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Dal DNA di un bambino siberiano del paleolitico indizi sui primi coloni americani

Lo studio del DNA di un bambino siberiano di 24 mila anni fa è la chiave per identificare le popolazioni che colonizzarono le Americhe

Chi siano stati i primi umani a colonizzare le Americhe è ancora oggi oggetto di discussione. Non mi riferisco ovviamente all'annosa questione su chi tra Colombo, i vichinghi o ... i fenici abbia scoperto le americhe (stucchevole in quanto la scoperta implica la comunicazione ad altri della scoperta). Mi riferisco agli antenati dei cosiddetti nativi americani e in particolare a quale popolazione appartenessero oltre la generica definizione di "popolazioni asiatiche".
Schema riassuntivo degli eventi legati alla migrazione umana nelle americhe (credit: wikimedia/Lhoover724). Vedi anche

Il calo delle temperature culminato con le ere glaciali non è un fenomeno recente dato che è iniziato con la fine del periodo Cretaceo.


(wikimedia in Settlement of Americas)
Una domanda alla quale si può oggi cercare di dare una risposta più dettagliata grazie alle attuali conoscenze nel campo della genomica e nelle sue applicazioni in ambito di population genomics. Se fino a poco tempo erano le similitudini morfologiche e scheletriche a giocare un ruolo chiave nel definire i gradi di parentela tra nativi americani e popolazioni orientali, oggi è sempre più chiaro che questa associazione fornisce un quadro quantomeno riduttivo che non tiene conto né della molteplicità dei flussi umani attraverso l'allora percorribile (sia perché ghiacciato che per il fatto di essere allora parte della terraferma) stretto di Bering né degli incroci avvenuti mano a mano che i nuovi arrivati si spostavano verso sud incontrando coloro che erano arrivati prima. Flussi terminati al termine dell'era glaciale e al successivo innalzamento delle acque (pari a circa 120 metri) che impedì fino all'arrivo degli spagnoli ogni altra "contaminazione" genetica.
Se passare da un continente all'altro non fu particolarmente difficile nel periodo compreso tra 38 e 15 mila anni fa, uno degli ostacoli più significativi incontrati dagli inconsapevoli "neoamerindi" consisteva nello spostarsi verso sud: l'estesa area ghiacciata che ricopriva il Canada insieme agli imponenti massicci montuosi limitarono il transito solo in alcuni periodi e con poca scelta sui percorsi possibili. Due sono le rotte oggi considerate come le direttive di spostamento seguite, a seconda delle condizioni climatiche: il corridoio di Mackenzie (anche noto come corridoio interglaciale Yukon-Alberta) e la rotta costiera che dall'Alaska permette di arrivare a nord dell'attuale stato di Washington. Entrambe percorribili solo in alcune epoche e non "contemporaneamente".  Bisogna allora distinguere tra le prime tracce umane in Alaska (20-30 mila anni fa) e la definitiva chiusura del passaggio attraverso lo stretto con la fine dell'era glaciale (circa 13 mila anni fa).

Altro elemento chiave da tenere sempre presente è nella velleità nel parlare genericamente di similutidini tra amerindi e popolazione orientale, in un periodo in cui le popolazioni erano in piena fase espansiva dall'occidente e dal sud dell'Asia.
A tal proposito consiglio la lettura di un precedente articolo su Homo denisova e sugli incroci con i sapiens durante l'espansione verso oriente, evento avvenuto non tanti secoli prima (--> QUI).
Data la complessità del fenomeno sono chiaramente sempre benvenuti articoli su analisi genomiche condotte su reperti umani trovati "in aree spaziali e temporali" compatibili con popolazioni candidate ad avere generato le migrazioni verso le americhe. La analisi pubblicata sulla rivista Nature da un team del Natural History Museum danese rientra tra questi articoli; un lavoro centrato sulla sequenza completa del DNA ottenuto da resti ossei di un  bambino siberiano di quattro anni morto 24 mila anni fa.
Il reperto (MA-1) venne scoperto nel 1920 da archeologi russi vicino al villaggio di Mal'ta, lungo il fiume Belaya nella Siberia centro-meridionale. Oggi, grazie al progresso delle tecnologie della genomica è stato possibile ricavare da quel campione museale una quantità di DNA sufficiente per una analisi approfondita.
Si tratta, è bene ricordarlo, del più antico genoma di un essere umano moderno mai studiato.
Reperto importante in quanto sia da un punto di vista geografico che temporale è concorde con le popolazioni da cui si sono verosimilmente staccati  i gruppi che hanno attraverso lo stretto. Il confronto tra questo genoma e quello ricavato da analoghi reperti americani è fondamentale per illuminare un periodo lontano nel tempo.
Utilizzare il DNA delle popolazioni native, anche ammettendo di usare campioni da soggetti privi di ogni traccia genetica derivante da europei, è poco utile. Come accennato in apertura di articolo, non si è trattato di un singolo evento migratorio come invece avvenuto su molte isole del Pacifico, ma di una serie di passaggi e di successive migrazioni verso sud che hanno generato incroci che coprono tutto l'arco temporale precolombiano. Il confronto tra il reperto siberiano e reperti umani americani (preferibilmente trovati tra Canada e Alaska) è al contrario molto più utile in quanto non  "contaminato" da incroci.
La distribuzione degli aplogruppi nelle popolazioni umane (credit: wikimedia/Maulucioni)

Questi i punti chiave emersi dall'analisi:
  • Il genoma mitocondriale (trasmesso unicamente per via materna) appartiene all'aplogruppo U, presente con alta frequenza anche tra i cacciatori-raccoglitori che vivevano in Europa nel Paleolitico superiore e del Mesolitico.
  • Il cromosoma Y (trasmesso unicamente per via paterna tranne per la zona pseudoautosomica) ha diversi punti di contatto con le popolazioni eurasiatiche occidentali moderne e con quelli presenti in molte popolazioni dei nativi americani.
  • La componente autosomica del genoma mostra parimenti molte somiglianze con i moderni eurasiatici occidentali e con i nativi americani ma - molto importante - scarsa somiglianza con le popolazioni dell'estremo oriente. 
  • Il soggetto MA-1 presenta omologie con un reperto umano (Kostenki 14) trovato nella Russia europea e risalente a 37 mila anni fa (Paleolitico superiore). Come atteso in base a quanto noto (vedi articolo su Homo Denisova) le tracce di Neanderthal nel reperto russo sono evidenti, ad indicare l'appartenenza ad una popolazione diffusa tra Europa ed Asia centrale.
L'insieme di questi dati suggerisce che le popolazioni eurasiatiche si erano spinte già 24 mila anni fa più a nord-est di quanto finora previsto. Incrociando i dati attuali con quelli di reperti americani e con quelli ricavati da popolazioni "pure" di nativi, è possibile stimare che il 14-38% dei nativi americani discenda da questo antico popolo eurasiatico. E' altrettanto ovvio che nella migrazione (lunga molti secoli) verso nord-est del gruppo che avrebbe poi varcato lo stretto di Bering, si sono avuti molteplici incroci con gli antenati delle attuali popolazioni dell'estremo oriente, prima però che avvenisse la diversificazione nelle diverse popolazioni del Nuovo Mondo. Questo spiega la coesistenza di tratti somatici (e scheletrici) asiatici degli amerindi insieme a marcatori genetici che richiamano invece popolazioni eurasiatiche.

Nuovi dati emergono dall'analisi di un nuovo campione siberiano "più recente" (Afontova Gora-2) risalente a 17 mila anni fa. Sebbene troppo recente per essere di interesse per lo studio dei proto-amerindi, questo campione è interessante in quanto ha una "firma genetica" molto simile a quella di MA-1, ad indicare che la regione è stata abitata in modo continuativo (prima e dopo) dalle popolazioni da cui sono partite le migrazioni. Una popolazione poi diluita con il continuo contatto con le popolazioni meridionali "propriamente" asiatiche.

In conclusione possiamo dire che i dati ad oggi disponibili mettono una pietra tombale alla precedente ipotesi che spiegava la presenza negli amerindi di tracce genetiche assimilabili a quelle eurasiatiche come il risultato di una contaminazione post-colombiana

Come avrebbe potuto apparire l'Uomo di Kennewick
(Brittney Tatchell, Smithsonian Institution via abcnews.go)
La conclusione ad oggi più corretta è che i nativi americani sono il risultato della unione di due popolazioni - uno  dell'Asia orientale e l'altro da popolazioni eurasiatiche occidentali - anche se rimane da capire dove questa unione si sia verificata. Potrebbe essere accaduto da qualche parte in Siberia oppure nel Nuovo Mondo.

La risposta potrà venire solo dall'analisi di reperti umani nordamericani (come l'Uomo di Kennewick vecchio di 9 mila anni): se  i reperti mostrassero la presenza di marcatori orientali e eurasiatici allora l'incrocio sarebbe anteriore all'attraversamento dello stretto.



(Articoli precedenti sul tema "H. sapiens moderno e incroci" -->  neanderthal e denisova

Fonte
- Upper Palaeolithic Siberian genome reveals dual ancestry of Native Americans
  Maanasa Raghavan et al, (2014) Nature,  505, pp. 87–91

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