La ricerca delle prime tracce di vita apparse sulla Terra è un lavoro indiziario data la natura "effimera" (leggasi labile) degli organismi unicellulari.
Le tracce più antiche della presenza di vita sulla Terra vengono dalle stromatoliti australiane datate 3,5 miliardi di anni, mentre la comparsa vera e propria della vita cellulare è stimata in 4 miliardi di anni fa quindi solo di 500 milioni dopo la formazione della Terra.
Di qualche giorno fa la notizia della scoperta di di tracce procariote e algali, potenzialmente ancora vitali, intrappolata in alite vecchia 830 milioni di anni.
In precedenza avevo scritto del ritrovamento di batteri abissali vivi databili in 100 milioni di anni e di quanto gli attuali cambiamenti climatici potrebbero "liberare" dal permafrost siberiano microorganismi congelati.
Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Geology da un team di ricercatori australiani.
L'alite, anche nota come salgemma, è cloruro di sodio e la scoperta suggerisce che questo minerale naturale potrebbe essere una risorsa sottovaluta nello studio di aree un tempo ricoperte dalle acque salate oceaniche/marine.
In precedenza antichi microfossili furono rinvenuti "compressi" all'interno di formazioni rocciose risalenti a 3,4 miliardi di anni quale lo scisto, roccia capace di preservare materiale organico meglio (almeno così si riteneva) del sale.
credit: Julien Alleon/MIT |
In realtà quando i cristalli si formano in un ambiente salino, piccole quantità di liquido possono rimanere intrappolate, formando inclusioni liquide che inglobano le caratteristiche chimico-fisiche in cui l'alite si è formata. Il che rende queste rocce scientificamente preziose, in quanto in grado di veicolare informazioni sulla chimica e temperatura delle acque originarie e perfino sulle caratteristiche dell'atmosfera nel momento in cui si è formato il minerale.
Ben ricordare che gli ambienti idonei alla formazione dell'alite sono presenti anche ai giorni nostri e in essi vi si trovano batteri, Archea, funghi e alghe.
In passato erano già stati rinvenuti microrganismi nelle inclusioni liquide presenti nel gesso (altra roccia evaporitica che si forma in acque salate) e nell'alite, sebbene meno antiche di quello ora studiate. Il dubbio in questi casi era se gli organismi qui trovati avessero veramente la stessa età dell'alite o se fossero in essa migrati in tempi successivi.
Il nuovo studio si è focalizzato su campioni di alite raccolte nel bel mezzo dell'Australia, in una zona oggi desertica ma un tempo ricoperta da mari. Quest'area, ricca di salgemma, è un'unità stratigrafica (nota come Browne Formation) ben caratterizzata e datata al Neoproterozoico.
Il campione è stato analizzato in modo conservativo mediante metodi ottici, quindi senza modificare o "esporre" la roccia e il suo interno, in modo che qualsiasi cosa all'interno fosse lì dal momento della formazione.
Tra i metodi usati la petrografia sia a luce polarizzata che ultravioletta, prima a basso ingrandimento per identificare i cristalli di alite, poi con un ingrandimento fino a 2.000x per studiare le inclusioni di fluido.
Dall'analisi si sono evidenziati solidi e liquidi organici, coerenti (per dimensione, forma e fluorescenza) con cellule procariote ed eucariote. La maggior parte di questi mostravano caratteristiche coerenti con il decadimento organico (quindi cellule fossilizzate), mentre altri mostravano le stesse caratteristiche rilevabili in inclusioni moderne con cellule ancora vitali (o almeno materiale organico non alterato).
Microrganismi presenti nelle inclusioni fluide nelle aliti australiane. Image credit: Schreder-Gomes et al., |
Chiaramente il dato non è di suo una prova di "vita" (per questo ci vorranno colture cellulari) ma una possibilità che lo sia.
Le inclusioni liquide potrebbero aver svolto in tutto questo tempo il ruolo di microhabitat in cui minuscole colonie hanno prosperato. Del resto se sono stati rilevati procarioti viventi in alite vecchia di 250 milioni di anni, non ci sono vere ragioni per cui sia impossibile trovarli in campioni 3 volte più vecchi. La verità è che non sappiamo molto sulla sopravvivenza di microorganismi su scale temporali geologiche.
Vero che, pur in presenza di un micro-habitat idoneo, il vero rischio alla sopravvivenza di micro-popolazioni sono le radiazioni ambientali ma è altrettanto vero che già nel 2002 un articolo di Nicastro e collaboratori aveva quantificato come del tutto trascurabile la quantità di radiazioni assorbite dai depositi sepolti di alite vecchia di 250 milioni di anni.
Sappiamo inoltre che i microrganismi possono sopravvivere nelle inclusioni fluide grazie a cambiamenti metabolici che possono arrivare al totale stop proliferato (sotto forma di spore o cisti), così come il loro potere prosperare attingendo a composti organici esterni come fonte di nutrienti.
Su tutto, questo articolo riaccende le speranze di ottenere informazioni sulla eventuale vita passata su Marte, grazie allo studio dei depositi di alite marziana, verosimilmente formatasi in e condizioni simili a quella della Browne Formation.
Fonte
- 830-million-year-old microorganisms in primary fluid inclusions in halite.
Sara I. Schreder-Gomes et al, (2022) Geology
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