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Dalla "Pompei" dei trilobiti immagini dettagliate di fossili vecchi 500 milioni di anni

Tra i fossili non “dinosaureschi” più iconici, impossibile non citare i trilobili, alias artropodi marini vissuti nel Paleozoico ed estintisi una decina di milioni di anni prima che i dinosauri (nel Triassico) iniziassero la loro conquista del mondo. 
Nello specifico i trilobiti prosperano in un arco di tempo tra il Cambriano inferiore (530 milioni anni fa) fino al tardo Permiano (250 M anni fa), passando quasi indenni attraverso due estinzioni di massa (Ordoviciano-Siluriano e tardo-Devoniano) per sparire durante la transizione Permiano-Triassico.
Walliserops trifurcatus, una delle tante specie di trilobiti fossili trovati in Marocco
(Jebel Oufatene / Kevin Walsh )
Il nome trilobita indica la ripartizione del corpo “a tre lobi”, uno dei tratti comuni di artropodi peraltro con buon grado di diversificazione, verosimilmente conseguenza dell'occupazione di specifiche nicchie ecologiche. La ragione della loro abbondanza tra i reperti fossili dell’epoca è conseguenza certo della loro ampia diffusione (seppur sempre acquatica) ma soprattutto del loro esoscheletro mineralizzato costituito da materiale chitinoso, un ottimo viatico nel processo di fossilizzazione.

Un recente studio pubblicato sulla rivista Science descrive in modo estremamente dettagliato la struttura di questi antichi organismi grazie all’analisi di alcuni resti sepolti dalla cenere di un'eruzione vulcanica datata circa 515 M anni fa nella regione che oggi corrisponde al Marocco, all’epoca parte del Gondwana, nota per essere ricca di fossili di Trilobiti.

I paleobiologi descrivono l’eccezionale stato di conservazione di questi fossili (che a tutti gli effetti paiono come la “Pompei dei trilobi” per i resti pietrificati dalla cenere) proprio a causa della cenere vulcanica, fine come talco, riuscita a penetrare fino alla parti anatomiche più microscopiche. Perfino il tratto digestivo di alcuni di questi fossili è pieno di questi sedimenti, ingeriti prima della morte. Con il tempo la cenere si è indurita generando calchi 3D giunti intatti fino ad oggi.
Varie le posizioni congelate dalla morte, alcuni raggomitolati a palla, altri in posizione normale e perfino uno ricorperto di bivalvi che usavano i trilobiti per farsi scarrozzare. 

I fossili sono stati analizzati mediante radiografie e versioni miniaturizzate della TAC così da ottenere immagini ad alta risoluzione anche di strutture minuscole e delicate come le antenne e le setole che ne ricoprivano le zampe.

Disponibile anche sul sito CNN


Fonte
Rapid volcanic ash entombment reveals the 3D anatomy of Cambrian trilobites
Abderrazak El Albani et al, (2024) Science, 384(6703) pp. 1429-1435

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Individuato il meccanismo che provoca emicrania dopo la fase con aura

L'emicrania colpisce poco più del 10% della popolazione italiana con un impatto sociale ed economico rilevante legato sia alla perdita di produttività che al costo dei farmaci per una condizione che è, nella maggioranza dei casi, cronica.
emicrania
(immagine creata con IA)
Le manifestazioni della malattia sono varie sia come gravità che come tipologia dei sintomi quali aura, emiplegia, cefalea, confusione mentale, etc.
Il fenomeno noto come aura** riguarda circa un quarto di tutti i pazienti affetti da emicrania, ovvero disturbi visivi o sensoriali di carattere temporaneo e che precedono l'attacco di emicrania di 5-60 minuti.
Come per altre malattie i maggior progressi nella comprensione dei meccanismi causali vengono dalle forme familiari della malattia. Rispetto alla popolazione generale, i parenti di primo grado di pazienti emicranici hanno un rischio 1,9 volte più elevato di presentare emicrania senza aura; il rischio è 1,4 volte più elevato nei familiari di pazienti affetti da emicrania con aura.  I geni responsabili della predisposizione sono stati individuati solo in una particolare forma di emicrania (emicrania emiplegica familiare, con prevalenza 1 ogni 10000), caratterizzata da sintomi prolungati che in alcuni casi si associano a perdita di conoscenza e convulsioni. 
Sebbene sappiamo con una certa certezza perché i pazienti soffrano di aura, è sempre stato un mistero il motivo per cui sia seguito da mal di testa, quasi sempre unilaterale (ricordo che il cervello è privo di recettori coinvolti nella via del dolore).

Uno studio recente ha fatto luce sulle ragioni alla base sia della unilateralità della sintomatologia che sulle modalità dell'innesco della cefalea, la fase dolorosa della emicrania. Il lavoro, pubblicato sulla prestigiosa rivista Science, ha dimostrato nei topi che le proteine ​​rilasciate dal cervello durante l'emicrania con aura vengono trasportate dal liquido cerebrospinale ai corpi delle cellule nervose sensoriali alla base del cranio, il cosiddetto ganglio trigemino, causando così mal di testa. La ragione è che alla radice del ganglio trigemino, la barriera che altrove impedisce alle sostanze di entrare nei nervi periferici è permeabile.
Il sistema nervoso periferico è costituito da tutte le fibre nervose responsabili della comunicazione tra il sistema nervoso centrale, il cervello e il midollo spinale (e il corpo). Il sistema nervoso sensoriale, che fa parte del sistema nervoso periferico, è responsabile della consegna al cervello di informazioni come tatto, prurito e dolore.
Le ragioni della unilateralità sono da ricercare nel cablaggio nervoso e nel fatto che le sostanze che vengono rilasciate non diffondono in modo uniforme nel cervello.

Il dato del trasporto delle proteine "dolorifiche" mediato dal liquido cerebrospinale, ottenuto nei topi, ha trovato conferme anche negli umani grazie alle analisi effettuate mediante risonanza magnetica sul ganglio trigemino.
L'analisi del cocktail di sostanze presenti nel liquido cerebrospinale durante la fase dell'aura di un attacco di emicrania ha mostrato una variazione nella concentrazione di circa il 10% delle 1425 proteine ​​identificate. Di queste, 12 sono le proteine capaci di agire come attivatori dei nervi sensoriali; tutte queste proteine aumentavano di concentrazione durante la fase di aura.
Tra le proteine identificate cito il CGRP, proteina già associata all'emicrania e per questo  scelta come bersaglio di terapie mirate, basate sull'utilizzo di anticorpi monoclonali.



** Il meccanismo principale da cui scaturisce l’aura emicranica è la propagazione della depressione corticale (CSD) riassumibile come una specie di onda di attività elettrica che si propaga attraverso la corteccia cerebrale. La CSD inizia con una fase di intensa eccitazione neuronale, seguita da una prolungata depressione dell’attività elettrica. Durante questa fase di depressione, i neuroni rimangono in uno stato di “quiete”, che può durare diversi minuti. 
L'aura comparirebbe durante la fase di prolungata depolarizzazione a cui segue, quando l'onda raggiunge le fibre del trigemino, la fase di cefalea.

Rappresentazione del fenomeno della depressione corticali
(image: Chawla et al, 2018).


Le cause precise che scatenano la CSD non sono ancora completamente comprese, ma si ipotizza che possano essere coinvolti fattori sia nervosi che vascolari. Alterazioni a livello sottocorticale, come variazioni nel tono vascolare influenzate da neurotrasmettitori come la serotonina, potrebbero giocare un ruolo cruciale (Andrew C. Charles et al)



Fonte
- Trigeminal ganglion neurons are directly activated by influx of CSF solutes in a migraine model

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Consigli di lettura sotto l'ombrellone
"Emicrania" di Oliver Sacks 





Nikolaj Ivanovič Vavilov. Quando il pensiero scientifico si scontra con l'ortodossia ideologica (o religiosa)

 La mela, la scienza e le ideologie
Quando si pensa agli ostacoli che il pensiero scientifico ha dovuto affrontare per "riuscir a riveder le stelle" (parafrasando Dante), il pensiero va subito all'inquisizione e a Galileo. Una visione semplicista (e miope) l'implicito identificare il cattolicesimo come il nemico principale della conoscenza scientifica.
Più prosaicamente sono LA religione (in particolare quelle monoteiste ... ma non solo, come alcuni pogrom induisti insegnano) e l'ideologia i principali avversari del pensiero scientifico, che per definizione non accetta verità altre a quelle "scritte nel Libro". O meglio la religione e l'ideologia diventano nemiche della scienza nel momento in cui escono dall'ambito personale o di confronto dialettico e pretendono di imporre il pensiero unico ritenendosi le uniche depositarie della verità.
Numeri alla mano, a cavallo del 1600 e nella sola Germania luterana le persone processate per stregoneria furono 73 mila, di cui almeno 40 mila condannate al rogo (numeri ben superiori a tutta l'inquisizione spagnola cattolica). Una persecuzione che non risparmiò nemmeno Keplero che dovette difendere la madre settantenne dalle accuse lanciate (si badi bene) non dallo "stato" ma dai concittadini, che peraltro ignoravano il senso dei suoi scritti e che non conoscevano di persona essendo emigrato da anni.
Mendel era un frate ed è grazie ai suoi studi che nasce la genetica. Darwin non era certo un ateo ma è grazie alla sua libertà di pensiero (e all'essere vissuto in un epoca sì bigotta ma in cui la religione aveva perso il potere "esecutivo" e il pensiero illuminista si stava fondendo con il positivismo) che il concetto stesso di evoluzione si afferma e sostituisce il Lamarckismo; teoria quest'ultima che noi posteri non dovremmo disprezzare dato che l'epigenetica è di fatto una sorta di neo-lamarckismo che non si contrappone alla genetica classica ma la completa. Se solo Darwin e Mendel (contemporanei) avessero conosciuto le rispettive opere chissà che sintesi ne sarebbe venuta fuori! Come loro, molti sono stati gli studiosi di scienza che erano parte integrante della chiesa: il canonico Copernico; Padre Angelo Secchi, uno dei padri dell’astrofisica; don Georges Lemaitre, padre del Big Bang, don Lazzaro Spallanzani (fondamentale per la biologia moderna);  ... . La differenza la fanno quindi le leggi che la società sa imporre per prevenire aneliti teocratici o totalitari. Dimentichiamo troppo spesso quanto le libertà europee oggi date per scontate siano state conquistate dopo secoli di contrapposizione società/stato/religione.
Se fosse solo un problema religioso potremmo anche farcene una ragione. Ma i nemici delle scienze biologiche si annidano anche in ideologie ammantate di puro materialismo, come il comunismo. Sarà che quando le ideologie diventano "assolutiste" (alias non esiste altra verità all'infuori di essa) diventa difficile distinguerle dalla religione se non per l'assenza di un pantheon divino, prontamente sostituito dal culto della personalità come ben dimostrano i casi dei "laicissimi" Mao e Stalin.

Un fenomeno poco noto quello della lotta scienza-ideologia, ben esemplificato però dalla fine di Nikolaj Ivanovič Vavilov e dal caso delle mele selvatiche del Tien Shan, da lui identificate come le progenitrici delle mele oggi coltivate in tutto il mondo. L'accusa che portò alla sua condanna a morte, commutata in 20 anni di gulag siberiano (dove morì dopo soli tre anni), verteva sul reato di aver difeso la genetica classica mendeliana, considerata una "pseudoscienza borghese".
A leggerlo oggi fa effetto ma sappiamo bene che una tale accusa non stonerebbe in stati teocratici odierni.

Riassumiamo la vicenda.
Malus sieversii selvatica in Kazakhstan
La mela oggetto del contendere è la Malus sieversii, dal nome del suo scopritore, il tedesco Johann Augustus Carl Sievers. Nel suo ruolo di membro della Accademia imperiale russa delle scienze di San Pietroburgo  e noto l'interesse di Caterina II per la botanica, Sievers compì una serie di viaggi in Asia centro meridionale (attuali Kazakhstan, Uzbekistan, ...) dove si imbatté in mele selvatiche, piccole e dolci. Ben prima di essere "scoperta", la mela si era diffusa lungo la Via della Seta al seguito dei mercanti, fino ad arrivare ai centri delle civiltà mesopotamiche, egizie, cinesi, greche, romane e infine nelle americhe al seguito di Colombo.
Durante il suo lento diffondersi la Malus sieversii si sarebbe trasformata (ad opera della selezione operata dall'uomo) nelle varietà attuali, perdendosi la memoria dell'origine. Per riscoprirne la sua centralità filogenetica bisogna attendere il 1929 quando il genetista e agronomo russo Nikolaj Vavilov, dopo avere visitato le foreste di meli selvatici del Tien Shan (le Montagne Celesti del sud del Kazakhstan ... bellissime!) identifica tali mele come le progenitrici delle varietà attuali. Una affermazione oggi innocua ma che alle orecchie sovietiche suonò come una indebita ingerenza "borghese" (termine che comprendeva ogni studio non centrato sulle problematiche marxiste).
Una accusa non solo frutto di cecità ideologica ma che in realtà sottintendeva il dirigismo economico sovietico impegnato ad eliminare ogni coltura che non rientrasse nei piani quinquennali. E le mele selvatiche non rientravano in questi piani ma anzi, come vedremo poi, l'idea era di sostituirle in toto con le varianti "moderne". Una scelta quanto meno miope per il semplice fatto che tale ceppo primigenio era sopravvissuto sostanzialmente indenne per decine di milioni di anni. Una specie resistente, in grado di tollerare mutazioni climatiche letali per altri ceppi.
 Nota. Oggi si sa che il melo esisteva già nelle fasi finali dell'era dei dinosauri (circa 70 milioni di anni fa), per cui alla prova dei fatti capace di superare eventi come l'impatto meteorico che pose fine al loro dominio, e le più "recenti" glaciazioni.
Sostituire una specie antica con una meno rodata anche se apparentemente più produttiva appariva a Vavilov come una scelta molto rischiosa. Rischiosa non solo da un punto di vista ecologico ma anche per l'effetto che avrebbe potuto avere una annata di condizioni climatiche estreme sulla disponibilità di mele, fonte principale dell'alimentazione locale. Bisogna ricordare che Vavilov non era un teorico con poco senso pratico ma uno che aveva dedicato gran parte della vita di studioso (noto anche oltreoceano) a combattere la cronica penuria di cibo post-rivoluzionaria, ottimizzando le coltivazioni in modo "scientifico" in modo da massimizzare e ampliare la gamma delle coltivazioni locali (che l'attuazione dei "piani quinquennali" decisi a Mosca rendeva sempre più a rischio). Quanto le mele fossero importanti in quell'area lo si evince dal nome della (ex) capitale, Alma Ata, coniato a metà '800, che in Kazako vuol dire "padre delle mele".
Proprio in questo ambito avvenne lo scontro tra la scienza di Vavilov e l'ideologia, impersonata in Trofim Lysenko, direttore dell'Accademia di scienze agricole dell'URSS. Uno scontro tra la genetica mendeliana del primo e la "nuova biologia, proletaria che deve opporsi alle pseudoscienze borghesi" (sic!). Non bastasse questo atto d'accusa è lo stesso Lysenko a sostanziare l'accusa con parole incredibili in quanto dette da uno scienziato (ideologizzato): "l'URSS si fonda sul marxismo-leninismo e sul materialismo-dialettico e dato che esse non prevedono la genetica mendeliana, questa è da considerarsi una falsa scienza che va rimpiazzata con la vera biologia". Rileggetevi l'atto d'accusa. Un tono anche peggiore rispetto alle scomuniche religiose in quanto si nasconde dietro pretese di "vera scienza", ma che altro non sono che ideologia e come tale lontana dal pensiero scientifico.
Lysenko parla nel 1935 di fronte al Politburo
Una sfida che andrà oltre Vavilov (morto nel frattempo in Siberia) e il picco del periodo staliniano. Negli anni '50 Lysenko sarà il più accanito persecutore di Aymak Djangaliev (allievo di Vavilov) quando questi si opporrà al piano esecutivo di eradicazione dei meli selvatici. Un piano fatto approvare a Mosca da Lysenko con la giustificazione che "il melo selvatico è un errore della natura che andava corretto attraverso il lavoro dell'Uomo".
E' superfluo dire chi abbia avuto la peggio anche se, essendo in un epoca più "moderata" Djangaliev se la cavò con l'espulsione dal partito, la proibizione dei suoi libri, la revoca del dottorato e il rogo di gran parte dei suoi appunti, ... .
Ovviamente i risultati della "nuova biologia" non furono eccelsi. I vecchi meli, che pure erano sopravvissuti a 5 inverni di fila con picchi a -50 °C (alla faccia degli errori della natura), furono estirpati e i loro sostituti non superarono il primo inverno duro. Il Kazakhstan perse così il 70 per cento dei suoi meli ma Lysenko si dimostrò più resistente riuscendo a passare indenne anche al processo di destalinizzazione perseverando nelle sue idee fino agli anni '80.

Nel 2009 il biologo molecolare americano Barry Juniper dimostrò, grazie al sequenziamento del genoma del Malus Sieversii e alla comparazione con le altre specie di meli la correttezza della teoria di Vavilov. Il Malus Sieversii è veramente il progenitore della mela moderne.

Ricordiamocelo quando ascolteremo per l'ennesima volta le affermazioni di coloro che si professano "materialisti" mentre ragionano da religiosi. Un esempio su tutti? La crociata naturista anti-OGM "senza se e senza ma" che, guarda caso, vede tra gli adepti e profeti tutte le categorie sociali ad esclusione di chi abbia, non dico competenze nel campo, ma anche solo una cultura scientifica universitaria (vedi il CV e i trascorsi dei guru di tale movimento come Capanna e Petrini. Poca scienza e tanta ideologia).


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Nota. Vale la pena ricordare un caso analogo e dalle conseguenze catastrofiche, quello della coltivazione del cotone in URSS. A partire dagli anni '40 si cominciarono ad implementare piani quinquennali volti a fare diventare l'Unione Sovietica il principale esportatore mondiale di cotone. La zona scelta in cui sostituire le colture tradizionali con una monocoltura intensiva di cotone fu quella dell'Asia centrale circostante il lago d'Aral. Un progetto coerente con l'idea sovietica di organizzare ciascuna repubblica in modo che producesse una sola cosa (alimentare, metalli, legno, ...), con l'indubbio vantaggio di impedirne l'autosufficienza, ottimo antidoto a velleità indipendentiste. Per soddisfare l'elevata richiesta di acqua (tipica del cotone e ancora di più data l'estensione delle colture) furono dirottate gran parte delle acque che rifornivano il lago d'Aral attraverso canali mal progettati che fecero perdere fino al 70% dell'acqua convogliata.

Il risultato è stata la quasi totale scomparsa del lago in soli 30 anni, trasformato in una pianura salina piena di scorie tossiche (pesticidi e rifiuti militari) e non utilizzabile, come si sarebbe voluto, come acquitrino in cui coltivare il riso. Si perché la cancellazione del lago fu vista come opportunità per fare altro ... senza però saperlo fare. Oltre all'impatto ecologico pensiamo all'effetto della scomparsa della economia locale fondata sulla pesca di pesca).
La capacità obnubilante delle ideologie dimostra ancora una volta la sua forza ... .

Fonti
Sono debitore per l'idea di questo articolo a molte fonti. Su tutte 
  • "Le mele dei dinosauri" (C. Vulpio su La Lettura, 33, 2016)
  • "Expo, nel padiglione russo l’eredità di Vavilov: 323 mila piante e semi" (L. Zanini sul CdS del 4/6/2015)
  • "Le foreste dei meli selvatici del Tien Shan", XXXVII edizione Premio Internazionale Carlo Scarpa, 2016
  • "Les Origines de la pomme", documentario (2012)
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Se vi interessano altri esempi in cui abbiamo assistito allo scontro ragione/scienza vs. ideologia, vi suggerisco la lettura di articoli precedentemente apparsi in questo blog (clicca sul titolo per aprire la pagina)

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Ottimo libro per capire il dibattito Nature vs. Nurture (ossia innativismo vs. ambiente)


Un valido "antidoto" all'imperante clima di pseudo-scienza che sembra imperare di questi tempi?  Allora vi consiglio "Il più grande spettacolo della terra" di Richard Dawkins; una lettura piacevole oltre che utile per chi si "ciba" di scienza



Conservare il DNA in un polimero simile all'ambra


Penso che tutti voi ricordiate come nel film "Jurassic Park", gli scienziati estrassero il DNA dei dinosauri dalle gocce d'ambra in cui era rimasto protetto per milioni di anni. 
Nota. La non idoneità di tale veicolo per tempi così lungo è stata già discussa in questo blog nell'articolo "Pietra tombale sui sogni di Jurassic Park".
Ispirandosi in parte a quel film, i ricercatori del MIT hanno sviluppato il metodo T-Rex (Thermoset-REinforced Xeroconservation) che si basa sull'utilizzo diun polimero vetroso, simile all'ambra, utilizzabile per la conservazione di lungo periodo del DNA, sia esso derivante da biopsie, interi genomi oppure come veicolo per l'immagazzinamento di file digitali tipo foto o musica.
Informazioni digitali e DNA? vedi l'articolo "DNA come memoria digitale del futuro"
In laboratorio, la conservazione del DNA per lunghi periodi avviene a temperature tra i -20C e -80C, condizioni che implicano un notevole consumo di energia e che rende lo stoccaggio problematico o impossibile in alcune parti del mondo. Grazie ad un polimero simile all'ambra, un gruppo di ricercatori ha dimostrato come sia possibile conservare il DNA (sia esso genomico che frammenti creati per immagazzinare informazioni digitali) per un tempo ragionevole anche in condizioni ambientali estreme, per temperatura e umidità.
Cosa ancora più importante il polimero in cui intrappolare il DNA è stato creato in modo da potere essere facilmente eliminato quando si vuole recuperare il DNA.

Lo studio è stato pubblicato sul Journal of American Chemical Society e il team di ricerca ha fondato una start up (spin off del MIT) di nome evocativo Cache DNA.

Il retroterra dello studio
Il DNA è una molecola molto stabile che veicola le informazioni genetiche. Di recente alcuni ricercatori hanno pensato di sfruttare il suo enorme potenziale di stoccaggio dati per archiviare informazioni digitali, siano esse testo, foto o musica, come una serie di 0 e 1. L'informazione binaria può in effetti essere trasferita nel DNA utilizzando i quattro nucleotidi che compongono il codice genetico (A, T, C e G), ad esempio G e C potrebbero essere usati per rappresentare 0 mentre A e T per 1.
Giusto per dare l'idea, immaginate di avere una tazza (tipo per le mug) e di riempirla con DNA, la quantità di informazione veicolata da tutto questo materiale sarebbe superiore a tutti i dati digitali mondiali
Mentre la teoria del trasferimento delle informazioni digitali nel DNA non è una novità, i ricercatori hanno cercato di ottimizzare il processo inserendo dei tag (bandierine identificative) nella resina sviluppata in modo da facilitare l'archiviazione e il recupero mirato anche partendo da uno stoccaggio misto. Il problema era che per "solubilizzare" il polimero era necessario usare l'acido fluoridrico, molto tossico.
Alla ricerca di materiali di stoccaggio alternativi, è stato sviluppato un tipo di polimero (in realtà un mix di polimeri, chiamato polistirene reticolato) che solidifica dopo il riscaldamento, quindi un materiale perfetto in cui inglobare il DNA. Cosa ancora più importante, il polimero contiene legami pensati per essere rotti in modo selettivo con trattamenti mirati (e meno tossici) quando si decide di recuperare il DNA.
Nel dettaglio i monomeri dello stirene e i reticolanti vengono copolimerizzati con monomeri chiamati tionolattoni. I legami possono essere rotti al bisogno mediante trattamento con una molecola chiamata cisteamina.
Image credit: Elisabeth Prince et al (2024) 
Tale materiale termoindurente ha anche il pregio di essere idrofobo così da impedire all'umidità di penetrare e danneggiare il DNA.
Per "catturare" il DNA (molecole idrofila a carica negativa) nello stirene (idrofobo) i ricercatori hanno usato una combinazione di tre monomeri (i mattoni di un polimero) in grado di "solubilizzare" il DNA e di farlo interagire con lo stirene. Ciascun monomero ha caratteristiche diverse dalla cui azione combinata si ottiene una sorta di "salting-out" del DNA (uscita dalla fase acquosa) che dà luogo a complessi sferici tipo micelle invertite (parte idrofila interna che interagisce con il DNA e parte idrofoba esterna che interagisce con lo stirene) 
Una volta riscaldata, questa soluzione diventa un blocco solido simile al vetro, in cui è racchiuso il DNA.
Per ora il processo di inclusione necessita di qualche ora ma è più che probabile che l'ottimizzazione futura del processo abbasserà notevolmente il tempo richiesto
Per recuperare il DNA si procede al trattamento con cisteamina, che rompe il blocco liberando pezzi minuscoli, seguito dal trattamento con un detergente classico come il SDS che permette di recuperare il DNA senza danneggiarlo.

Test finale per confermare la validità del metodo è stato il sequenziamento del DNA allo scopo di verificare l'assenza di errori, caratteristica fondamentale di qualsiasi sistema di archiviazione di dati digitali.
Il polimero termoindurente si è dimostrato capace di proteggere il DNA fino a 75C.

Il nome del metodo è T-Rex, pare quantomeno appropriato data la robustezza dello stesso

Fonte
Reversible Nucleic Acid Storage in Deconstructable Glassy Polymer Networks
Elisabeth Prince et al, J. (2024) Am. Chem. Soc. 146, 25, 17066–17074

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Che dire? Di sicuro una lampada evocativa (chiaramente non è ambra)
Image: Amazon



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