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Ricerca sul diabete: lavori in corso

Non tutte le malattie sono uguali di fronte alla ricerca farmaceutica.
Chiunque neghi questo presupposto di fatto nega la realtà. Questo non vuol dire che chi fa ricerca sia senza cuore ma semplicemente che per fare ricerca ci vogliono molti soldi. E la quantità di soldi necessari cresce esponenzialmente quando si passa dalla ricerca accademica (il cui fine è comprendere il meccanismo alla base di un fenomeno) alla ricerca farmaceutica (scopo unico è identificare molecole in grado di alterare in modo voluto e sicuro i meccanismi "inceppati" che causano la malattia).
Per avere una idea delle cifre in ballo vi reindirizzo ad un articolo precedente (QUI). Parliamo di un valore medio per farmaco approvato pari a circa un miliardo di euro. Soldi che solo in pochi casi rientrano nelle casse dell'azienda. I cosiddetti farmaci blockbuster si contano sulle dita di una sola mano nella vita pluridecennale di una azienda.
Solo se si tiene bene a mente questo punto fermo si può capire la frase iniziale e perché ci sia una preferenza delle aziende a investire sulle malattie cardiovascolari rispetto alla atassia di Friedreich.
Solo le patologie sufficientemente diffuse e per le quali non esiste un trattamento soddisfacente (il che vuol dire anche trattamenti risolutivi ma "fastidiosi" per il paziente) sono teoricamente in grado di ripagare le spese affrontate.
Nota. "Teoricamente" in quanto il farmaco deve superare tutte le fasi della sperimentazione pre-clinica e clinica (per un totale compreso tra 8 e 20 anni di test) e affrontare la competizione di farmaci "simili" proposti da altre aziende.
Allo scopo di incentivare la ricerca sulle malattie rare (meno di 5 casi ogni 10 mila abitanti) sono state attivate corsie preferenziali nella fase di approvazione del farmaco (economici, regolatori e di tempistica) e incentivi alle aziende come l'allungamento del periodo di esclusività. Per altre informazioni --> Ministero della Salute e opha.net.
Tra le malattie che non hanno bisogno di incentivi governativi per essere studiate il diabete (e in particolare la forma adulta o di tipo 2) è emblematico. Il motivo è semplice: l'invecchiamento della popolazione, associato ad un regime alimentare non propriamente intelligente (valido anche per i vegetariani) e alla maggior disponibilità di cibo anche in aree geografiche fino a pochi anni fa sottoalimentate, ha di fatto aumentato il bacino dei diabetici potenziali, di coloro cioè che tra non molti anni necessiteranno di un trattamento farmacologico permanente.
In questo senso il diabete è il caso paradigmatico di una malattia "ideale" per l'industria farmaceutica dato che necessita di un trattamento continuativo per tutta la vita del paziente. Questo spiega l'interesse della ricerca per queste tematiche.

Di seguito una serie di articoli sul tema diabete (articolo precedente sul tema QUI)

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Tra gli studi recenti, uno dei più interessanti è quello condotto da una azienda svizzera e pubblicato su Science Translational Medicine. Dalla combinazione di due trattamenti ormonali già in uso (basati su GLP-1 e GIP) in una singola preparazione iniettabile si sono ottenuti risultati positivi sia in modelli animali che in esseri umani consistenti in una sommatoria di proprietà ipoglicemizzanti e bassa incidenza di effetti collaterali (tipici di farmaci simili già in commercio).
Nello studio sono stati analizzati 44 pazienti, divisi in gruppi e trattati con il mix ormonale (a diverso dosaggio) o con placebo per sei settimane. La curva dose-risposta del trattamento ha mostrato una efficacia superiore al trattamento con i singoli ormoni. Non è stata invece confermata in essere umano l'azione anoresizzante osservata negli animali (riduzione del peso corporeo fino al 19% in una settimana); una differenza probabilmente riconducibile al minore tempo dei test su uomo rispetto a quelli condotti su roditori. Rimane aperta quindi la possibilità che, in assenza di effetti indesiderati, l'aumento del dosaggio e/o la durata del trattamento possa essere utilizzato in maniera mirata sui soggetti obesi.
I test su animali hanno fornito un'altro elemento interessante, non ancora testato in uomo, cioè il potenziale effetto sinergico tra GLP-1 e gli estrogeni nel ridurre il rischio diabete. Un tema che varrà sicuramente la pena studiare nel prossimo futuro.
In sintesi, sebbene i dati siano ancora preliminari e basati su un numero di soggetti ancora troppo basso, ci sono le condizioni di sicurezza per aumentare la casistica dei pazienti, condizione necessaria per giungere all'approvazione del nuovo trattamento.

Fonte
- Unimolecular Dual Incretins Maximize Metabolic Benefits in Rodents, Monkeys, and Humans
 Brian Finan et al, Sci Transl MedVol. 5, Issue 209,

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Sempre nel campo del diabete, uno studio della università di Yale mostra come si possa ipotizzare di agire sulle cause biologiche del diabete di tipo 2 prima che questo compaia.
La molecola chiave è in questo caso il dinitrofenolo (DNP), capace di inibire parzialmente la capacità del mitocondrio di produrre energia. Nello specifico l'azione del DNP sulle cellule epatiche (e a cascata la riduzione dei trigliceridi) appare in grado di ridurre la casistica di "fegato grasso" e delle sindromi metaboliche correlate, tra le quali i diabete che come è noto è strettamente correlato a glicemia e dislipidemia.
 Come spesso avviene, gli effetti positivi del DNP erano noti da molti anni (90 anni!) ma erano stati messi in soffitta a causa dei seri problemi collaterali associati al trattamento. Ora grazie alle aumentate conoscenze nel campo si è pensato di riproporre la molecola avendo l'accortezza di farla arrivare solo dove serve (le cellule epatiche), eliminando così la tossicità generale che nasceva dalla aspecificità.

Fonte
Reversal of Hypertriglyceridemia, Fatty Liver Disease, and Insulin Resistance by a Liver-Targeted Mitochondrial Uncoupler
Rachel J Perry et al, Cell Metabolism (2013) 18(5)p740

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Rimaniamo in ambito preventivo sebbene con un focus più di tipo diagnostico.
I ricercatori svedesi della università di Lund hanno identificato un candidato intorno al quale costruire un test predittivo per il diabete. Lo studio è centrato sulla quantificazione dei livelli ematici della proteina SFRP4 nei soggetti normali, una volta all'anno per alcuni anni. Il 37 per cento di coloro che avevano livelli superiori alla media hanno sviluppato il diabete già durante il periodo dello studio. Al contrario solo il 9 per cento dei soggetti con bassi livelli di SFRP4 sviluppavano il diabete. Il marcatore sembra essere inoltre indipendente da altri fattori di rischio noti per il diabete di tipo 2 come obesità ed età.
Difficile dire oggi se tale associazione sia causale o solo un epifenomeno. Di certo SFRP4 non è una proteina aliena dai meccanismi che, alterati, possono condurre al diabete; è infatti coinvolta nel processo infiammatorio, centrale nella eziogenesi del diabete.
La teoria attuale è che uno stato infiammatorio cronico, anche asintomatico, mini la capacità delle cellule beta del pancreas di secernere insulina; processo che alla lunga porta al diabete.

Fonte
- Protein reveals diabetes risk many years in advance, 
 Lund University news 
- Secreted Frizzled-Related Protein 4 Reduces Insulin Secretion and is Overexpressed in Type 2 Diabetes
T. Mahdi et al Cell Metab. 2012 Nov 7;16(5):625-33

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Nuove prospettive per il diabete adulto vengono dalla scoperta di un ormone, la betatropina, in grado di stimolare la produzione di insulina nelle cellule beta del pancreas.
Nota. Se il diabete di tipo 1 è la conseguenza della morte delle cellule beta del Langerhans (produttrici di insulina) a causa di un anomalo attacco autoimmune, il diabete di tipo 2 è caratterizzato dalla resistenza periferica all'insulina che induce un sovraccarico produttivo sulle cellule pancreatiche culminante in un loro "spegnimento".
Nell'articolo pubblicato sula rivista Cell da un team di Harvard si evidenzia che il trattamento con betatropina può aumentare di 17 volte i livelli di insulina prodotta, aprendo così la strada a terapie più efficienti. Da un punto di vista ipotetico si potrebbe passare dalla iniezione giornaliera di insulina a quella settimanale di betatropina.
Nota. Un approccio simile, e molto promettente, è stato descritto anche da altri ricercatori (QUI)
Parliamo ovviamente di dati sperimentali ottenuti su animali che necessiteranno di una lunga fase di valutazione in essere umano (prima di tutto per la sicurezza del trattamento e poi per l'efficacia).


(articolo successivo sul diabete --> QUI)

Fonte
Betatrophin: A Hormone that Controls Pancreatic β Cell Proliferation
Peng Yi et al, Cell (2013) 153 (4) p747

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