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Le dimensioni contano? Un dilemma "evolutivo" per il maschio

A partire dall'adolescenza un dubbio attanaglia il maschio medio: le dimensioni contano?
Inutile scuotere la testa! E' un fatto che ogni volta che un quotidiano o una rivista ospita articoli su tale argomento, la percentuale di lettori si impenna. Sebbene nessuno ammetterà mai di averli letti, il fatto stesso che vengano riproposti ad ogni stagione, magari con un adeguato richiamo in copertina, è la migliore evidenza della popolarità di tale argomento. 
Del resto le rappresentazioni "fuori scala" presenti sia nelle pitture rupestri che nei reperti archeologici sono li a ricordarci che questa domanda non è una prerogativa della società moderna volta a premiare le apparenze.
Ora, date le tematiche affrontate in questo blog, mai avrei mai pensato di trattare questo argomento se non ne avessi trovato traccia su una seria rivista scientifica come Proceedings of the National Academy of Sciences of America (PNAS) con un articolo dall'eloquente titolo
"Penis size interacts with body shape and height to influence male attractiveness".
Un argomento non nuovo come dicevo, di cui molti anni fa avevo già letto alcune ipotesi in un libro dell'etologo Desmond Morris. Partiamo dalla premessa di base: l'organo genitale maschile è sproporzionato rispetto alle dimensioni dell'essere umano. Il dato emerge dall'analisi comparativa tra i maschi nelle diverse specie di mammiferi.
Questo dato di fatto innesca la domanda su quale sia la pressione selettiva responsabile di questa "specificità". Pressione selettiva in questo caso vuol dire vantaggio riproduttivo. Vantaggio riproduttivo vuol dire chiedersi se la dimensione sia un elemento importante nella scelta del partner maschile da parte della femmina.
L'argomento non deve però essere affrontato usando come riferimento la società attuale ma, perchè abbia senso, deve trovare dei supporti teorici nei nostri antenati ominidi i quali vagavano tranquillamente ignudi, esponendo quindi la propria dotazione (che ricordiamo non è retraibile come avviene in altri animali) proprio come nel mondo animale avviene con colori, forma, piumaggio, etc.
Se fosse provata, tale "preferenza" avrebbe senso la sua presenza, magari a livello subliminale, ancora oggi. 

Dai miei articoli oramai dovrebbe essere chiaro che la mia visione dell'essere umano è in tutto e per tutto "biologica". Le nostre sensazioni, preferenze e comportamenti innanti sono fortemente condizionate dalla neurobiologia (vedi la serie di articoli "La biochimica dell'amore"). Essendo noi animali sensizienti possiamo studiare il nostro comportamento, comprenderlo e, dove necessario, "controllarlo" (le leggi nascono appunto con questo scopo "educativo"). Ogni nostra preferenza (cibo, partner, etc) risponde a precisi input innati e la letteratura scientifica è ricca di testi, anche divulgativi, in grado di spiegare l'attrazione per fianchi, seni e quant'altro. Ovviamente il consiglio è sempre quello di consultare la nota biografica degli autori privilegiando tra questi quelli di comprovata professionalità.

Torniamo al punto di partenza, le dimensioni fuori norma rispetto agli altri mammiferi, e la domanda conseguente: sono il risultato di una segregazione casuale nei nostri antenati oppure c'è stata una pressione esercitata da chi, per forza di cose, ha in ultima istanza il potere riproduttivo, cioè la femmina? Se esiste una pressione selettiva, allora ci deve essere una ragione biologica che la spiega.

La monogamia, praticamente assente negli altri mammiferi, è un tratto caratteristico dell'essere umano. Una condizione legata al considerevole investimento di tempo necessario per allevare la prole. Esiste un qualche rapporto tra monogamia (quindi forte attenzione nella scelta del partner) e dimensioni? Non è una ipotesi campata per aria, visto che è stata piu' volte presa in considerazione per spiegare altre pecularità del maschio umano, come l'assenza delle spine del pene. L'ipotesi più accreditata, anche se non definitiva, è che la monogamia rese non più necessaria la competizione tra il seme dei diversi maschi per fertilizzare la stessa femmina (articolo sull'argomento sul National Geographic). Non è fuori luogo quindi ipotizzare che la femmina abbia in qualche modo selezionato il maschio attuale anche per le dimensioni dei genitali.

Queste sono alcune delle considerazioni che chiariscono l'interesse per lo studio pubblicato su PNAS. Nell'articolo si evidenzia che la attrattività maschile è la risultante sinergica della dimensione dei genitali e dell'altezza del maschio. Vale a dire che ciascuno di questi caratteri presi separatamente ha un peso minore della loro somma: le dimensioni contano di più se si è alti. Un correlazione positiva che però si interrompe al di sopra di una certa dimensione dei genitali.
Non basta. Oltre all'altezza un altro elemento importante nella sinergia dimensionale è la forma del corpo, definita dal rapporto spalle-fianchi.
Nota. Lo studio si è avvalso di elaborazioni tridimensionali al computer raffiguranti corpi maschili che variavano per una serie di parametri fisici. Delle 343 figure maschili possibili, risultanti dalla combinazione dei tratti fisici, ne vennero mostrate delle serie di 53 figure a caso a 105 donne per circa 4 secondi. Un tempo sufficiente per una risposta istintiva. Le elaborazioni pur se casuali erano state predisposte per mantenere una correlazione positiva tra altezza e lunghezza del pene. L'età media delle esaminatrici (europea ed asiatica con percentuali di 70% e 20% rispettivamente) è di 26 anni
Tre esempi (il medio e due estremi) delle elaborazioni mostrate (Credit: Brian Mautz / PNAS) 

La conclusione dello studio è chiara: la preferenza istintiva delle femmine va verso la combinazione dimensione/altezza. Tale scelta è responsabile allora di una pressione selettiva esercitata sui maschi della specie, tipicamente umano (assente nei primati). Un dato tanto più importante se si tiene a mente il vecchio adagio "mater semper certa pater numquam", un concetto sostenuto da alcuni dati non ufficiali (che derivano dalla mia personale esperienza di laboratorio) che vede intorno 20% la frequenza di figli da padri "non ufficiali". La femmina ha come scrivevo sopra l'ultima parola su quale sia, anche se a livello inconscio, il maschio (quindi il donatore di materiale genetico) migliore.

 Relazione tra attrattività (normalizzata per forma del corpo e altezza) e dimensioni del pene flaccido (Credit: Brian Mautz / PNAS). Si noti la relazione lineare positiva fino a una certa dimensione e il successivo decremento marginale al di sopra di un dato valore (regressione quadratica). Il valore medio usato qui come riferimento (9 cm) è quello pubblicato in uno studio del 2001 su un campione di giovani italiani (Ponchietti et al).
Lo studio lascia ovviamente una serie di punti irrisolti come l'estrema eterogeneità dimensionale dei genitali nella popolazione, anche una volta che il campione esaminato sia stato normalizzato per "identità" di popolazione. Che tale varianza intrinseca sia dovuta a normali variazioni nella componente ormonale (o ambientale) oppure al fatto che la pressione selettiva non è stata così forte da rimuovere gli le "code" della distribuzione, non è chiaro.
Ugualmente non chiara è la spiegazione biologica di questa preferenza. Ricordiamoci che dobbiamo cercarla non con gli occhi "moderni" di ricerca del piacere ma con la prospettiva dei primati e prima ancora di mammiferi.
Forse la spiegazione è semplice, e senza spiegazioni funzionali, come il piumaggio dei pavoni; un parametro indiretto della prestanza fisica e a ruota della idoneità genetica.
Un quesito indubbiamente difficile da risolvere con certezza.


Fonti
- Penis size interacts with body shape and height to influence male attractiveness
Brian S. Mautz PNAS April 8, 2013
- Bigger not always better for penis size
 Nature, 2013

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