Rhian Lewis, una paziente in cura presso il John Radcliffe Hospital di Oxford (UK), è stata tra le prime persone al mondo ad avere provato la gioia di un recupero della vista dopo 5 anni di buio, grazie all'impianto di un occhio quasi-bionico.
Rhian Lewis, la donna che ha testato il nuovo chip retinico. Image credit: BBC |
Sebbene il recupero sia stato parziale, la paziente ha potuto leggere alcune righe da un libro; non molto penseranno alcuni, ma è invero un traguardo notevole se pensiamo alla completa cecità iniziale e alla complessità del nostro mai troppo apprezzato "sensore".
L'operazione è stata possibile sia grazie ai progressi tecnologici nel campo della sensoristica che alla particolare malattia di cui soffriva la donna. La retinite pigmentosa, una patologia degenerativa della retina, coinvolge infatti solamente la retina lasciando inalterato l'hardware (cioè le connessioni nervose e le aree corticali preposte alla elaborazione del segnale) sottostante. Altro elemento essenziale è che essendo una malattia degenerativa, si parte da una capacità visiva normale nell'infanzia (il periodo critico durante il quale il cervello "impara a capire" il senso dei segnali trasportati dal nervo ottico) e solo successivamente (a seconda dei casi in un periodo compreso tra l'adolescenza e la tarda maturità) la vista viene persa.
Una malattia "ideale" quindi per testare sensori da innestare in prossimità dell'epitelio degenerato, con lo scopo di sostituirlo funzionalmente. Il test è stato effettuato inserendo un piccolo chip (3x3 mm) nell'occhio destro della paziente, collegandolo poi al nervo ottico sotto la supervisione di un minicomputer installato sottocute vicino all'orecchio. L'energia necessaria al funzionamento del computer viene fornita da una bobina magnetica che appare dall'esterno come uno dei tanti apparecchi acustici.
L'operazione è stata possibile sia grazie ai progressi tecnologici nel campo della sensoristica che alla particolare malattia di cui soffriva la donna. La retinite pigmentosa, una patologia degenerativa della retina, coinvolge infatti solamente la retina lasciando inalterato l'hardware (cioè le connessioni nervose e le aree corticali preposte alla elaborazione del segnale) sottostante. Altro elemento essenziale è che essendo una malattia degenerativa, si parte da una capacità visiva normale nell'infanzia (il periodo critico durante il quale il cervello "impara a capire" il senso dei segnali trasportati dal nervo ottico) e solo successivamente (a seconda dei casi in un periodo compreso tra l'adolescenza e la tarda maturità) la vista viene persa.
Una malattia "ideale" quindi per testare sensori da innestare in prossimità dell'epitelio degenerato, con lo scopo di sostituirlo funzionalmente. Il test è stato effettuato inserendo un piccolo chip (3x3 mm) nell'occhio destro della paziente, collegandolo poi al nervo ottico sotto la supervisione di un minicomputer installato sottocute vicino all'orecchio. L'energia necessaria al funzionamento del computer viene fornita da una bobina magnetica che appare dall'esterno come uno dei tanti apparecchi acustici.
(image credit: thesun.co.uk) |
Nota. I primi esperimenti con l'occhio bionico sono cominciati ad Oxford nel 2012. Durante questi 5 anni gli impianti sono stati testati su diversi pazienti che ne hanno verificato la "tenuta" sul medio periodo (sempre inferiore ad un anno) suggerendo modifiche intese a migliorarne, oltre che l'efficienza, anche la "vestibilità" e la robustezza. L'ultimo modello testato è stato pensato per un utilizzo continuativo fino a 6 anni.
Le prime sensazioni descritte dalla paziente una volta acceso il dispositivo, sono state di lampi di luce "senza senso". Nel corso di poche settimane il cervello comincia a "dare un senso" a questi segnali, convertendoli in forme e oggetti significativi con cui costruire un'immagine. L'immagine percepita non è molto diversa da quella che fornivano i primi televisori: bianco e nero e granuloso. Non eccelsa forse ma sufficiente per riacquistare l'indipendenza che la malattia aveva fatto perdere (o fortemente limitato).
Di seguito il video (necessario disattivare l'eventuale flashblock) della BBC che immortala il momento dell'accensione del dispositivo (credit bbc.co.uk).
Seppure limitato in quanto a risoluzione (solo 1600 pixel), il chip è programmato per continui refresh dell'immagine ogni volta che l'occhio si sposta, evitando così il problema di un ritardo tra "realtà e percezione". Un sensore di 1600 pixel non è nemmeno l'1 % di un megapixel, quindi sembrerebbe risibile anche rispetto alla peggiore fotocamera presente su uno smarphone low cost. Vero. Tuttavia anche la migliore fotocamera in circolazione non ha a disposizione un apparato di elaborazione potente come il cervello umano, in grado di processare segnali ben più deboli di quelli catturati da questo sensore.
(questo il link se non riuscite a vedere il video --> http://www.bbc.co.uk/...)
Seppure limitato in quanto a risoluzione (solo 1600 pixel), il chip è programmato per continui refresh dell'immagine ogni volta che l'occhio si sposta, evitando così il problema di un ritardo tra "realtà e percezione". Un sensore di 1600 pixel non è nemmeno l'1 % di un megapixel, quindi sembrerebbe risibile anche rispetto alla peggiore fotocamera presente su uno smarphone low cost. Vero. Tuttavia anche la migliore fotocamera in circolazione non ha a disposizione un apparato di elaborazione potente come il cervello umano, in grado di processare segnali ben più deboli di quelli catturati da questo sensore.
Possiamo solo immaginare i risultati che potremo ottenere nel prossimo futuro quando la miniaturizzazione dei chip ci permetterà di installare nell'occhio malato, dei sensori adeguati a quello strumento incredibile che è l'occhio.
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Aggiornamento 2020.
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Fonte
- Blind woman’s joy as she is able to read the time thanks to 'bionic eye'
Oxford University, news (gennaio 2016)
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