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Perché ad alcune persone piace un particolare cibo mentre altre lo evitano? E' dovuto ad i geni, all'esperienza o ad entrambi?
A questi elementi bisogna aggiunger sia il modus che il contesto della fruizione, caratteristiche queste non secondarie.
Una precisazione innanzitutto: la percezione dei sapori ha certamente un ruolo chiave, ma non assoluto, nel definire cio' che ci piace.
A questi elementi bisogna aggiunger sia il modus che il contesto della fruizione, caratteristiche queste non secondarie.
Una precisazione innanzitutto: la percezione dei sapori ha certamente un ruolo chiave, ma non assoluto, nel definire cio' che ci piace.
Non sarete sorpresi nel leggere come la preferenza per il dolce sia innata nell'uomo ed in particolare nei pargoli. Che l'amaro e l'acido siano poco tollerati nei neonati e' un'altra cosa facilmente osservabile. Meno noto il fatto che l'apprezzamento per il salato compaia intorno al quarto mese di vita, indipendentemente dal condizionamento ambientale, essendo il latte materno povero di sodio.
Altrettanto importante e' il ruolo svolto dall'olfatto che attraverso recettori nasali e retro-nasali contribuisce alla caratterizzazione del cibo: pensate a quando si e' raffreddati e a come tutto appaia insapore. Anche l'olfatto tuttavia, come del resto l'aspetto del cibo, è alla base di una altra componente spesso trascurata: quella emotiva legata all'esperienza. Un aspetto questo importante, da citare, ma che non tratterò di seguito.
Vediamo allora di elencare alcuni dei fattori che concorrono alle nostre preferenze alimentari:
• la forte sensibilità al sapore amaro, o più precisamente la bassa soglia di attivazione dei recettori dedicati localizzati nella parte posteriore della lingua, non e' casuale. Il sapore amaro e' in natura spesso associato a sostanza tossiche quali gli alcaloidi (caffeina, etc.).
• precedenti intossicazioni alimentari si riflettono in una repulsione istintiva, sia visiva che gustativa e olfattiva, verso gli alimenti che ne sono stati potenziale causa. Seligman e Hager definirono questa repulsione con il termine "sindrome da salsa Bernaise", avendola Seligman sperimentata in prima persona.
• intolleranze alimentari non ancora manifeste sono spesso caratterizzate dal non provare "attrazione" per un particolare cibo senza sapere perché. Una sotto-categoria comprende la ben nota intolleranza a cibi fruiti a lungo ma che si è via via dismesso. La capacita' di digerire il latte in eta' adulta è geneticamente determinata ed e' più comune in quelle popolazioni in cui il latte e' stato storicamente un componente importante della dieta (tipico esempio di selezione positiva).
• semplici esperimenti sugli infanti permettono di distinguere la "valutazione del gusto" innata da quella derivante dal condizionamento culturale. La mimica facciale evidenzia la netta e differente risposta ad una goccia di soluzione zuccherina o ad una di succo di limone diluito.
• il valore energetico di un alimento. Si e' dimostrato che in condizioni di neutralità di sapore (quindi non associato a precedenti esperienze) di un cibo associato a diverso apporto calorico e fornito per un periodo sufficientemente lungo alle "cavie" queste privilegeranno quel sapore che e' legato al cibo più nutriente. Banalmente, il corpo sa di cosa necessita ed impara ad associarlo al gusto più che al suo aspetto (Wilcoxon, 1971)
• oltre alla percezione propria del gusto (percezione conscia), vi e' una componente automatica che si traduce in avversione, secrezione gastrica, comportamento alimentare, … . La degustazione dei vini ad esempio ci insegna non solo che ad una debole acidità corrisponde una aumentata salivazione, ma anche che il sapore amaro (retrogusto) ha durata superiore ed e' dominante sugli altri sapori.
• La "food neophobia", o diffidenza verso cibo mai "sperimentato", e' bassa nell'infanzia (quando siamo guidati nel consumo del cibo) e si sviluppa con l'acquisita indipendenza alimentare. La sua intensità, varia fra individui nella popolazione, ha una componente ereditaria importante (cooke et al, 2007) a cui, per complicare il tutto si aggiungono le dinamiche sociali di "emulazione" e/o apprendimento, molto potenti e durature.
continua
Altrettanto importante e' il ruolo svolto dall'olfatto che attraverso recettori nasali e retro-nasali contribuisce alla caratterizzazione del cibo: pensate a quando si e' raffreddati e a come tutto appaia insapore. Anche l'olfatto tuttavia, come del resto l'aspetto del cibo, è alla base di una altra componente spesso trascurata: quella emotiva legata all'esperienza. Un aspetto questo importante, da citare, ma che non tratterò di seguito.
Vediamo allora di elencare alcuni dei fattori che concorrono alle nostre preferenze alimentari:
• la forte sensibilità al sapore amaro, o più precisamente la bassa soglia di attivazione dei recettori dedicati localizzati nella parte posteriore della lingua, non e' casuale. Il sapore amaro e' in natura spesso associato a sostanza tossiche quali gli alcaloidi (caffeina, etc.).
• precedenti intossicazioni alimentari si riflettono in una repulsione istintiva, sia visiva che gustativa e olfattiva, verso gli alimenti che ne sono stati potenziale causa. Seligman e Hager definirono questa repulsione con il termine "sindrome da salsa Bernaise", avendola Seligman sperimentata in prima persona.
• intolleranze alimentari non ancora manifeste sono spesso caratterizzate dal non provare "attrazione" per un particolare cibo senza sapere perché. Una sotto-categoria comprende la ben nota intolleranza a cibi fruiti a lungo ma che si è via via dismesso. La capacita' di digerire il latte in eta' adulta è geneticamente determinata ed e' più comune in quelle popolazioni in cui il latte e' stato storicamente un componente importante della dieta (tipico esempio di selezione positiva).
• semplici esperimenti sugli infanti permettono di distinguere la "valutazione del gusto" innata da quella derivante dal condizionamento culturale. La mimica facciale evidenzia la netta e differente risposta ad una goccia di soluzione zuccherina o ad una di succo di limone diluito.
• il valore energetico di un alimento. Si e' dimostrato che in condizioni di neutralità di sapore (quindi non associato a precedenti esperienze) di un cibo associato a diverso apporto calorico e fornito per un periodo sufficientemente lungo alle "cavie" queste privilegeranno quel sapore che e' legato al cibo più nutriente. Banalmente, il corpo sa di cosa necessita ed impara ad associarlo al gusto più che al suo aspetto (Wilcoxon, 1971)
• oltre alla percezione propria del gusto (percezione conscia), vi e' una componente automatica che si traduce in avversione, secrezione gastrica, comportamento alimentare, … . La degustazione dei vini ad esempio ci insegna non solo che ad una debole acidità corrisponde una aumentata salivazione, ma anche che il sapore amaro (retrogusto) ha durata superiore ed e' dominante sugli altri sapori.
• La "food neophobia", o diffidenza verso cibo mai "sperimentato", e' bassa nell'infanzia (quando siamo guidati nel consumo del cibo) e si sviluppa con l'acquisita indipendenza alimentare. La sua intensità, varia fra individui nella popolazione, ha una componente ereditaria importante (cooke et al, 2007) a cui, per complicare il tutto si aggiungono le dinamiche sociali di "emulazione" e/o apprendimento, molto potenti e durature.
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