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Esiste una correlazione tra Quoziente Autistico e lavorare in ambito scientifico?

Non scrivo niente di rivoluzionario se affermo che nell'immaginario collettivo le persone che si occupano di scienza o arte sembrano dotate di personalità o comportamenti "particolari", quando non chiaramente patologiche.
Se del rapporto tra arte e follia ne ho trattato in precedenza (--> "il difficile equilibrio tra creatività e follia"), nel campo delle scienze l'aggettivo "pazzo" è tra gli attributi più inflazionati quando il protagonista di un romanzo o di un film è uno scienziato (purtroppo questo è tanto più vero nella lingua italiana dove "scienziato" ha una connotazione più "speciale" rispetto all'equivalente inglese, "scientist", che indica chiunque si occupi di scienza).
Al di là degli stereotipi usati (anzi abusati) da scrittori a corto di idee, è indubbio che esistano (e siano esistite) personalità tanto geniali quanto ugualmente problematiche come quella del matematico John Nash. Sebbene si tratti di figure rare (in tutti i sensi) sarebbe poco onesto omettere che, in effetti, di personalità peculiari ne ho incontrate parecchie tra i colleghi nel corso degli anni. Se siano più o meno frequenti rispetto ad altri campi non saprei dire (non avendo frequentato ad esempio il mondo degli avvocati, architetti, etc).
A fare luce su questo quesito viene ora uno studio pubblicato sulla rivista PLoS ONE in cui si afferma che esiste una associazione tra la presenza di tratti autistici in una persona e il lavorare in aree raccolte sotto la sigla STEM (acronimo delle parole inglesi per scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).

A questo punto la precisazione è doverosa: possedere tratti autistici è ben diverso dall'essere clinicamente autistici. La maggior parte di noi possiede alcuni tratti autistici come la difficoltà che hanno alcuni nel capire il punto di vista altrui, una maggiore resilienza al passare velocemente tra un compito e l'altro (ivi comprese la flessibilità operativa e il multitasking), l'attenzione al dettaglio, la memorizzazione di particolari che sfuggono in toto agli altri, e molti altri.
Nei soggetti autistici queste caratteristiche si sommano e si amplificano al punto tale da creare una barriera di incomunicabilità tra la persona e il mondo esterno.
Per misurare la presenza e consistenza di questi tratti 15 anni fa un team di ricercatori della università di Cambridge mise a punto un questionario, utilizzato ancora oggi, in grado di valutare il quoziente dello spettro autistico (AQ). Il test consiste in 50 domande, ognuna delle quali indaga una delle tante manifestazioni con cui si manifesta l'autismo.
Nota. La terminologia corretta per definire l'autismo è Autism Spectrum Disorder (disturbi dello spettro autistico o ASD) ad indicare l'estrema eterogeneità della malattia. Un disturbo di tipo comportamentale eterogeneo (ma con alcuni elementi caratterizzanti che permettono di utilizzare un "ombrello" diagnostico) conseguenza di una eziologia diversa, seppur poco compresa. Quando sintomi simili sono prodotti da alterazioni meccanicisticamente diverse, il risultato ovvio è la difficoltà di eseguire diagnosi univoche e, a cascata, sviluppare terapie utili in più che in una frazione dei soggetti. In parole semplici parlare di autismo non ha la stessa valenza conoscitiva di quando si parla di epilessia o di polmonite di cui si conoscono le cause e il distretto colpito. Uno dei pochi elementi certi è che l'ASD è il risultato di problemi dello sviluppo neurologico nella fase embrionale.
Il calcolo dell'AQ è oramai uno strumento consolidato, che è stato usato in centinaia di studi clinici ciascuno dei quali ha coinvolto centinaia di volontari non autistici. I risultati hanno indicato che il quoziente era maggiore negli uomini (21,6 contro 19 delle donne) e tra coloro che lavoravano in campi assimilabili al STEM (punteggio medio di 21,9).
Se il maggior punteggio degli uomini rispetto alle donne potrebbe essere correlato al fatto che l'autismo è una malattia che coinvolge quasi esclusivamente (ma non solo) i maschi, la correlazione con il lavoro svolto (che in questi ambiti è quasi sempre il lavoro scelto) potrebbe indicare che la presenza di tali tratti garantisce un "sistema di pensiero" idoneo a migliorare le performance in quella mansione. O rovesciando il concetto, il lavoro in un particolare campo scientifico meglio si adatta ai sotterranei tratti autistici.
La ricerca ora pubblicata si spinge più in là nella validazione statistica di tale correlazione grazie al gran numero di persone (450 mila) testate. Entrambi i punti (associazione con genere e lavori STEM) sono stati confermati. Al contrario nessuna associazione statisticamente significativa è stata osservata né per l'età né per l'area geografica di provenienza

Forse con l'andare del tempo potremo capire quali sono le basi neuronali che predispongono le preferenze lavorative di ogni individuo in modo da sfruttarle a vantaggio della persona il prima possibile; ad esempio creando un percorso educativo ad hoc per massimizzarne le doti della persona, e con esse la soddisfazione personale.
Chi si volesse cimentare nel test può farlo alle seguenti pagine (in inglese) --> Autism Spectrum Quotient (di seguito invece la pagina per valutare il risultato del test --> QUI)
Il 21 marzo è stato pubblicato sulla rivista Nature Genetics un articolo che aggiunge informazioni ai dati prima presentati, centrato sulla distribuzione degli alleli "autistici" nella popolazione generale (vedi referenze bibliografiche per Elise B Robinson et al).

Potrebbe interessarvi sull'argomento l'articolo --> "Intelligenza e disturbi mentali".


Fonte
- Sex and STEM Occupation Predict Autism-Spectrum Quotient (AQ) Scores in Half a Million People
Emily Ruzich et al, PLoS One. 2015 Oct 21;10(10)

- Genetic risk for autism spectrum disorders and neuropsychiatric variation in the general population
Elise B Robinson et al, Nature Genetics (2016)


***

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Il Genio dei Numeri

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