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Rimuovere la CO2 in eccesso dall'atmosfera. Studio pilota

Il tema dell'importanza del monitoraggio della CO2 atmosferica è, faticosamente bisogna dire, riuscito ad emergere dall'alveo specialistico delle discussioni accademiche per entrare di prepotenza nei media. Molto spesso a sproposito dato che si parla del cambiamento climatico in atto ad ogni pioggia; un atteggiamento che il più delle volte ha il secondo fine di coprire le malefatte umane legate alla gestione criminale del territorio. Giusto per fare un esempio l'alluvione di Firenze del '66 fu un evento naturale tipico delle citta' nate a cavallo dei fiumi; il disastro di Genova di qualche anno fa non fu la conseguenza del clima impazzito ma dell'incuria nella gestione delle vie di scarico delle pioggie a monte. La recente tragedia sarda potrà essere attribuita al clima se e solo se si scoprirà che il mar ligure è diventato improvvisamente sede della prima tempesta tropicale mediterranea.
Quindi l'importante è sempre distinguere le cause "vere" in un problema ... se il fine è quello di affrontarlo adeguatamente. Questa premessa è doverosa in quanto il problema dell'innalzamento dei livelli di CO2 è troppo importante prospettivamente, per i motivi che vedremo in seguito, per usarlo allo scopo di coprire altre cause "evidenti".
Negli ultimi la battaglia tra "allarmisti" e "negazionisti" è stata accesa e come spesso avviene questo non aiuta alla comprensione del fenomeno. O meglio a distinguere tra i normali cicli naturali planetari e il nostro "aiuto" ad alterare l'equilibrio naturale.
Dicevo che lo scontro tra le due scuole di pensiero è stato aspro al punto che una parte negava l'esistenza stessa del problema e le ripercussioni sul clima (attribuite a cicli naturali) mentre l'altra evocava scenari da fine del mondo imminente. Probabile che come spesso avviene la ragione stia nel mezzo e che quello a cui noi assistiamo sia un mix tra un ciclo naturale (pensate alla maggiore frescura del nord Africa che in epoca romana era una grande distesa di grano oppure al clima mite del tardo medioevo durato 500 anni - vedi Periodo Caldo Medievale) e l'impatto che l'utilizzo  di combustibili fossili su larga scala a partire dall'800 ha indotto. Un trend ininterrotto e anzi in fase di crescita in quanto alla consapevolezza di parte del mondo occidentale si contrappone la pericolosa escalation nell'immissione di CO2 da parte di India e Cina (con livelli mai registrati in Europa).
Un dato non irrilevante se si considera la fondamentale importanza termoregolatrice che l'intrappolamento dell'anidride carbonica nelle rocce e nelle acque ha avuto nelle storia del pianeta (rimando al libro "Il Mondo d'acqua" di Frank Schatzing di per chi volesse avere una panoramica generale ma precisa e rivolta anche ai non addetti ai lavori).

Se bloccare l'emissione della CO2 tornando a livelli preindustriali è improbabile al netto delle visioni alla Rousseau, almeno finchè le energie alternative non saranno diventate veramente convenienti, rimuovere l'eccesso liberato è invece una strategia più interessante. In altre parole copiare la natura intrappolando l'anidride carbonica nelle profondità della Terra, da cui era originata.
Credit: PNNL; Nature

Uno di questi approcci (a sinistra) è quello portato avanti nel nord-ovest degli USA, dove i geologi hanno pompato 1000 tonnellate di CO2 nella roccia porosa sottostante; porosità originata dalla liberazione della CO2 durante il raffreddamento del magma. Restituire quanto liberato milioni di anni fa, questo riassume il concetto base del progetto.
Domanda ovvia. Come assicurarsi che il gas rimanga in sede e non ritorni in superficie attraverso il pozzo? Tappandolo con roccia "dura" in attesa che si sciolga nelle rocce e acque adiacenti rimanendo intrappolato su tempi geologici. Intrappolamento che ricordo ancora una volta è quello che è avvenuto "naturalmente" in passato.
Un progetto simile è portato avanti in Islanda dalla collaborazione tra ricercatori europei e americani.
In entrambi i casi i dati sono più che incoraggianti, visto che il processo di mineralizzazione (quindi di intrappolamento) è più veloce del previsto.
Una volta scelta la roccia ideale (basalto, arenaria, etc) e verificata la fattibilità del progetto la sfida cruciale sarà non solo catturare la CO2 direttamente alla fonte, cioè negli impianti industriali, ma soprattutto trasferirla ai siti di immagazzinamento in modo che sia sostenibile economicamente.
I prossimi anni, sempre che l'inquinamento sino-indiano non provochi cataclismi irreversibili, ci diranno se è quanto questo progetto sia implementabile su larga scala.

Un progetto simile è portato avanti dalla ENEA nel Sulcis: immagazzinare la CO2 a 800 metri di profondità, sfruttando le vecchie miniere di carbone. In pratica si tratterebbe di riportare il carbonio nelle profondità in cui era rimasto intrappolato sotto forma di carbone. Rimango in attesa degli sviluppi anche se, l'esperienza italiana insegna, il rischio che sia una impresa volta a drenare soldi pubblici più che a un progetto "vero" resta. Spero veramente tanto di essere smentito dai fatti.

Fonte
- Pilot projects bury carbon dioxide in basalt
Nature 500, 18 (2013)

- Sulcis: un caso, una opportunità
sito dell'ENEA

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