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Dallo studio dei pazienti resistenti all'HIV, nuove prospettive terapeutiche per l'AIDS

Un team della Miller School of Medicine, University of Miami, ha studiato i rarissimi casi di persone infettate da HIV guarite senza l'ausilio di alcuna terapia anti-retrovirale.

Un fatto non sorprendente per i virologi dato che la presenza di individui resistenti è parte della lotta tra virus e organismo ospite. Del resto noi europei discendiamo dai sopravvissuti alle devastanti epidemie dello scorso millennio. Non mi riferisco solo a epidemie tipo la peste nera ma anche alle, PER NOI oramai sostanzialmente innocue, malattie esantematiche.
Non sorprendente certo, ma da studiare per capire il meccanismo alla base della acquisita resistenza, sperando di poterlo tradurre nello sviluppo di vaccini adeguati.
Ad oggi i casi noti di resistenza naturale all'HIV sono riferibili a classi tipo: 
  • persone sieropositive ma con livelli di virus sotto controllo che quindi non sviluppano l'AIDS (1 caso ogni 300 infettati); 
  • soggetti a rischio che non hanno mai contratto l'infezione pur essendo stati ripetutamente esposti al virus; 
  • pazienti che grazie alla terapia anti-retrovirale non cronicizzano la malattia spegnendo la proliferazione virale (come avviene nella stragrande parte degli individui trattati) ma guariscono completamente avendo neutralizzato il virus.
Alla base di tutto questo c'è ovviamente l'eterogeneità genetica all'interno della popolazione (vedi polimorfismi genici); una eterogeneità che, usando la similitudine del lancio di dadi, può originare una "mano" molto fortunata - in particolari condizioni - grazie ad una combinazione allelica vincente. O meglio per usare termini più corretti, una combinazione allelica meno permissiva per un dato virus.

Lo studio di una particolare categoria di soggetti resistenti all'infezione, noti come "elite controllers", è l'elemento centrale del lavoro, citato in apertura, condotto da David I. Watkins e pubblicato su Nature
I dati ottenuti indicano che gli elite controllers attivano una potente risposta immunitaria cellulo-mediata, dipendente quindi dai linfociti T killer CD8+, che si concentra solo su due o tre piccole regioni antigeniche (epitopi) del virus
Il dato è importante? Direi di si, come conferma il finanziamento di 10 milioni di dollari ricevuto dal team per proseguire nello studio.

Afferma Watkins, "l'attacco immunitario concentrato su queste regioni permette una risposta efficace che tiene sotto controllo il virus". Come durante un cannoneggiamento continuo su un punto specifico di un muro difensivo di una fortezza, i difensori non hanno il tempo di attuare le contromisure (nel caso di un virus vuol dire mutare per rendersi invisibile agli attaccanti).

Dato che circa il 70 per cento degli elite controllers hanno uno dei due determinanti genetici, ma averli non garantisce una buona protezione dopo l'infezione, la domanda fondamentale è qual'è il legame tra il determinante genetico e la capacità dl controllo?
Per trovare la risposta, il team di Watkins ha eseguito un semplice esperimento utilizzando come modello animale la scimmia che ha il grosso vantaggio di riprodurre naturalmente e in modo efficace il fenomeno degli elite controllers. In questo modello circa la metà di animali portatori di un particolare determinante genetico è in grado di controllare la proliferazione della versione scimmiesca del HIV, ovviamente senza alcun intervento farmacologico.
Quando i ricercatori hanno vaccinato questi animali in modo da forzare l'attivazione di quelle cellule CD8+ in grado di riconosce le tre regioni virali precedentemente identificate, il risultato è stato che tutti gli animali vaccinati sono diventati elite controllers.

Secondo Watkins, "il significato più probabile di questo dato è che negli esseri umani le cellule CD8 + che riconoscono tali epitopi sono le vere responsabili del controllo".

Passo successivo?
Scoprire perché queste particolari cellule killer sono così efficaci.

Nota. Allo scopo di completare il quadro delle conoscenze acquisite nel corso degli anni sugli elite controllers, va sottolineato che il complesso MHC-I (e in particolare il sottotipo HLA-B variante 27) gioca un ruolo chiave. Queste proteine sono fondamentali per smascherare problemi "sotterranei" come una cellula anomala (infettata o tumorale). Durante il normale processo di turn-over proteico, una parte dei prodotti di degradazione viene "issata" come una bandiera all'interno sulla superficie cellulare, tenuta in posizione dal MHC. Ogni volta che una cellula immunitaria interagisce con questa cellula "controlla" la bandiera; se questa non è del tipo che ha imparato ad ignorare durante il processo di maturazione linfocitaria, la equiparerà automaticamente ad un "non-self" attivando lo stato di allarme. Tanto più affini sono queste MHC ad interagire con un peptide mai incontrato prima (in questo caso una proteina del HIV) e tanto più velocemente verrà attivata la reazione. La variante 27 funziona esattamente in questo modo e questo spiega per quale motivo i portatori siano così bravi a scovare l'HIV nascosto. Come spesso succede non sono solo rose e fiori. Tale variante è anche associata ad una maggiore predisposizione alla spondilite anchilosante (una malattia autoimmune).

Fonti e letture
- Vaccine-induced CD8+ T cells control AIDS virus replication.
 PA Mudd et al, Nature. 2012 Nov 1;491(7422):129-33

- Breakthrough Discovery in Fight against AIDS
 University of Miami, news

- Researchers identify possible key to slow progression toward AIDS
  UCLA, news


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