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Un zoo cellulare per valutare il rischio trasmissione coronavirus (e non solo) agli animali

La zoonosi si ha quando un agente infettivo (non necessariamente patogeno) fa il salto di specie divenendo capace di infettare un ospite diverso da quello che ha come bersaglio naturale.

Restringendo l'alveo dei patogeni ai virus è più semplice capire quanto cambiare il proprio bersaglio possa essere problematico o perfino impossibile.
Il caso più estremo è quello di virus batterici (batteriofagi) per i quali è impossibile, qualunque mutazione subiscano, infettare in modo produttivo (generare progenie) una cellula eucariote. I virus sono di fatto dei parassiti che "prendono possesso e riprogrammano" il macchinario metabolico cellulare per creare copie di se stessi. Se in genere è già sufficiente cambiare tipo di cellula all'interno di uno stesso organismo per rendere il programma codificato dal virus non utilizzabile in quel dato ambiente, passare da una cellula procariote (batteri) a eucariote (tutto il resto del mondo cellulare) è qualcosa di ancora più estremo che ipotizzare di leggere un manuale con istruzioni scritte in cuneiforme da parte di Azteco.
Il problema del salto di specie vale anche tra organismi strettamente imparentati come ad esempio scimpanzé e umani; il virus SIV da cui ha avuto origine l'HIV è passato attraverso innumerevoli infezioni fallite o debolmente efficaci prima che da una di queste emergessero (evento datato alla prima metà del secolo scorso) mutanti capaci non solo di generare progenie pienamente funzionante dalle cellule umane infettate ma, questo il vero passaggio chiave, una progenie capace di infettare altri umani. Per rendere possibile la zoonosi sono necessarie sia mutazioni che rendano la proteina "di aggancio" sulla superficie virale capace di interagire con un dato recettore cellulare (omologo ma non identico a quello usato originariamente) ma anche aggiustamenti nel programma di "dirottamento" del  macchinario cellulare.

Il discorso vale ovviamente anche in senso opposto (zoonosi inversa) cioè quando siamo noi a trasmettere il patogeno ad altri animali.
Molti virus (ad esempio il coronavirus del raffreddore) comuni negli umani non sono in grado di infettare i nostri animali domestici mentre in altri casi (il virus influenza H1N1 può essere trasmesso ai gatti) la trasmissione è possibile.
Nell'epoca pandemia da SARS-CoV-2 questa possibilità assume una maggiore valenza perché, se dimostrata la trasmissione umano→animale, porrebbe in primo piano il rischio concreto di non riuscire ad eradicare questo virus. Se infatti ci sono voluti molteplici contatti pipistrello-umani per dare origine ad un ceppo capace di infettare in modo produttivo (il virus originario non infettava bene gli umani), la dimostrazione di una infezione del ceppo umano ad altri animali ad alta frequenza di contatto (da allevamento o domestici) avrebbe un immediato impatto sia economico che biologico con la creazione di potenziale serbatoio del virus che persisterebbe anche qualora tutta la popolazione umana fosse stata vaccinata in modo efficace (meno che improbabile) da cui il virus potrebbe "tornare indietro".

Tipico esempio di animali infettati dal "nostro" SARS-CoV-2 sono i visoni i cui allevamenti in Olanda e Danimarca hanno dovuto essere distrutti dopo la scoperta dell'infezione. Altri esempi di animali infettati dai custodi umani sono gorilla, tigri e leoni ospitati negli zoo; sono stati segnalati anche casi sporadici tra i pets

Determinare quali specie sono a rischio infezione è quindi importante sia a scopo preventivo che di monitoraggio. Ad oggi tali test sono possibili solo mediante infezione diretta sugli animali, osservazioni sul campo o aneddotiche; non una soluzione ottimale sia per mere ragioni di fattibilità e di costo che per una intrinseca limitazione del campo di indagine.

Una soluzione pratica, pragmatica e tutto sommato economica, viene da ricercatori dell'università di Berna che hanno sviluppato quello che potremmo definire un mini-zoo cellulare.
Risultati del test condotti sul mini zoo cellulare per testare la capacità del ceppo SARS-CoV-2 umano di infettare altri animali. Altra immagine QUI.
(image credit: IFIK / UniBE)
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Tropismo dei virus SARS-CoV-2, influenza A virus (IAV) e influenza D virus (IDV) in colture di cellule epiteliali delle vie aeree infette di diverse specie di mammiferi.
(Image credit: Gultom, M. et al)

Si tratta di una collezione unica di linee cellulari derivanti dagli espianti dell'epitelio respiratorio di vari animali, messi in coltura e fatti crescere per essere poi congelati e tenuti pronti all'uso ogni volta che sia necessario testare la capacità infettiva di un dato virus.
Dai test condotti si è avuta conferma che il SARS-CoV-2 è in grado di infettare in modo efficiente le cellule dell'apparato respiratorio di scimmie e gatti. Sebbene questo sia una conferma di dati già noti, il test permette di identificare in tempi brevi le specie a rischio e attivare di concerto un sistema di monitoraggio (e magari in futuro una vaccinazione ad hoc) della diffusione di questo virus e di altri correlati.

In questa fase preliminare la biobanca cellulare contiene linee cellulari primarie di 12 specie animali che potrà essere "facilmente" espansa in futuro.

Fonte
- Susceptibility of Well-Differentiated Airway Epithelial Cell Cultures from Domestic and Wild Animals to Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2.
M. Gultom et al, Emerging Infectious Diseases, July 2021, 






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