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Resistenza agli antibiotici nelle acque reflue. Numeri da incubo

La diffusione di ceppi batterici resistenti agli antibiotici è una seria minaccia che rischia di cancellare i progressi sanitari degli ultimi 80 anni. Le cause sono varie e comprendono sia il loro incontrollato utilizzo in ambito sanitario (e nella automedicazione) che l'uso estensivo (ma obbligato dato il pericolo di contagio legato all'affollamento) negli allevamenti animali.

Per utilizzare al meglio un antibiotico esistono due regole fondamentali: usarlo solo quando veramente serve; non deviare da dosi e durata del trattamento suggeriti.
Il costo che la Natura ci presenta qualora queste regole vengano disattese è la comparsa di ceppi batterici resistenti agli antibiotici.

Maggiore è la frequenza di batteri resistenti agli antibiotici e minore è l'armamentario difensivo a cui possiamo attingere in caso di infezione grave o quando sia necessario proteggere a priori soggetti a rischio (ad esempio immunodepressi).

La diffusione della resistenza può essere monitorata su diversi livelli: per via clinica (empiricamente osservando la non risposta alle terapie antibiotiche standard);  mediante campionamenti in aree sensibili (filtri messi nei condotti di aerazione degli ospedali).
A questi monitoraggi si è aggiunto recentemente un approccio già usato anni fa dall'istituto Mario Negri per monitorare la diffusione del consumo di stupefacenti: il campionamento delle acque di fiume. Mentre lo studio del Mario Negri si era focalizzato sulle acque del Po, nel nuovo studio condotto in Cina si è pensato di andare ad analizzare direttamente le acque reflue negli impianti di trattamento. Una decisione abbastanza ovvia dato che la presenza di batteri resistenti in queste acque riflette direttamente la composizione dell'ambiente in cui viviamo.
Che poi l'analisi sia stata condotta in Cina è tanto più importante in quanto si tratta di zone densamente popolate, ad alto consumo di antibiotici (spesso senza controllo adeguato) e con misure di controllo ambientale scarse.

Lo studio è consistito nella raccolta e analisi di un migliaio di campioni prelevati nelle diverse fasi del trattamento delle acque in due impianti di depurazione nella provincia del Guangdong, Cina meridionale.
Pur limitandosi all'analisi dei ceppi di Escherichia coli (un batterio comune nel nostro intestino), il risultato è stato impressionante: più del 98% degli isolati erano resistenti ad almeno 1 dei 12 antibiotici testati e oltre il 90% erano resistenti ad almeno tre antibiotici.
La resistenza può comparire per mutazione o per acquisizione del "pacchetto genico" per la resistenza direttamente da un batterio che ne è già provvisto, anche se di specie diversa. Esistono diverse modalità con cui avviene il trasferimento del DNA episomale; una di queste è la coniugazione.
Nota. Il DNA episomale (anche noto come plasmide) è DNA extracromosomico, su cui vengono depositati geni non necessari per la "normale" vita del batterio. Questo DNA può in questo modo diluirsi (o diffondersi) rapidamente nella popolazione in assenza (presenza) di pressione selettiva; si tratta pur sempre di materiale in più che il batterio deve portarsi dietro e di cui quando può ne fa volentieri a meno.
Tra i geni coinvolti nella resistenza agli antibiotici, quelli agenti su chinoloni e ampicillina - ampiamente usati in clinica e ricerca - sono stati trovati in ~43% degli isolati.

E.coli (©wikipedia)
Queste percentuali si riferiscono ovviamente alle acque non trattate.
Le procedure di sanitizzazione mediante clorinazione e ultravioletti è in grado di abbattere drasticamente la carica batterica a livelli accettabili. Uno studio analogo condotto negli USA (non ho a disposizione dati italiani) confermato l'efficacia delle azioni di sanitizzazione nell'abbattere del 94 % la carica batterica.
Chiaro che abbattere la carica batterica non altera la percentuale di batteri resistenti. Se il 90% dei batteri presenti nelle acque non trattate era resistente ad uno o più antibiotici, tale rapporto rimane invariato anche se la popolazione batterica complessiva è stata abbattuta del 94%. Da qui l'inefficacia di misure di contenimento della resistenza in assenza di trattamenti "radicali". E' fondamentale quindi che la sanitizzazione avvenga in modo esteso sia nelle aree immediatamente a valle degli impianti ospedalieri che degli allevamenti, zone dove la presenza di ceppi resistenti è particolarmente significativa.
Questo è l'unico modo per evitare che queste aree diventino delle vere e proprie bombe a orologeria biologica.

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(giugno 2015)
Un articolo pubblicato a maggio 2015 rende ben evidente il problema della diffusione incontrollata (per uso umano o veterinario) degli antibiotici in Cina.
Hexing Wang e colleghi hanno misurato la concentrazione di 18 antibiotici comuni nelle urine di 1064 scolari provenienti da tre aree economicamente e geograficamente distinte della Cina orientale. Il 58,3% dei campioni analizzati conteneva almeno un antibiotico e oltre il 20% dei campioni più di uno.
Fonte: Antibiotic body burden of chinese school children: a multisite biomonitoring-based study - Environ. Sci. Technol. 10.1021/es5059428 (2015)


(Sul tema antibiotici,  tag "antibiotici" nel box qui a destra)
Prossimo articolo sugli antibiotici --> "multiresistenza in India"

Fonti
- Antibiotic resistance, plasmid-mediated quinolone resistance (PMQR) genes and ampC gene in two typical municipal wastewater treatment plants,  
Hao-Chang Su et al. Environ. Sci.(2014) Processes Impacts, 16 pp324-332

-Wastewater treatment plants release large amounts of extended-spectrum β-lactamase-producing Escherichia coli into the environment
Caroline Bréchet et al. Clinical Infectious Diseases (2014), 58(12)1658-1665

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