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Il crollo di Miami e il futuro dei bio-cementi

Il recente tragico collasso su se stesso del palazzo a Miami mi ha riportato alla mente un articolo pubblicato su Nature Biotechnology nell'estate del 2020 che affrontava l'innovativo concetto del bio-cemento.
Il punto di contatto tra i due è nelle cause del crollo dell'edificio, ricondotte ad un mix di infiltrazioni saline e acqua nei pilastri portanti che hanno causato sul lungo periodo la comparsa di crepe nel cemento e la corrosione dello scheletro interno di metallo, quindi la perdita di tenuta. In assenza di manutenzione efficace (l'iniezione di resine sembra aver avuto un effetto anche aggravante) il risultato è  stata la formazione di una costruzione tipo castello di carte metastabile, dove un evento su una colonna ha innescato un effetto domino.

Lungi da me l'idea di fare una analisi tecnica (ho ricavato quanto sopra dalle fonti di informazione), la notizia ha però attivato il ricordo di quel vecchio articolo che oramai era finito nel dimenticatoio del "curioso ma non per me utile" in quanto borderline rispetto agli studi che normalmente trovano spazio sulla suddetta rivista di biotecnologia. Il punto centrale dell'articolo era lo sviluppo di una tecnica di costruzione in cui al classico cemento e anima di metallo venivano associate spore batteriche capaci, nelle condizioni che descriverò, di conferire al cemento la capacità di "autoripararsi" dai danni causati dalle infiltrazioni di acqua, aumentando la sicurezza e diminuendo nel contempo le opere invasive di manutenzione.

Se il lavoro fosse stato meramente teorico, probabilmente non lo avrei ricordato in questi giorni. Aveva invece il pregio di essere già stato messo alla prova nei lavori condotti su un palazzo seicentesco olandese, con buoni risultati.

Oltre a vantaggi conservativi i cosiddetti biomateriali da costruzione offrono altri vantaggi, tra cui quello relativo al contenimento dei gas serra: non solo minore necessità di produrre cemento per le riparazioni ma anche la capacità, una volta "assemblato", di catturare la CO2 ambientale.
A livello globale si producono annualmente 4 miliardi di tonnellate di cemento, responsabili di circa l'8% delle emissioni di CO2.
Il calcestruzzo, di suo, ha una  notevole resistenza alla compressione che viene in genere ulteriormente rinforzata dall'utilizzo al suo interno di barre d'acciaio. Tuttavia con il tempo la comparsa di crepe alla superficie porta ad infiltrazioni di acqua che alla lunga corrode l'acciaio; il risultato è che l'intera struttura si indebolisce, aumentando il rischio di crolli disastrosi. Il costo della manutenzione su scala globale nei soli paesi evoluti è di miliardi di dollari all'anno e a volte il costo associato rende gli edifici non riparabili, da cui il circolo vizioso di aumento esponenziale della domanda di calcestruzzo per edifici sostitutivi.
L'azienda coinvolta si chiama Green Basilisk ed è una start-up operante in ambito biotech la cui mission è creare sinergie tra le mini-fabbriche biologiche (batteri e funghi) e i materiali da costruzione.
Da un punto di vista operativo si parte dall'inserire lattato di calcio e spore di batteri con caratteristiche particolari nel calcestruzzo (usato poi come rinforzo alle strutture sotterranee del palazzo). Le spore rimangono dormienti fino a quando le condizioni diventano per loro ideali (l'ingresso di acqua) e, risvegliate, iniziano a digerire il lattato presente emettendo CO2 che viene subito catturato dal materiale; il calcestruzzo infatti delimita un ambiente alcalino, condizione ideale perché la CO2 si combini con gli ioni calcio formando carbonato di calcio, che solidifica sigillando crepe di millimetri in poche settimane così da prevenire ulteriori danni causati dall'acqua. Il tutto in modo automatico.
Image credit: Basiliskconcrete.com

Per raggiungere questo risultato i ricercatori della biotech hanno per prima cosa cercato batteri il cui metabolismo meglio si adattasse allo scopo, trovandoli nelle specie Bacillus pseudofirmus, B. cohnii e B. alcalinitrilicus, abitanti naturali di una regione desertica nel nord della Spagna e di un lago alcalino in Russia. La scelta di specie naturali invece di ingegnerizzate nasce dal più semplice iter di approvazione per il loro utilizzo nell'ambiente.

Lo scoglio che l'azienda sta ora affrontando è quello di rendere questo approccio meno caro come costo d'ingresso cercando di sviluppare nutrienti per i batteri più economici del lattato di calcio.
Per dare una idea dei costi oggi un m3 di calcestruzzo costa intorno agli 80$, e il mix batteri-nutrienti altri $ 46, con un aggravio del 1% dei costi complessivi. Se si riuscisse ad abbassare il prezzo, l'ingresso nel mercato sarebbe vantaggioso anche per quei costruttori interessati solo alla costruzione e non all'evidente risparmio di costi di manutenzione (magari gestito da terzi, per cui per loro non rilevante).

Le applicazioni potenziali di questi biomateriali sono varie, tra cui le pavimentazioni stradali (pensate alle condizioni delle strade dopo un periodo di piogge) o strutture in cui sono integrati sensori per il monitoraggio in tempo reale della efficienza del processo di auto-riparazione.
Per renderli attivi solo quando veramente servono si è pensato di incapsulare le spore batteriche in granuli di calcestruzzo aerati, ricoperti di un guscio impermeabile di alcol polivinilico; la capsula impedirebbe ai batteri di attivarsi per minime infiltrazioni limitando il loro utilizzo al caso in cui la tensione sulla mini crepa è tale da rompere il guscio.
Tra l'altro si è visto che aggiungendo alle capsule un mix nutritivo fatto di estratto di lievito e nitrato di calcio, l'efficacia di riparazione aumenta di molto.

Non si tratta dell'unica azienda impegnata in questi studi. La bioMASON sta testando dei bacilli in grado di cementare mini detriti di roccia e sabbia formando blocchi robusti utilizzabili poi come piastrelle. In questo caso i batteri, all'interno di un supporto che funge da stampo, idrolizzano un substrato di urea per formare la CO2, che poi si combina con ioni di calcio per formare carbonato di calcio; il risultato è l'intrappolamento delle particelle circostanti all'interno di una matrice solida che fatta seccare all'aria crea una mattonella pronta per l'uso. La stessa azienda sta sviluppando un bio-cemento marino adatto per l'uso nelle fondamenta in acqua.

Lo stesso dipartimento della difesa USA (DARPA) sta finanziando ricerche sui cianobatteri da utilizzare come bio-mattoni: cianobatteri disposti su una matrice di idrogel fissano la CO2 grazie alla loro fotosintesi, evento che aumenta il pH sulla loro superficie. Questo innesca la precipitazione del carbonato di calcio, che lega l'idrogel formando blocchi solidi con le caratteristiche della malta. Ciascuno di questi mattoni contiene ancora cianobatteri vivi il che fungono così da punto di partenza per creare nuovi mattoni.

Ci vorrà tempo perché questi prodotti diventino di uso comune ma il paradigma dei biomateriali sta prendendo piede.

Fonte
- Bioconcrete presages new wave in environmentally friendly construction
Nature Biotechnology (June 2020)


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