Cibo organico. Quando la parola è vuota dentro
Se andate a fare shopping in qualsiasi grande supermercato in un paese occidentale oppure mentre guardate la televisione o ancora se cercate di godervi un "happy hour" il rischio che correrete sarà quello di essere bombardati da messaggi più o meno diretti sui benefici di salute legati all'acquisto dei cosiddetti prodotti "biologici", magari aggettivizzati come "etici". Un messaggio che arriva invariabilmente dall'ospite di turno in trasmissione (ma non lavorano mai?) come dalla "supergiovane e trendy sciuretta" che vi scavalca mentre si avventa sugli stuzzichini posti sul bancone del bar.
Grano |
Del resto come non essere sedotti dalla possibilità di dare un contributo personale alla salute del nostro caro pianeta e in più fare del bene a 360 gradi. Il concetto base è che pagare un prezzo leggermente più elevato è un'opera intelligente per un prodotto non trattato con agenti nocivi. Se poi arriva da una filiera etica dove ad essere ricompensati sono in primis i produttori locali invece delle famigerate multinazionali, allora ci sentiamo ancora meglio.
Ma qui cominciano i problemi di interpretazione in quanto troppo spesso i termini biologico, etico e a chilometro zero si sovrappongono senza una vera ragione. Un prodotto etico non è praticamente mai a chilometro zero e quindi non arriva magicamente sui nostri scaffali, teletrasportato qui dall'altra parte del globo. Un prodotto biologico poi potrebbe essere paradossalmente più dannoso di uno commerciale in quanto il secondo è regolamentato e controllato mentre il primo è "naturale" (ivi compresi i microorganismi). E inoltre cosa ci sarebbe di non biologico in una porzione di fish&chips comprata in una rosticceria inglese? Nulla, semmai avrei qualche dubbio sul numero di volte che anche un perfetto olio di semi è stato usato per la frittura...
La definizione stessa di chilometro zero è poi alquanto curiosa in quanto limiterebbe il consumo di cibo per un cittadino a quello prodotto sull'orto del terrazzo o al più in periferia (mangeremmo veramente verdure prodotte di fianco alla tangenziale?). Scordiamoci poi caffè e frutta.
Ma qui cominciano i problemi di interpretazione in quanto troppo spesso i termini biologico, etico e a chilometro zero si sovrappongono senza una vera ragione. Un prodotto etico non è praticamente mai a chilometro zero e quindi non arriva magicamente sui nostri scaffali, teletrasportato qui dall'altra parte del globo. Un prodotto biologico poi potrebbe essere paradossalmente più dannoso di uno commerciale in quanto il secondo è regolamentato e controllato mentre il primo è "naturale" (ivi compresi i microorganismi). E inoltre cosa ci sarebbe di non biologico in una porzione di fish&chips comprata in una rosticceria inglese? Nulla, semmai avrei qualche dubbio sul numero di volte che anche un perfetto olio di semi è stato usato per la frittura...
La definizione stessa di chilometro zero è poi alquanto curiosa in quanto limiterebbe il consumo di cibo per un cittadino a quello prodotto sull'orto del terrazzo o al più in periferia (mangeremmo veramente verdure prodotte di fianco alla tangenziale?). Scordiamoci poi caffè e frutta.
E che dire della legittima sensazione di benessere che ci da l'idea di preferire un vegetale coltivato anche solo in modo standard (quindi nemmeno biologico) rispetto alla semplice menzione di OGM: un termine di cui curiosamente parlano tutti, salvo poi scoprire che ignorano la differenza tra un acido nucleico e una proteina.
Certo un prodotto biologico è bello concettualmente anche se di aspetto poco invitante. Giustamente non ci interessa che una carota abbia per forza la forma di una carota (guardate i prodotti sui banchi del biologico) se è genuina; ci contentiamo di carote bitorzolute che nemmeno campi posti nei pressi di Chernobyl sarebbero riusciti a produrre.
Ma questa è la Natura e accettiamo l'imperfezione per la salute.
Certo un prodotto biologico è bello concettualmente anche se di aspetto poco invitante. Giustamente non ci interessa che una carota abbia per forza la forma di una carota (guardate i prodotti sui banchi del biologico) se è genuina; ci contentiamo di carote bitorzolute che nemmeno campi posti nei pressi di Chernobyl sarebbero riusciti a produrre.
Ma questa è la Natura e accettiamo l'imperfezione per la salute.
Chi è la persona che del resto farebbe obiezioni ad allevamenti di galline libere di sgranchirsi le zampe razzolando in un campo o di erbette cresciute in un orto biologico (certo sperabilmente non nei pressi di una discarica abusiva)? Stesso discorso per il latte preso da mucche mai trattate con antibiotici, anche se le donne dovrebbero ricordarsi dei dolori legati alle mastiti, una affezione di cui questi animali soffrono frequentemente; ma qui arriverebbero altri attivisti che sotto il grido "no al latte animale ma solo al latte di soia". Peccato che questo non solo implicherebbe una immediata eliminazione di bovini (consumatori di risorse e inquinatori in quanto vivi) ma a estesi campi di soia a scapito di altre coltivazioni (e al fatto che la soia non è OGM per puro caso ma perché altrimenti le coltivazioni su larga scala sarebbero insostenibili). Tralasciamo poi gli effetti a cascata sull'industria casearia ... ma questo non è un punto su cui molti attivisti si soffermano troppo.
Il punto cruciale è in realtà un altro. E' proprio vero che il cibo biologico sia un concentrato di vitamine naturali e di valori etici, oltre ad essere privo di ogni tossina?
La risposta è meno semplice di quanto possa sembrare date le leggi che governano l'uso del termine "organico".
Il termine in sé è, per sua natura, estremamente fuorviante. La chimica ci insegna che una ipotetica lattuga completamente organica non potrebbe essere verde, mentre una mela totalmente inorganica non sarebbe altro che un insieme di pochi grammi di sali. Non parliamo poi di quello che avviene quando si cerca di trasferire la parola nel contesto di lingue diverse. In finlandese una patata che non è "luomu" (cioè secondo natura) significa che viene direttamente dal mondo della mitologia (sic!). Una patata di Thor? Ottimo spunto di marketing per i prossimi film ispirati alla saga della Marvel.
E a meno che non siano siglate specificamente come "biologiche" le salcicce presenti sui bancali dei mercati francesi sarebbero per definizione prive di proteine, grassi, zuccheri e acidi nucleici!
E a meno che non siano siglate specificamente come "biologiche" le salcicce presenti sui bancali dei mercati francesi sarebbero per definizione prive di proteine, grassi, zuccheri e acidi nucleici!
Tornando seri bisogna ricordare i risultati sconfortanti di alcune inchieste che hanno provato come il vino fatto da uva "biologica" sia in Europa che in USA contenesse tracce evidenti di solfato di rame, un fungicida completamente inorganico, non biologico per definizione. Gli agricoltori che si avvalgono del bollino "biologico" possono infatti utilizzare quantità a loro discrezione di questa sostanza chimica, purché adottino misure tali da ridurre al minimo l'accumulo nel suolo.
Oltre al solfato di rame, vi è un lungo elenco di prodotti chimici "naturali" consentiti nella agricoltura biologica. Un elenco che varia a seconda della legislazione nazionale. Tra questi l'ipoclorito di sodio (cioè la candeggina), il solfuro di calcio (una miscela corrosiva di polisolfuri di calcio) e il solfato di nicotina (un composto altamente tossico derivato dal tabacco e probabile responsabile della moria delle api, per questo bandito in Europa da due anni).
Il rotenone, usato nei laboratori di ricerca in tutto il mondo come potente inibitore del complesso 1 della catena respiratoria, è stato associato in laboratorio all'insorgenza di malattie parkinsoniane nei roditori. Tuttavia in molti paesi può ancora essere spruzzato liberamente sulle vostre fragole, rigorosamente biologiche.
Fortunatamente prodotti come arsenico, stricnina e sali di piombo sono oramai proibiti così come lo sono antibiotici come tetraciclina e streptomicina, fino a poco fa usati per proteggere pere e mele biologiche. Questo grazie ad una legge di meno di due anni fa (Reg. UE n. 126/2012, allegato III) che impone ai prodotti in arrivo nella EU che siano accompagnati da un certificato emesso dall'Organismo di Certificazione o dall'Autorità di controllo, attestante il mancato utilizzo di tali sostanze in ogni fase del processo produttivo. Ripeto. E' richiesto un certificato per l'importazione. Purtroppo non siamo gli USA o l'Australia dove vige un rigoroso controllo nelle importazioni di materiale biologico.
Questo non vuol dire che gli antibiotici siano banditi. Un veterinario può autorizzare il trattamento di un animale da allevamento se questo è ritenuto necessario per il benessere dell'animale, purché con posologie annuali massime definite da tabelle specifiche. Bandire in toto gli antibiotici implicherebbe il proliferare di malattie tra i capi di allevamento con conseguenze devastanti (vedi i problemi legati alle frequenti epidemie di afta, una malattia virale e quindi non sensibile agli antibiotici, in UK).
Allo stesso modo la "contaminazione" di prodotti originati da materiali certificati come biologici può avvenire grazie all'utilizzo di sostanze legali ma notoriamente tossiche come il perossido di idrogeno (acqua ossigenata), il biossido di zolfo, una vasta gamma di coloranti (purchè di origine vegetale) e la carragenina. Quest'ultimo è un carboidrato naturale estratto dalle alghe marine usato come gelificante, addensante e stabilizzante (si può trovare nei dessert, nelle salse e nella carne lavorata) su cui però ci sono dubbi sul suo legame con disturbi da lievi (gonfiori intestinali) all'essere un potenziale cancerogeno. Nel dubbio, non c'è un chiaro consensus a riguardo, le normative vigenti escludono il suo utilizzo unicamente per prodotti alimentari per l'infanzia.
Attenzione, tutta quanto sopra scritto non vuol dire puntare il dito contro il settore alimentare biologico, anche se alcune delle affermazioni che troverete sulle confezioni o che sentirete in televisione sanno più di marketing che di reali benefici. Promuovere pratiche sostenibili e salutari è una mossa lodevole. Ma lo sarebbe ancora di più se ogni affermazione a riguardo fosse basata su parametri scientifici, cioè su dati e non su sensazioni.
Rifiutare in toto le tecniche di modificazione genetica, anche quando su di esse non è mai stata trovata una singola, non dico prova, ma evidenza di tossicità e non curarsi delle comunissime infestazioni da aflatossine fungine nei grano (queste si cancerogene) è quantomeno curioso. Ricordo ad esempio che il grano usato in Italia deve essere in buona parte importato (da Argentina e altri paesi) per evitare il superamento della soglia minima di aflatossina presente nel prodotto coltivato in Italia.
Dicevo, è curioso che puntare il dito contro gli OGM quando il motivo principale per cui tali prodotti sono creati è per minimizzare il ricorso a diserbanti e antiparassitari senza i quali la resa nei campi (e quindi i prodotti disponibili) sarebbero circa il 15-20% dell'attuale. Senza contare l'importanza di piante modificate appositamente per potere crescere in ambienti aridi.
Dicevo, è curioso che puntare il dito contro gli OGM quando il motivo principale per cui tali prodotti sono creati è per minimizzare il ricorso a diserbanti e antiparassitari senza i quali la resa nei campi (e quindi i prodotti disponibili) sarebbero circa il 15-20% dell'attuale. Senza contare l'importanza di piante modificate appositamente per potere crescere in ambienti aridi.
Bisogna sforzarsi di giudicare ogni caso nel merito e ad evitare semplificazioni assolute del tipo "buon organico - cattivo OGM".
Essere consumatori intelligenti vuol dire indirizzare le associazioni che ci rappresentano a prendere in considerazione tutti i fatti pertinenti per prendere decisioni razionali. Tra questi, consapevole di ripetermi, il diritto di giudicare se ad una particolare tecnologia genetica sia preferibile l'uso indiscriminato di tossine, conservanti e fertilizzanti.
Dove è l'artificio del marketing? Semplicemente OGNI cioccolato fondente potrebbe fregiarsi del titolo di vegan-friendly dato che è privo (a differenza del cioccolato al latte) di latte o di qualsivoglia derivato animale: cacao; burro di cacao; zucchero; lecitina; aromi vari. Gli altri produttori non lo indicano in quanto è ovvio.
Sarebbe come se un produttore di arance per differenziarsi dagli altri decidesse di mettere l'etichetta "cibo adatto a vegani"
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Chiudo con una curiosità che è poi indice del potere pervasivo del marketing innestata sulla moda alimentare. In una nota catena di supermercati ho trovato esposto un cioccolato il cui nome è tutto un programmaUn "claim" ovvio che però nasconde sorprese se leggete sul retro negli ingredienti ... "può contenere tracce di latte". |
Dove è l'artificio del marketing? Semplicemente OGNI cioccolato fondente potrebbe fregiarsi del titolo di vegan-friendly dato che è privo (a differenza del cioccolato al latte) di latte o di qualsivoglia derivato animale: cacao; burro di cacao; zucchero; lecitina; aromi vari. Gli altri produttori non lo indicano in quanto è ovvio.
Sarebbe come se un produttore di arance per differenziarsi dagli altri decidesse di mettere l'etichetta "cibo adatto a vegani"
Sull'errore di definire aprioristicamente che naturale=salutare consiglio la lettura dell'articolo "Naturale: meno male?" presente sull'ottimo sito chemicare.
(Articoli precedenti su argomenti simili in questo blog: Ragionare sugli OGM; pesticidi e Parkinson; OGM si e no).
Fonti
- Poison running through my veins
Howy Jacobs EMBO reports, Volume 15, Issue 2 (2014), 123-198
- Biological Hazards in Food
Richard Lawley & Laurie Curtis, (2012) Publisher: Food Safety Info
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