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Il Gusto e la Genetica / 5

(Continua da / 4)
L'attrazione verso le patatine fritte e' quindi qualcosa di più complesso. Una manifestazione collaterale del nostro anelito verso il salato, i grassi e l'umani ? Probabile.

La novità del sesto gusto
E' di poco tempo l'annuncio di alcuni ricercatori americani dell'esistenza del gusto del "grasso" oltre ai classici cinque prima descritti (dolce, amaro, aspro, salato e umami).
Variazioni nel gene CD36 può rendere le persone più o meno sensibile al gusto di grasso.
Lo studio iniziale, pubblicato su Journal of Lipid Research, aveva mostrato per la prima volta l'importanza del gene CD36 nel "sentire" il grasso. I nuovi dati (qui) mostrano che a seconda della quantità di proteina CD36 prodotta, le persone hanno una diversa sensibilità alla presenza di grasso negli alimenti. Meno proteina uguale minor sensibilità uguale maggiore ingestione di cibo "grasso" prima di raggiungere la soddisfazione. I dati presentati nello studio mostrano una differenza di sensibilità al cibo grasso fino a 8 volte all'interno di un gruppo di soggetti obesi il cui livello di espressione della proteina è all'interno delle due volte di differenza. So stima che poco meno del 20 per cento delle persone abbia la variante genica che produce meno proteina.
Non solo la genetica ma anche la dieta influenza anche la quantità di CD36 prodotta. Test su animali hanno mostrato che una dieta ricca di grassi provoca un drastico calo della produzione di CD36 rendendola quindi meno "consapevole" della quantità di grasso presente nel cibo.


Ma riferendoci alla prima domanda, perché? Non e' la quintessenza del cibo sano !
E' necessario allora introdurre una dicotomia all'interno del concetto di cibo sano, o per usare un termine meno ambiguo in termini evolutivi, di cibo utile.
La distinzione potrebbe essere fatta fra ciò che fa bene nel breve termine (assicurare un apporto nutritivo completo e tale da superare periodi di magra nell'immediato futuro) e quello che bene non fa nella maturità per non dire nella vecchiaia. Molti sarebbero gli esempi sulle strategie sociali nel mondo animale (ricordo che, si!,  anche noi apparteniamo a questa categoria) con cui i giovani imparano dagli errori/esperienze alimentari altrui. E questo sarebbe di per se un esempio di come la scelta del cibo influisce sul lungo termine. Preferisco tuttavia esemplificare il tutto con una semplice considerazione genetica: la selezione premia chi ha una fitness adeguata. Ovvio, vero?
Ricordo che con fitness si intende il successo riproduttivo di un individuo. Questo successo NON necessariamente coincide con la longevità, anzi soggetti anziani seppur in ottima salute, presentano vantaggi selettivi correlati, spesso nulli per uno o più dei seguenti motivi:
  1. i maschi anziani sono svantaggiati nella competizione riproduttiva con individui più giovani e forti.
  2. le femmine, soprattutto nei vertebrati superiori, hanno un fattore di rischio associato alla gravidanza. Ne consegue un rischio cumulativo, derivante dalle gravidanze multiple e quindi dall'età.
  3. anche senza ricorrere al vecchio esempio del predatore e della preda, più passa il tempo e più è probabile essere "mangiati", è sufficiente ricordare come nell'era pre-tecnologica (vale a dire gli ultimi 130.000 anni escludendo l'ultimo secolo) la vita media dell'Homo sapiens sapiens fosse intorno ad i 35 anni.
Quindi la predilezione per cibi, dannosi sul lungo periodo (ad es. aterogenici), sarebbe risultata assolutamente favorita se nel breve termine, quello sufficiente a procreare e a fare crescere la prole,
questi avessero fornito all'antenato godereccio un vantaggio anche minimo rispetto ad un eventuale cugino dedito saggiamente ad una dieta ipocalorica ma meno muscoloso.

Dobbiamo quindi rassegnarci a combattere una impari lotta fra il nostro istinto di divoratori di proteine, meglio se contornate da carboidrati condite con grassi saturi, e la nostra ragione salutista che ci dice che mangiamo fin troppo?

Domanda troppo difficile a stomaco vuoto.
Pensiamoci bevendo un milk-shake.



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Sempre in ambito alimentazione e genetica potrebbe interessarti un articolo sulla fallacia scientifica della cosiddetta dieta del gruppo sanguigno (qui).

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