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Ridare la "parola" alle persone che l'hanno persa a causa di ictus o lesioni

Leggere la mente attraverso l’analisi dell’attività cerebrale è ancora lungi dalla possibilità attuali e porrebbe quesiti etici e di privacy non secondari (vi rimando a precedenti articoli sul tema, citati a fondo pagina).

Meno incerta e di piu immediato utilizzo è usare la tecnologia per cercare di restituire la possibilità di comunicare a persone paralizzate o con gravi lesioni cerebrali.

Credit: UCSF

Gli ultimi decenni di vita di Stephen Hawking sono un esempio di come al progredire della malattia si sia affiancato lo sviluppo di strumenti per consentire allo scienziato di continuare a comunicare e di fare scienza. 

Hawking perse definitivamente l'uso della parola nel 1985 in seguito ad una tracheotomia resasi necessaria per favorirne la respirazione. Al tempo conservava una certa capacità residua negli arti destinata, per le caratteristiche della malattia, a scomparire. Fu in questi anni che si cominciarono a testare sistemi per mantenere "aperto" il canale di comunicazione dello scienziato con l'esterno. Nel 1997 si comincio' ad usare sistema di comunicazione via computer sviluppato da Intel, che venne poi progressivamente migliorato, compresa l'aggiunta della voce, fino alla sua dipartita a 76 anni.

image credit: MARCO GROB/WIRED UK

Il sistema si basava sulla digitazione virtuale delle parole sullo schermo di un computer, controllato in un primo momento dalle dita. Passaggio successivo fu l'utilizzo di un sensore a infrarossi montato sui suoi occhiali che rilevava le sempre più deboli (con gli anni) contrazioni e movimenti nella guancia dello scienziato, e che fungevano da "interruttore" per attivare i comandi e l'utilizzo di una tastiera virtuale visualizzata grazie ad un tablet montato sulla sua sedia a rotelle. 
Il software permetteva al cursore di spostarsi tra righe e colonne finché arrivava alla parola desiderata, che veniva selezionata con un movimento della guancia. Per semplificare il processo il software includeva anche una funzione di completamento automatico capace di suggerire la parola. Fin da subito il software fu rilasciato come open source in modo da poter essere utilizzato gratuitamente da chiunque.


Grosso svantaggio di questi strumenti era la lentezza del processo e l'affaticamento per chi lo usava. Nel 2015 uno sviluppatore aveva creato, OptiKey, che permetteva di controllare l'interfaccia mediante il movimento degli occhi

In pratica una sorta di webcam che rileva la successione di lettere  nello stesso momento che la persona le visualizza, elaborandone la parola voluta. Nulla di nuovo in realtà se non che il nuovo modello era ora alla portata di tutte le tasche.


OptiKey. Video dimostrativo --> qui

Nel prossimo futuro si spera che questi dispositivi diventeranno reperti da museo sostituiti da tecnologie come quella ideata alla UCSF

Il concetto alla base è infatti "un passo oltre" ai precedenti: invece di intercettare il movimento degli occhi per computare le parole si va direttamente alla fonte, cioè il "pensiero della parola".

Da anni si sa che non solo l’azione meccanica (ad es. il movimento di un braccio) è preceduta dall’attività in alcune specifiche aree cerebrali ma anche che queste precedono la consapevolezza di “voler fare una data azione”

L’idea portata avanti dai ricercatori della UCSF è stata quella di sviluppare un dispositivo in grado di rilevare la “preparazione” dell’atto del parlare nel cervello e di tradurre questa attività in un testo scritto.

Andare alla fonte permette di saltare il blocco/danno a valle, nei circuiti neuromotori.

L’approccio non è nuovo nel suo genere essendo stato testato per convertire l’idea di fare un movimento in una serie di segnali che un computer traducevano nell'atto stesso (stringere la mano o afferrare un bicchiere) operato da una protesi o un braccio robotico.

A tale scopo bisognava pensare ad un sensore capace di intercettare e decodificare le onde cerebrali che nei soggetti normali comandano l’apparato vocale (ivi compresi i movimenti muscolari delle labbra, della mascella, della lingua e della laringe), traducendo il segnale nelle vocali e consonanti che formano la parola voluta.

Sviluppare sensori affidabili è un approccio multidisciplinare perché oltre al sensore (elettrodi) da posizionare in modo molto preciso, ci vuole un software adeguato e una fase di training con cui si educhi il software.

Punto chiave nella fase di sviluppo è stata la collaborazione volontaria di pazienti sofferenti di epilessia che avevano già in programma (allo scopo di mappare il punto di origine dei loro attacchi) una scansione della loro attività cerebrale

Esempio del caschetto usato durante i test per mappare l'origine degli attacchi epilettici.

Sviluppare il sistema partendo da questi soggetti invece che dai pazienti era essenziale in quanto dotati di una normale capacità di pensiero e di elaborazione vocale, con cui sviluppare sia il software che il corretto posizionamento degli elettrodi.


Finita la fase preparativa bisogna mettere alla prova il metodo su un soggetto incapace di parlare. Ad offrirsi volontaria una persona che quindici anni prima, a causa di un ictus al tronco cerebrale, aveva subito una paralisi diffusa con perdita della parola. Nei test gli elettrodi furono posizionati sulla superficie cranica in corrispondenza dell’area che controlla il linguaggio e si procedette alla messa a punto del programma calibrando la sua capacità di riconoscere il pensiero di parole semplici. In tutto 50 parole chiave utilizzabili in più di 1000 frasi.  

Un esempio è la risposta che appare sullo schermo del computer dopo che lo sperimentatore ha chiesto “Come stai oggi?” (“sto molto bene”) o “Hai sete?” (“no, non ho sete” ).

Il tempo necessario affinché la risposta compaia sullo schermo dopo la domanda è di circa 4 secondi. Può sembrare molto ma è un deciso passo avanti rispetto ai tempi di una risposta dettata dal movimento oculare.


I risultati sono stati pubblicati sulla rivista New England Journal of Medicine.

Se non vedi il video riassuntivo --> youtube (credit: UCSF)


Tra i vari vantaggi offerti da questo metodo, quello di potere essere utilizzato da persone con patologie sottostanti molto diverse tra loro (lesioni, ictus, SLA, …) purché, ovviamente, la capacità di pensare sia integra.


Ottenuta la prova di fattibilità, i ricercatori si sono dati l’obiettivo di migliorare la velocità, l'accuratezza e l’estensione del vocabolario riconosciuto dal dispositivo.

Quasi triviale, una volta raggiunti gli obiettivi prefissati, sarà integrare il tutto con un generatore vocale al posto dell’attuale testo a schermo.


Per una panoramica dei sistemi interfaccia cervello computer vi rimando al successivo articolo tematico.


Fonte

Neuroprosthesis for Decoding Speech in a Paralyzed Person with Anarthria.

David A. Moses et al, N Engl J Med 2021; 385:217-227




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