E' noto da tempo che dormire poco fa male alla linea, oltre che all'efficienza cognitiva.
Qualunque sia il motivo che porta ad una riduzione continuativa delle ore di sonno quotidiane, la conseguenza sarà il cambiamento in peggio delle abitudini alimentari ed una tendenza ad ingrassare.
Qualunque sia il motivo che porta ad una riduzione continuativa delle ore di sonno quotidiane, la conseguenza sarà il cambiamento in peggio delle abitudini alimentari ed una tendenza ad ingrassare.
Niente di nuovo in questa frase essendo ben noto il legame tra mancanza di riposo, stress, aumento del livello di cortisolo e iperattivazione dei circuiti neurali preposti al " reward" che a sua volta porta a cercare "il piacere" associato a cibi gustosi (alias ipercalorici).
La novità è che ora, grazie ad uno studio pubblicato sulla rivista Sleep, si sta cominciando a capire nel dettaglio la biochimica di tale risposta. Una comprensione utile per ricercare soluzioni terapeutiche adeguate, particolarmente importanti in quei casi in cui la carenza di sonno non sia una conseguenza di una propensione ad una attiva vita notturna ma a chi per qualunque motivo sia costretto ad una vita che porta ad una riduzione del sonno.
Lo studio ha coinvolto 14 ventenni sani selezionati per la loro capacità di "resistere alle tentazioni" di cibi in genere altamente appetibili (come merendine, biscotti, patatine, caramelle, ...) dopo mangiato. Potrà sembrare un controsenso il voler mangiare cibi ipercalorici dopo un pranzo ma i dati sulla popolazione dicono il contrario: la maggior parte del cibo "inutile" e ipercalorico viene ingerito a stomaco pieno o in generale quando il corpo non ne avrebbe necessità.
Un campione ideale, quello dei giovani "non sensibili" alle lusinghe inutili del cibo, per lo studio del comportamento alimentare indotto dalla carenza di sonno (4,5 ore contro le 7,5 ore standard). Effetti dimostratisi particolarmente potenti nel tardo pomeriggio e nella prima serata, guarda caso quei momenti in cui l'assunzione di spuntini calorici si traduce più facilmente in un aumento di peso.
Durante il periodo del test i volontari hanno ricevuto tre pasti al giorno (9am, 2pm e 7pm) tali di modo che non ci fosse alcuna "necessità" fisiologica a cercare cibo negli altri momenti della giornata.
Alla base di questa alterazione comportamentale ci sarebbe il sistema endocannabinoide (nello specifico il 2-arachidonoilglicerolo, alias 2-AG) bersaglio tra l'altro del principio attivo della marijuana che non a caso induce una fame incontrollabile.
Sia il 2-AG che il THC (principio attivo della cannabis) legano il recettore CB1-R con l'effetto di attivare i circuiti "della fame" lungo l'asse ipotalamico ipofisario. In generale la presenza di leptina (l'ormone della sazietà) limita fortemente la attivabilità di questo recettore; tuttavia in presenza di stress continuato si ha un aumento di 2-AG che supera il blocco della leptina. Risultato è la "voglia di cibo" anche quando si è sazi.
I livelli ematici di 2-AG sono in genere bassi durante la notte e tendono a salire con la veglia raggiungendo un picco nel primo pomeriggio. Un ritmo che però viene alterato nei soggetti privati del sonno in cui il livello di endocannabinoidi aumenta del 33 per cento, raggiunge il picco intorno alle 2 pm e rimane a quei livelli fino alle 9 pm! Una variazione che si associa da un punto di vista comportamentale ad un aumento del senso di fame e al desiderio di cibi calorici. Al quarto giorno di riduzione (attenzione NON privazione) delle ore di sonno rispetto alle 8 ore standard della prima parte del test, la resistenza intrinseca al cibo ipercalorico offerto loro a due ore di distanza dall'ultimo pasto è praticamente scomparsa.
Risultato è una assunzione preferenziale di circa il 50 per cento in più di calorie giornaliere. Un aumento che non è spiegabile con l'aumentato costo energetico di poche ore di veglia al giorno in più, che i ricercatori stimano in circa 17 calorie per ogni ora di veglia aggiuntiva fino al massimo cumulativo di 70 calorie nel caso del passaggio delle ore di sonno da 8 a 4. L'energia contenuta in 2-3 biscotti da colazione e quindi ben inferiore a quella realmente assunta dai volontari "stressati" pari a circa 300 calorie in più al giorno.
Risultato è una assunzione preferenziale di circa il 50 per cento in più di calorie giornaliere. Un aumento che non è spiegabile con l'aumentato costo energetico di poche ore di veglia al giorno in più, che i ricercatori stimano in circa 17 calorie per ogni ora di veglia aggiuntiva fino al massimo cumulativo di 70 calorie nel caso del passaggio delle ore di sonno da 8 a 4. L'energia contenuta in 2-3 biscotti da colazione e quindi ben inferiore a quella realmente assunta dai volontari "stressati" pari a circa 300 calorie in più al giorno.
Più che sufficienti sul medio periodo per causare un aumento di peso evidente.
Nonostante i limiti intrinseci di uno studio di piccole dimensioni (e di breve durata) i risultati sono statisticamente significativi.
Morale? Più di tante diete spesso di dubbia efficacia, è meglio iniziare ripristinando nel proprio stile di vita le ore di sonno fisiologicamente necessarie.
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Fonte
- Sleep Restriction Enhances the Daily Rhythm of Circulating Levels of Endocannabinoid 2-Arachidonoylglycerol
Erin C. Hanlon et al, Sleep (2016) 39(3), 653–664
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