La serendipità di alcune scoperte è un fenomeno noto a chi fa ricerca. L'abilità sta nel comprendere il risultato inatteso senza farsi fuorviare dai propri preconcetti teorici.
Questo hanno fatto gli astronomi intenti a studiare il centro dell'ammasso globulare NGC 6397 per scovare le prove degli elusivi buchi neri intermedi.
Rappresentazione artistica del centro dell'ammasso globulare (Credit: ESA/Hubble, N. Bartmann) |
Gli ammassi globulari sono sistemi stellari estremamente densi, che ospitano stelle raggruppate. Si tratta di sistemi in genere molto vecchi e il NGC 6397 lo è, con una età solo di poco inferiore a quella dell'universo; nel suo caso, data l'elevata densità è noto come cluster collassato. Non che questo sia raro da trovare ma il pregio di questo ammasso è nel suo trovarsi a "soli" 7800 anni luce da noi, rendendolo uno degli ammassi globulari più vicini alla Terra.
I dati disponibili avevano fatto pensare che al suo interno vi fosse un buco nero di massa intermedia e questo era un motivo più che sufficiente per studiarlo. Ogni galassia ha un buco nero al centro ma si tratta in genere di buchi neri supermassicci (quello della Via Lattea, SgrA*, non è nemmeno troppo grosso con i suoi 4 milioni di masse solari).
I buchi neri intermedi sono infatti l'anello mancante, a lungo cercato tra i buchi neri supermassicci e i buchi neri di massa stellare (poche volte la massa del nostro Sole) la cui origine è correlata al collasso di singole stelle massicce.
La loro mera esistenza è da tempo oggetto di accesi dibattiti visto che è difficile ipotizzare una relazione tra l'incremento di massa e semplici eventi di inglobazione di materia (che un buco nero mini si sia pappato qualche milione di stelle o altri mini buchi neri è ritenuto improbabile).
Durante la caratterizzazione di questo ipotetico buco nero intermedio, i ricercatori si resero conto che la massa invisibile nel nucleo dell'ammasso (invisibile per ovvie ragioni) non era puntiforme come atteso ma copriva una certa percentuale dell'area ad indicare che dovevano essercene diversi.
Necessario fare un passo indietro e capire come fanno gli astrofisici a dedurre la presenza di una massa che seppur enorme sarebbe invisibile, specialmente quando inerte (alias "non si sta cibando" della materia circostante). Il metodo usato è quello di misurare le velocità e il percorso delle stelle nella parte più centrale dell'ammasso così da trovare il "perno" attorno a cui orbitano. Maggiore la massa in un punto, più velocemente le stelle si spostano attorno ad esso.
L'immagine seguente rende meglio il concetto di come sia stata mappata la posizione di SgrA* al centro della Via Lattea.
Disponibile anche in versione youtube -->QUI.
La precedente immagine dopo la mappatura fatta al computer (credit: Keck/UCLA Galactic Center Group via meeplephd.com) |
Misurazioni di tale precisione e per tali distanze necessitano di tempo (anni) e di strumenti precisi e privi di interferenze atmosferiche (il telescopio spaziale Hubble con l'aggiunta dei dati del satellite Gaia).
L'analisi ha rivelato che le orbite delle stelle erano quasi casuali in tutto l'ammasso globulare, invece che circolari o molto allungate. La conclusione tratta è che la componente invisibile poteva essere costituita solo da un insieme di masse stellari, come i resti di stelle massicce (nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri). A causa di fenomeni di attrito dinamico (immaginiamolo come una specie di flipper stellare) questi cadaveri stellari sono progressivamente affondati al centro dell'ammasso, spinti dalle interazioni gravitazionali con stelle meno massicce nelle vicinanze: la traiettoria è spiegabile con uno scambio di quantità di moto per cui le stelle più pesanti vengono segregate nel nucleo dell'ammasso e le stelle di massa inferiore migrano alla periferia dell'ammasso (per dettagli vedi anche qui).
La maggior parte della massa extra trovata era sotto forma di buchi neri.
La conclusione che buchi neri di massa stellare potrebbero popolare le regioni interne degli ammassi globulari viene anche da altri studi.
Video riassuntivo del contenuto dell'articolo
Se non vedi il video clicca su --> youtube (credit: NASA Goddard)
I risultati ottenuti hanno fatto ipotizzare ai ricercatori che eventi di fusione tra i buchi neri in questi ammassi globulari potrebbero originare onde gravitazionali rilevabili con il LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory).
NOTA. Un articolo ora in fase di revisione va contro le conclusioni di Vitral & Mamon. Gli autori (NZ Rui et al) sostengono non trattarsi di un folto gruppo di buchi neri stellari ma di molte nane bianche. Vedremo nelle prossime settimane se i revisori riterranno i dati raccolti sufficienti per la pubblicazione.
Fonte
- Does NGC 6397 contain an intermediate-mass black hole or a more diffuse inner subcluster?
Eduardo Vitral & Gary A. Mamon, (21 Feb. 2021), Astronomy and Astrophysics
- No Black Holes in NGC 6397
Nicholas Z. Rui et al, arXiv (10 marzo 2021)
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