attuale centinaio di euro e un solo operatore necessario, in grado tra l'altro di maneggiare più campioni simultaneamente.
Scientificamente è sensato, in quanto studiare il genoma non vuol dire avere "solo" la sequenza del DNA ma soprattutto comprendere le differenze accumulatesi, la specificità dei meccanismi regolatori e lo specifico network di geni selezionati evolutivamente per rispondere ad esigenze estremamente specifiche, come possono essere quelle di un organismo in grado di andare in letargo o di vivere agevolmente a temperature superiori ai 100 gradi come fanno i batteri termofili. Dal sequenziamento di alcuni organismi è stato in passato possibile estrarre informazioni utili per il progredire delle tecniche; tra tutte cito le proteine fluorescenti scoperte per la prima volta nelle meduse e oggi strumenti fondamentali in biologia cellulare. Se vi interessa l'argomento date una lettura ad un precedente articolo in questo blog (qui).
Credit: H. Bradley Shaffer |
Informazioni presenti nello studio pubblicato sulla rivista Genome Biology da un team della UCLA, incentrato sul genoma della testuggine palustre dipinta (Chrysemys picta bellii), un animale abbastanza diffuso nell'area nord-orientale del continente americano. Tra le caratteristiche di questi animali vi è appunto l'estrema longevità associata al fatto che mantengono la capacità riproduttiva anche nel loro secondo secolo di vita. In altre parole "crescono" senza invecchiare, un fatto di cui ho già trattato in un precedente articolo ("Non tutti gli animali invecchiano").
Capire le basi genetiche che differenziano un animale che invecchia (i mammiferi in generale e l'essere umano nello specifico) da uno che semplicemente aumenta di età è non solo scientificamente interessante ma anche utile per contrastare gli aspetti negativi dell'invecchiamento, inteso come deterioramento delle capacità vitali.
Quale il dato principale emerso dallo studio? Contrariamente alle attese il ruolo chiave per "non invecchiare" sembra essere legato non a "geni protettivi" ma allo spegnimento di geni i cui omologhi sono invece pienamente funzionali in uomo. Nelle tartarughe questi geni sono o poco funzionanti o addirittura ridotti al rango di pseudogeni, geni cioè vestigiali e non più attivi. Un fenomeno assolutamente comune evolutivamente e legato alla rimozione di geni ridondanti o dannosi per le "specifiche" fisiologiche via via selezionate.
Anche l'essere umano possiede molteplici esempi di pseudogeni e/o di modificazioni funzionali volte a "cancellare" aspetti morfologico-funzionali legati a precedenti stadi evolutivi. Il più semplice da spiegare tra questi è la coda vestigiale che noi possediamo per un breve tempo durante lo sviluppo embrionale ma che viene successivamente riassorbita. Con una certa frequenza nascono bambini in cui il riassorbimento non è avvenuto; il risultato è la presenza di una "quasi" coda, dove il quasi è legato al suo essere una appendice solo cartilaginea, priva delle vertebre caudali. La causa è un mutazione del gene FGFR2, che annulla in parte le mutazioni "anti-coda" fissatesi con i primati (TE Herman e MJ Siegel, Journal of Perinatology 2008).
Tornando ai geni responsabili dell'invecchiamento biologico, identificare quei geni la cui attività è associata all'invecchiamento può aprire la strada allo sviluppo di trattamenti farmacologici in grado di modularne l'attività trascrizionale; trattamenti beninteso da riservare agli individui in età adulta. Scopo di tale modulazione sarebbe la soppressione dei geni la cui attività è "causa" (probabilmente indiretta) dell'invecchiamento biologico.
Un discorso puramente teorico dato che sono molte le variabili da considerare. E' chiaro infatti che una tartaruga ha esigenze metaboliche ben diverse da quelle di un mammifero; i geni scartati durante l'evoluzione in quanto non utili per la sua specie, e che hanno avuto l'effetto di assicurare a questi animali una anzianità senza acciacchi, sono verosimilmente gli stessi geni che permettono ad un mammifero di essere estremamente più attivo e versatile di una tartaruga.
Se intervenire si potrà, questo potrà avvenire solo dopo avere ben compreso gli effetti a cascata che alterare l'espressione di uno o più di questi geni comporta.
Anche l'essere umano possiede molteplici esempi di pseudogeni e/o di modificazioni funzionali volte a "cancellare" aspetti morfologico-funzionali legati a precedenti stadi evolutivi. Il più semplice da spiegare tra questi è la coda vestigiale che noi possediamo per un breve tempo durante lo sviluppo embrionale ma che viene successivamente riassorbita. Con una certa frequenza nascono bambini in cui il riassorbimento non è avvenuto; il risultato è la presenza di una "quasi" coda, dove il quasi è legato al suo essere una appendice solo cartilaginea, priva delle vertebre caudali. La causa è un mutazione del gene FGFR2, che annulla in parte le mutazioni "anti-coda" fissatesi con i primati (TE Herman e MJ Siegel, Journal of Perinatology 2008).
Tornando ai geni responsabili dell'invecchiamento biologico, identificare quei geni la cui attività è associata all'invecchiamento può aprire la strada allo sviluppo di trattamenti farmacologici in grado di modularne l'attività trascrizionale; trattamenti beninteso da riservare agli individui in età adulta. Scopo di tale modulazione sarebbe la soppressione dei geni la cui attività è "causa" (probabilmente indiretta) dell'invecchiamento biologico.
Un discorso puramente teorico dato che sono molte le variabili da considerare. E' chiaro infatti che una tartaruga ha esigenze metaboliche ben diverse da quelle di un mammifero; i geni scartati durante l'evoluzione in quanto non utili per la sua specie, e che hanno avuto l'effetto di assicurare a questi animali una anzianità senza acciacchi, sono verosimilmente gli stessi geni che permettono ad un mammifero di essere estremamente più attivo e versatile di una tartaruga.
Se intervenire si potrà, questo potrà avvenire solo dopo avere ben compreso gli effetti a cascata che alterare l'espressione di uno o più di questi geni comporta.
Altra caratteristica molto interessante nelle tartarughe è la capacità di sopravvivere per mesi senza respirare, un fenomeno che si ripete ogni anno quando la testuggine si prepare a svernare rintanandosi sotto i fondali fangosi degli acquitrini; una zona in cui la presenza di organi respiratori addizionali oltre i polmoni come i sacchi vicini alla cloaca, fondamentali per le tartarughe marine sono del tutto inutili dato l'ambiente ipossico che caratterizza i fondali fangosi. Capire come la tartaruga sia in grado di superare indenne una ipossia prolungata, seppure in uno stato metabolico minimo come quello del letargo, è prospettivamente molto utile per migliorare nell'uomo il trattamento farmacologico per minimizzare le lesioni da infarto e ictus, in misura rilevante legati alla ipossia locale. La ipossia è infatti la causa principale della mortalità o della grave invalidità associata a questi eventi ostruttivi.
Il profilo di espressione genica ci ha fornito in questo caso un dato opposto a quello visto in precedenza. Lo svernamento si associa ad una aumentata attività di un certo numero di geni, di cui 19 sono preferenzialmente trascritti nel cervello e 23 nel cuore. Particolarmente interessante il fatto che uno di questi geni è 130 volte più attivo durante la fase ipossica del letargo rispetto al normale. Ciascuno di questi geni è quindi un candidato ideale per futuri trattamenti atti a minimizzare le conseguenze della ipossia nelle malattie cardiovascolari umane.
Come ciliegina sulla torta, questo studio ha permesso di ridisegnare l'albero evolutivo dei rettili. Di seguito l'albero filogenetico aggiornato
Il profilo di espressione genica ci ha fornito in questo caso un dato opposto a quello visto in precedenza. Lo svernamento si associa ad una aumentata attività di un certo numero di geni, di cui 19 sono preferenzialmente trascritti nel cervello e 23 nel cuore. Particolarmente interessante il fatto che uno di questi geni è 130 volte più attivo durante la fase ipossica del letargo rispetto al normale. Ciascuno di questi geni è quindi un candidato ideale per futuri trattamenti atti a minimizzare le conseguenze della ipossia nelle malattie cardiovascolari umane.
Come ciliegina sulla torta, questo studio ha permesso di ridisegnare l'albero evolutivo dei rettili. Di seguito l'albero filogenetico aggiornato
Credit: H. Bradley Shaffer & Genome Biology |
Non posso non consigliarvi un sito in italiano (tartarughe.info) dedicato alle tartarughe. Anatomia, fisiologia, tipologie e comportamento sono ben descritti e in modo chiaro anche per coloro privi di conoscenze specifiche in campo naturalistico-biologico.
Fonti
- The western painted turtle genome, a model for the evolution of extreme physiological adaptations in a slowly evolving lineage
H. Bradley Shaffer et al. Genome Biology 2013, 14:R28
- Scientists decode genome of painted turtle, revealing clues to extraordinary adaptations
The Genome Institute at Washington University
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