I bevitori di tè sono soggetti a rischio per il tumore della prostata. Oppure no?
La frase di apertura è in effetti il messaggio che emerge da uno studio epidemiologico da poco pubblicato su Nutrition and Cancer Journal. Un messaggio facilmente travisabile da un lettore inesperto e che potrebbe ingenerare dubbi, al momento, non giustificati. L'articolo contiene infatti dei punti interessanti ma altri non sufficientemente dettagliati e da approfondire prima di lanciare un allarme generale. Troppo spesso assistiamo all'effetto megafono esercitato dai media generalisti che sulla base di un riassunto delle conclusioni di lavori appena pubblicati generano un allarmismo ingiustificato. E' un peccato perche' in questo modo si corre il rischio di delegittimare presso il grande pubblico notizie interessanti che dovrebbero essere meglio spiegate.
Torniamo quindi all'articolo il cui titolo e' traducibile in "Consumo di te e rischio tumorale in uno studio di coorte su uomini scozzesi".
Precisazione. Uno studio di coorte prospettico e' uno studio che valuta nel tempo il verificarsi di determinati eventi (morte, malattie, etc) su individui con abitudini di vita diverse (e quindi diversa esposizione a particolari sostanze). Una coorte è un gruppo di persone che mostrano una caratteristica comune o esposizione.
Nel lavoro i ricercatori del Institute of Health
& Wellbeing presso l'Universita di Glasgow, hanno seguito per 37 anni 6 mila maschi scozzesi. L'analisi dei dati indica che quelli che bevevano in media almeno 7 tazze di tè al giorno avevano un rischio piu' alto (non rischio assoluto ma relativo) del 50% rispetto ai bevitori moderati (da 0 a 4 tazze di tè al giorno) di sviluppare il tumore della prostata.
Lo studio (Midspan Collaborative study) è iniziato nel 1970 raccogliendo i dati di migliaia di maschi volontari di età compresa fra i 21 e i 75 anni. A questi venne chiesto di compilare un questionario riguardo le loro abitudini generali (tè, caffè', fumo, salute generale) prima di essere sottoposti ad una visita generale.
Circa il 20 % dei soggetti vennero classificati come forti bevitori di tè. Di questi il 6,4% ha sviluppato nel corso dei 37 anni successivi un tumore alla prostata. Confrontando l'incidenza relativa del tumore nei vari gruppi, il rischio relativo nei bevitori di tè era maggiore.
Tuttavia questo dato, come ammettono gli autori, si presta a diverse valutazioni. L'epidemiologia insegna che i dati statistici devono essere interpretati ed è molto facile commettere errori grossolani per non avere saputo leggere fra le righe.
Quale è il dato che sembra emergere da questo studio? Bere tanto tè fa male. In realta' questo dato presenta dei fattori di disturbo (detti in gergo fattori di confondimento) importanti.
Ad esempio bere tè in modo continuo si associa generalmente ad uno stile di vita piu' sano. Uno scozzese teivoro è meno probabile che sia anche un forte consumatore di alcol. Questi soggetti sono quindi a minor rischio di essere sovrappeso, condizione che a sua volta esclude gran parte dei problemi metabolici e comportamentali associati all'alcol.
Quindi, se bere tè aumenta le aspettative di vita è ovvio che i soggetti piu' longevi avranno al loro interno un numero di casi con tumore alla prostata rilevante. Ricordo che nei soggetti di eta' tra 60-75 anni la frequenza di tumore alla prostata e' di 1 su 8. Quindi ci si aspetta un numero di casi di tumore alla prostata consistente per il semplice motivo che i soggetti sono oramai maschi di una certa età.
I ricercatori, che non sono dei bischeri, hanno tenuto in debita considerazione questi dati correggendo statisticamente i risultati per questi fattori di confondimento. Nonostante queste correzioni permaneva tuttavia un aumentato rischio relativo di tumore alla prostata nei bevitori di te.
Possiamo allora dire che il dato è sufficientemente forte da fare scattare un segnale d'allarme?
A mio parere no perchè il lavoro avrebbe necessitato di maggiore chiarezza in fase di progettazione. Ne riassumo alcuni di seguito.
Possiamo allora dire che il dato è sufficientemente forte da fare scattare un segnale d'allarme?
A mio parere no perchè il lavoro avrebbe necessitato di maggiore chiarezza in fase di progettazione. Ne riassumo alcuni di seguito.
- Prima di tutto il te consumato è il comune tè nero e NON il rinomato il tè verde, le cui proprietà benefiche sono note (vedi in questo blog o nel sito del NIH). Una considerazione molto importante visto che la gran parte degli studi disponibili associa al solo tè verde (oltre alle varianti rosso e bianco) la benefica azione antiossidante.
- Altro problema dello studio e' il fatto che ai partecipanti non e' stato chiesto di indicare le modalità di assunzione del tè (zucchero, latte, etc). Un problema questo non trascurabile in quanto è ben noto che l'aggiunta del latte al tè verde di fatto ne cancella le proprietà positive equiparandolo ad una bevanda qualunque.
La nutrizionista Carrie Ruxton ha per questo motivo contestato l'utilità scientifica dello studio visto che non mostra alcuna relazione causa-effetto tra il bere tè e rischio di cancro. I fattori coinvolti sono molto piu' complessi e spesso legati alla dieta e allo stress.
(Articolo successivo su "caffè e prostata")
Articolo di riferimento
“Tea Consumption and the risk of overall and grade specific prostate cancer: A large prospective cohort study of Scottish Men”
Nutrition and Cancer Volume 64, Issue 6, 2012
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