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Stimolazione elettrica epidurale più riabilitazione si sono rivelati efficaci nella terapia dei pazienti con lesioni spinali

Nel precedente articolo abbiamo esaminato le prospettive invero rivoluzionarie, aperte dall'impianto di elettrodi in regioni cerebrali coinvolte in patologie invalidanti come il Parkinson o con funzioni di relais tra il comando motorio e gli arti in modo da scavalcare lesioni nella via di collegamento (tipicamente spinali).

Oggi vediamo esempi in cui tali sperimentazioni hanno mostrato risultati concreti su tre pazienti con lesioni a carico del midollo spinale permettendo loro di riprendere il controllo dei muscoli delle gambe e progressi nella loro capacità di deambulazione. Cosa ancora più importante, tutti i partecipanti allo studio hanno conservato una buona parte dei miglioramenti anche dopo l'interruzione della terapia di stimolazione.
I risultati sono stati pubblicati da un team della svizzera EPFL il 31 ottobre sulla rivista Nature.
Sequenza fotomontaggio che mostra i progressi nel test condotto alla EPFL (credits to actu.epfl.ch)

La tecnica usata in questo caso è nota come stimolazione elettrica epidurale e consiste nell'applicazione di una corrente elettrica continua nella parte inferiore del midollo spinale grazie ad un chip impiantato sulla dura, la parte più esterna dei tre foglietti costituenti le meningi, l'involucro protettivo del sistema nervoso centrale. Il chip riceve le istruzioni da una specie di telecomando esterno che controlla la frequenza e l'intensità della corrente elettrica. Quando lo stimolatore è attivo, l'insieme di specifiche stimolazioni sensoriali e di un allenamento intensivo per rafforzare la risposta neuromuscolare, consente alle persone paralizzate di muovere volontariamente le gambe.
E' bene ricordare che la sperimentazione è nelle fasi iniziali e, cosa ancora più importante, che i soggetti coinvolti dovevano avere un certo tipo di requisiti di entrata per essere ammessi; uno tra tutti i pazienti dovevano avere mantenuto un certo livello di funzionalità motoria a valle del sito della lesione.

Il lavoro di Nature non è però l'unico indizio che qualcosa di importante stia avvenendo nel campo. Poche settimane prima i medici della Mayo Clinic hanno descritto il caso di una persona completamente paralizzata al di sotto della lesione che era riuscita a camminare su un tapis roulant dopo 43 settimane di trattamento intensivo consistente in un mix di allenamento muscolare e stimolazione elettrica.
Più o meno nelle stesse settimane ricercatori della università di Louisville, nel Kentucky, hanno presentato dati che indicavano che due delle quattro persone sottoposte a stimolazione epidurale continua erano stati in grado di camminare con l'ausilio di sistemi facilitanti la deambulazione dopo 15 e 85 settimane di allenamento, rispettivamente.

Cosa distingue i tre lavori con risultati apparentemente simili? La tecnica usata al EPFL ha utilizzato una stimolazione a tempo invece di una stimolazione continua e che i risultati siano qualitativamente migliori. Il razionale alla base della scelta è  che la stimolazione continua potrebbe diminuire l'efficienza bloccando i segnali di ritorno dagli arti paralizzati con ricadute negative sulla qualità del controllo motorio. Il che ha senso se si pensa che la paralisi è causata sia dall'interruzione del flusso che "ordina" il movimento che da quello sensoriale e di feedback del movimento in atto. Un corto circuito, passatemi il termine, che impedisce o invalida movimenti "utili" anche in presenza di lesioni non totali, cioè lesioni in cui riescono a transitare almeno in parte gli stimoli nervosi.
Le lesioni parziali riguardano un alta percentuale delle lesioni invalidanti, da cui l'interesse per cercare una soluzione per "ripristinare il cablaggio" lesionato.
La stimolazione elettrica esterna va proprio in questa direzione, agendo direttamente sui motoneuroni integrando il segnale deficitario che questi continuano a ricevere dal cervello.
Come? Senza addentrarci in tematiche di neurofisiologia diciamo che i ricercatori hanno prima mappato le aree del midollo spinale coinvolte in movimenti come il camminare, la flessione dell'anca o la torsione della caviglia. Fatto questo sono passati alla fase operativa impiantando gli stimolatori elettrici in tre persone con diversi livelli di menomazione motoria nelle gambe causata da lesioni spinali.
Le lesioni dei tre partecipanti erano diverse, con un paziente incapace di muovere le gambe (e con la sinistra totalmente paralizzata) e un altro capace ancora di muovere le gambe ma incapace di sollevarle quando tentava di camminare.
Una volta in sede, i dispositivi hanno cominciato ad emettere una sequenza controllata di impulsi elettrici a livello spinale così da integrare i segnali motori. Si deve sottolineare che la stimolazione elettrica qui non aveva il fine di indurre il movimento per sé (come da un telecomando esterno) ma di "abilitare" il movimento. In altre parole funzionava solo quando il paziente tentava di iniziare il movimento; come una specie di amplificatore del segnale che captava l'ordine di muoversi partito dal cervello ma che la lesione rendeva "incomprensibile" al motoneurone.

I primi giorni del test furono i più frustranti per i pazienti che dovettero "reimparare" a dialogare con i propri arti. Già alla fine della prima settimana i partecipanti si dimostrarono capaci di risultati tangibili, riuscendo a camminare sebbene con l'ausilio di dispositivi finalizzati a sostenere parte del loro peso.

Dopo circa cinque mesi di una combinazione di terapie riabilitative e di elettrostimolazioni, i risultati sono stati tangibili, con miglioramenti che si sono mantenuti anche dopo la disattivazione della stimolazione esterna. Due dei tre partecipanti sono ora in grado di camminare in modo autonomo, sebbene con l'ausiolio delle stampelle (possono anche fare qualche passo senza); la terza persona, quella con lesioni più gravi ha riacquistato la capacità di muovere le gambe, prima paralizzate, da sdraiato.

I ricercatori hanno cercato di rendere la tecnologia più "easy" sviluppando strumenti capaci di continuare la stimolazione epidurale anche al di fuori del laboratorio. Ciò comprende sensori indossabili che attivano la stimolazione e una app caricata su uno smartwatch che risponde a comandi vocali, consentendo così ai pazienti di selezionare la tipologia esatta di stimolazione necessaria in quella particolare situazione.
La app montata sullo smartwatch (all credit: EPFL)

Di seguito un video della EPFL in cui si riassumono i passi salienti della sperimentazione iniziata sui roditori e culminata sui pazienti con lesioni spinali.
Se non vedi il video, clicca sul link --> Youtube

e poi un video con le testimonianze dei pazienti
Se non vedi il video, clicca sul link --> Youtube


L'ottimismo non deve però essere cieco, in quanto è evidente che non tutti i pazienti potrebbero beneficiare di tale terapia. In primis il candidato al trattamento deve avere un certo livello di funzionalità motoria al di sotto della lesione, altrimenti è semplicemente inutile.



Fonti
-  Electrical spinal cord stimulation must preserve proprioception to enable locomotion in humans with spinal cord injury
E. Formento et al, (2018)  Nature Neuroscience, v21, pp. 1728–1741  

- Neuromodulation of lumbosacral spinal networks enables independent stepping after complete paraplegia
M.L. Gill et al, (2018) Nature Medicine v24, pp. 1677–1682

- Targeted neurotechnology restores walking in humans with spinal cord injury
 F.B. Wagner et al (2018) Nature, v563, pp 65-71

- Breakthrough neurotechnology for treating paralysis

- Three people with spinal-cord injuries regain control of their leg muscles
Nature / news (2018)

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