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Pelagornitidi. Misteriosi uccelli giganti che volteggiavano sui mari prima che l'Homo scendesse dagli alberi

 Gli uccelli marini sono animali belli a vedersi e biologicamente interessanti. Non si tratta ovviamente di un gruppo tassonomicamente omogeneo (pensate alle differenze tra pinguini e gabbiani) ma di animali adattatisi perfettamente ad una più o meno ampia nicchia ecologica. Tanto più ristretta la nicchia e tanto maggiore la probabilità che le variazioni locali (non necessariamente legate alla antropizzazione ambientale o all'inquinamento) abbiano un effetto devastante sulle probabilità di sopravvivenza di tali specie.
credit: visitgraysharbor.com
Oltre alle specie "classiche" sopra menzionate e a quelli che ho avuto modo di osservare nei week end alla Gray Harbour c'è ne sono molti altri che sono conosciuti solo dai locali (e dagli ornitologi) e quelli noti solo ai paleontologi. E tra questi ultimi non molti saprebbero ripercorrere le tracce fossili (che portano fino al giurassico) associando i resti ad una data famiglia (e nemmeno ordine) tassonomica. Un punto questo sottolineato in un articolo pubblicato sulla rivista Scientific American, centrato sui pelagornitidi un gruppo di uccelli estintosi 2,5 milioni di anni fa; fin dal momento della loro scoperta questi uccelli hanno rappresentato un enigma evolutivo per i paleontologi.
I motivi sono legati alla loro anatomia e più precisamente nelle caratteristiche del becco (vedi a lato). Cosa notate di curioso nel becco? Facile. La presenza di qualcosa di simile (ma ontologicamente diverso) ai denti; invece di essere posizionati all'interno di alveoli e dotati di radice, corona, smalto e dentina, i "denti" dei  pelagornitidi sono di fatto delle escrescenze ossee cave della mandibola.
L'ipotesi funzionale più accreditata è che gli uccelli usassero queste protuberanze per trattenere la preda pescata dall'acqua più che per sminuzzarla.
Come doveva apparire un pelagornitide
   (credit: Peter Trusler)
Un altro elemento problematico nello studio dei pelagornitidi è che non si sa bene dove posizionarli all'interno dell'ombrello tassonomico degli Aves, la classe che comprende tutti gli uccelli noti. Nessun paleontologo saprebbe dire con certezza con chi siano i parenti più stretti di questi uccelli: pellicani; albatros; anatre; ... ?! La soluzione provvisoria è stata quella di inserirli all'interno di un ordine creato appositamente, quello degli Odontopterygiformes. Ma forse la classificazione dovrà essere di portata maggiore se, come sostengono alcuni ricercatori in base alla filogenetica, i pelagornitidi dovrebbero essere lasciati fuori dal superordine dei Neoaves (che include tutti gli uccelli tranne i Paleognati (incapaci di volare) e i Galloanserae (a cui appartengono tra gli altri, anatre e polli).

Terzo e ultimo motivo che rende speciali i pelagornitidi è la loro dimensione, sicuramente fuori dal comune. Il più grande uccello vivente è l'albatros errante (Exulans diomedea) dotato di una apertura alare che può arrivare ai 3,5 metri. Grande ma molto inferiore ai 4,5 metri visti in uno degli scheletri di pelagornitidi meglio conservati; soprattutto se si considera che oltre all'impalcatura ossea bisogna aggiungere le le grandi penne primarie, il che porterebbe la dimensione reale a poco meno di 6 metri.
Una dimensione che permette di definirli come i più grandi esseri viventi che abbiano solcato i cieli dal tempo degli pterosauri (estinti 66 milioni di anni fa). 

Se questi curiosi animali fossero ancora in vita, credo dovremmo preoccuparci delle nostre mani e non tanto delle patatine di cui gabbiani e albatros sono ghiotti quando adocchiano qualcuno che pasteggia mentre cammina pensando ai fatti suoi sulla battigia.
Confronto tra albatross, pelagornitidi e noi 





Fonte
- Giants of the Sky
Daniel T. Ksepka & Michael Habib, Scientific American (2016), 314, pp.64 - 71


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