Il Lipitor (atorvastatina), è tra i farmaci anti-colesterolo a base di statine quello di maggior successo di vendita nella storia farmaceutica.
La sua efficienza nell'abbassare i livelli del LDL, pur comprovata, non è assoluta dato che un certo numero di soggetti sembra "resistente" ad un farmaco altrimenti molto efficente. Una resilienza alla normalizzazione dei valori ematici, osservabile anche dopo il trattamento di questi pazienti con dosi crescenti di Lipitor o con farmaci diversi, che non deve stupire più di tanto dato che non tutte le ipercolesterolemie sono uguali. Gli effetti collaterali associati al trattamento (in genere dolori muscolari) sono associati alla dose di farmaco assunta, tendono cioè a diventare più frequenti all'aumentare del dosaggio. I farmaci anticolesterolo, vale la pena ricordarlo, devono essere assunti in modo continuativo; da qui l'importanza di valutare sempre il rapporto rischio (e gravità) degli effetti collaterali con i benefici legati al decremento di morbilità che il farmaco determina.
E' evidente che farmaci del genere sono delle vere e proprie galline dalle uova d'oro per l'industria farmaceutica anche una volta che il brevetto sia scaduto. Il numero di utenti è alto e "fidelizzato". L'inizio del trattamento avviene, in genere, con l'approssimarsi della mezza età, momento in cui è più probabile (al netto di predisposizioni genetiche) rilevare livelli di colesterolo superiori ai parametri di riferimento. Ed è proprio su questi "parametri di riferimento" che si gioca la partita tra le pulsioni dell'industria a cercare di vendere il farmaco e il consensus medico su quali siano i parametri più affidabili che giustifichino l'inizio del trattamento. Parametri che sono definiti da linee guida raccolte nell'Adult Treatment Panel (ATP) ed elaborate da 15 esperti nominati dai National Institutes of Health americani. Negli ultimi questi valori soglia sono stati spesso contestati in quanto non univocamente predittivi del rischio cardiovascolare.
E' evidente che farmaci del genere sono delle vere e proprie galline dalle uova d'oro per l'industria farmaceutica anche una volta che il brevetto sia scaduto. Il numero di utenti è alto e "fidelizzato". L'inizio del trattamento avviene, in genere, con l'approssimarsi della mezza età, momento in cui è più probabile (al netto di predisposizioni genetiche) rilevare livelli di colesterolo superiori ai parametri di riferimento. Ed è proprio su questi "parametri di riferimento" che si gioca la partita tra le pulsioni dell'industria a cercare di vendere il farmaco e il consensus medico su quali siano i parametri più affidabili che giustifichino l'inizio del trattamento. Parametri che sono definiti da linee guida raccolte nell'Adult Treatment Panel (ATP) ed elaborate da 15 esperti nominati dai National Institutes of Health americani. Negli ultimi questi valori soglia sono stati spesso contestati in quanto non univocamente predittivi del rischio cardiovascolare.
Dopo anni di discussioni si è giunti infine all'ultimo aggiornamento delle linee guida (pubblicate a fine 2013 sotto il nome di ATP IV), con novità interessanti per il campo. Notizie non legate all'arrivo di farmaci più efficienti (anche se è vero che sono in fase di sperimentazione avanzata) quanto per la revisione dei valori clinici di riferimento per LDL.
Qui un riassunto |
L'attuale linea guida (ATP III) ha come cardine centrale il mantra "meno [LDL] è meglio". Un assunto che tuttavia, pur fortemente indiziario e con molte evidenze cliniche, non è mai stato formalmente dimostrato.
Infatti sebbene sia chiaro e comprovato che le statine riducono il rischio di infarto e ictus, il solo abbassamento di LDL (ottenuto con altri farmaci) non fornisce la stessa azione protettiva. Quindi le statine fanno qualcosa in più che solo abbassare il colesterolo. Molto probabilmente l'azione unica delle statine è correlata all'azione di contrasto dello stato infiammatorio generale, di suo è un fattore di rischio per le malattie cardiache.
Il dubbio sulla centralità del LDL nella prevenzione cardiovascolare non è nuovo, essendo emerso nello studio clinico Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes (ACCORD) che nel 2010 mise in discussione un altro dogma, mostrando come la riduzione della pressione o della glicemia non sono sufficienti da soli per ridurre il rischio di infarto o di ictus. Anzi, paradossalmente abbassare i livelli glicemici ne aumentava il fattore di rischio. Questo per sottolineare come la plurifattorialità intrinseca ad alcune malattie renda inutile cercare di curarle intervenendo solo su un parametro fisiologico, che è magari solo un epifenomeno. Anzi potrebbe essere dannoso dato che si agirebbe solo sul campanello di allarme senza avere prima spento l'incendio.
Del resto come affermano alcuni esperti del campo "la maggior parte di coloro che hanno un attacco di cuore non hanno livelli di LDL troppo alti". Sarebbe più utile avere una panoramica generale sullo stato di salute delle arterie e "se le arterie e il cuore sono sani, non mi interessa il valore di LDL o della pressione del sangue". Una affermazione forse eccessiva ma che spiega i dubbi su alcuni atteggiamenti interventistici spiegabili con gli enormi interessi delle aziende farmaceutiche per vendere farmaci anti-colesterolo anche a soggetti non veramente a rischio. Sebbene ad oggi la maggior parte di questi farmaci siano fuori brevetto (quindi disponibili in forme low-cost) è altrettanto vero che alcuni nuovi farmaci (come quelli che inibiscono la proteina PCSK9, coinvolto nella sintesi del colesterolo) sono in dirittura d'arrivo.
La, apparente, buona notizia è che le nuove raccomandazioni eliminano i vincoli del tipo "se superi il valore x di LDL devi prendere la statina" ma al contempo, volendo essere dubbiosi, ampliano il
bacino dei candidati alle statine, dato che raccomandano l'utilizzo a chi abbia accumulato un fattore di rischio cumulativo rispetto alla media superiore del 7,5 % in 10 anni. Un dubbio esposto sul British Medical Journal da John Abramson della Harvard University e autore del saggio "Overdosed America: The
Broken Promise of American Medicine". Il rischio è che il numero di sani che, soprattutto in USA, inizieranno ad usare le statine possa aumentare.
Entrando nel dettaglio all'atto della prescrizione i medici dovranno valutare se i fattori di rischio cardiovascolare rispondendo a quattro domande:
- il paziente è malato di cuore?
- soffre di diabete?
- i valori di LDL superano 190? E' inferiore ma ha il diabete?
- il rischio di infarto a 10 anni è superiore a 7.5?
Se anche una sola di queste domande sarà positiva si dovrà optare per un trattamento a base di statine. In tutti gli altri casi, si consiglierà di modificare la dieta e lo stile di vita.
(potrebbe interessarti su questo blog l'articolo su "LDL cattivo?")
Fonti
- Management of Blood Cholesterol in Adults: Systematic Evidence Review from the Cholesterol Expert Panel
- 2013 ACC/AHA Guideline on the Treatment of Blood Cholesterol to Reduce Atherosclerotic Cardiovascular Risk in Adults
Am Coll Cardiol. 2013;():. doi:10.1016/j.jacc.2013.11.002
Nature 494, 410–411 (28 February 2013)
Check http://www.nhlbi.nih.gov/guidelines/cholesterol/atp4/
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