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La mappa stellare dei buchi neri supermassicci

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Questa immagine potrebbe sembrare una delle tante che ritrae la volta stellata in una limpida notte d'estate. In realtà se la guardate più da vicino noterete che ha caratteristiche diverse dal solito, definizione e sgranatura su tutte oltre all'assenza di alcune stelle note.
La ragione è che l'immagine è a tutti gli effetti una mappa di oltre 25 mila buchi neri supermassicci (SMBH), presenti in una porzione minima della volta stellata corrispondente al 4% del cielo osservabile dall'emisfero boreale, la cui posizione è stata ricavata dall'analisi dei segnali radio a bassa frequenza (tra 10 e 240 MHz).
Dato che i SMBH si trovano in genere al centro di una galassia potremmo anche dire che l'immagine sopra è una "foto" delle galassie osservabili in quello spicchio di cielo.
Lo studio, chiaramente in divenire, è stato possibile grazie al Low-Frequency Array (LOFAR).

La mappa "originale" dei buchi neri raffrontata alla dimensione con cui apparirebbe la luna.
Image credit: LOFAR/LOL Survey (CC BY 4.0)
Il LOFAR è un telescopio diverso da quelli a cui siamo soliti pensare sia per la tipologia di segnali che cattura (onde radio) che per essere una rete di radiotelescopi invece che una singola struttura.

Alcune nozioni di base.
Le onde elettromagnetiche che rientrano nell'ambito onde radio coprono un'ampia gamma di frequenze che vanno dai 30 Hz a sopra i 300 GHz, o per converso lunghezze d'onda (λ) comprese tra 10 mila Km (maggiore del raggio della Terra) a 1 mm, rispettivamente. Va da sé che visto che i rilevatori (antenne) devono avere dimensioni paragonabili alla lunghezza d'onda da intercettare diventa alquanto complicato catturare le onde radio a bassa frequenza (alta λ). 
In termini generali le antenne "utili" devono avere una lunghezza di almeno la metà della lunghezza d'onda data dalla frequenza in uso.
Tra noi e i buchi neri c'è un'abbondanza di polvere interstellare che assorbe la radiazione elettromagnetica di λ dall'infrarosso in giù. Solo quando si arriva a λ di circa 1 millimetro questo assorbimento viene meno e a questa lunghezza d'onda ci troviamo già nel regno delle onde radio.
La risoluzione angolare di un telescopio è proporzionale alla lunghezza d'onda osservata divisa per il diametro del telescopio. Una λ maggiore si traduce in una risoluzione inferiore, per cui il meglio sarebbe usare raggi X o UV ma per quanto scritto non sono ideali a causa della polvere ... oltre che per la necessità di usare telescopi orbitali visto che l'atmosfera li scherma. 
Le onde radio chiaramente non sono corte per cui l'unico miglioramento possibile è aumentare la dimensione dello specchio del telescopio. Ecco la ragione per cui le onde più usate finora sono quelle con λ poco sopra al mm (1,3 mm nello specifico).

Nel dettaglio la risoluzione angolare ottenibile è data dal rapporto tra lunghezza d'onda usata e il diametro del telescopio. Ad esempio se osservassimo nel campo del visibile mediante un telescopio di 2 metri, la risoluzione sarebbe di 50 msec di arco; per ottenere la stessa risoluzione usando le onde radio di 4 metri, il radiotelescopio dovrebbe avere un diametro di 160 km! Impossibile, ed è per questo che si usa la interferometria (vedi sotto) con cui unire radiotelescopi posizioni in varie parti del globo. Grazie alla VLBI è possibile ottenere risoluzioni dell'ordine del millesimo d'arco.

Altro problema è la distanza.
I buchi neri supermassicci si trovano a distanze galattiche (milioni di anni luce) il che equivale a dire che l'oggetto da "visualizzare" ha dimensioni angolari dell'ordine di micro-arcosecondi (la distanza di 1 parsec equivale a 1 secondo d'arco).
Per dare l'idea di quanto minuscoli siano, l'angolo per "inquadrare" la Luna è circa 0,5 gradi (in pratica la dimensione del vostro pollice messo a coprire la Luna con il braccio disteso) mentre quello usato per visualizzare il buco nero nella galassia M87 distante 55 milioni di anni luce è 40 micro arcosecondi quindi 45 milioni di volte più piccolo.
Ho citato M87 non a caso essendo stato il primo buco nero visualizzato (vabbeh ... non lui ma quello che sta immediatamente intorno). Paradossalmente si è scelto questo invece di Sgr A*, il SMBH della nostra galassia, perché più "semplice" da rilevare data l'enorme massa (1000 volte maggiore) che compensa abbondantemente la maggiore distanza.

Osservare oggetti con dimensioni angolari così piccole si porta dietro il problema della diffrazione, aggirabile usando lunghezze d'onda corte (visibile, raggi X, ...) e telescopi grandi. Una scelta quest'ultima che diventa obbligata quando si è costretti ad usare le onde radio.
Nota. L'immagine precedente è stata ottenuta mediante l'Event Horizon Telescope, un telescopio che potremmo definire "virtuale" o meta-telescopio essendo in realtà una rete di telescopi distribuiti in modo da creare una antenna virtuale grande come la Terra. 
La distribuzione dei radiotelescopi usati per il progetto EHT(credit: EHT)
Il grande vantaggio delle onde radio rispetto alle onde di lunghezza minore è nel coincidere con la cosiddetta "finestra atmosferica", l'intervallo di λ nello spettro elettromagnetico dentro il quale la radiazione degli astri non subisce apprezzabile assorbimento/riflessione da parte dell’atmosfera terrestre e quindi può giungere fino al suolo. Questa la ragione per cui per studiare i raggi X o gli ultravioletti si devono usare telescopi orbitali.

In ordinata l'opacità atmosferica alle varie lunghezze d'onda. Oltre alla (ovvia) trasparenza al componente visibile del spettro c'è un'ampia finestra nella banda radio, tra il cm e 10 m. Questa la ragione per cui i radiotelescopi possono trovarsi sulla Terra mentre i rilevatori a raggi X e gamma sono orbitali.

Ad oggi gran parte della radioastronomia si è concentrata sulle frequenze più alte all'interno della banda radio, quelle di decine o centinaia di Gigahertz (le microonde), usate per studiare M87, per ovvie ragioni di "maggiore facilità" nell'intercettare il segnale.
La radioastronomia a bassa frequenza è impegnativa perché le radiosorgenti astronomiche sono molto deboli ed è difficile catturare immagini radio con una buona risoluzione; la distorsione del segnale causata dalla ionosfera (uno strato di elettroni liberi che rende la visuale simile a quella del guardare il cielo dal fondo di una piscina) non aiuta.
Per superare queste sfide, il sistema LOFAR ha messo in campo una rete di 25 mila antenne sparse in tutta Europa (in 52 siti), così da ottenere un telescopio virtuale esteso per 1000 chilometri.
Gran parte del lavoro "bruto" è stato fatto da supercomputer che con algoritmi dedicati hanno corretto l'effetto della ionosfera ad intervalli pari ad ogni quattro secondi di osservazione.

Alcune delle stazioni parti europee parte della rete LOFAR (credit: INAF)

Ci vorranno molti altri anni prima che si riesca a completare il progetto anche per il solo emisfero boreale (per l'emisfero australe è stata creata una rete di radiotelescopi analoga, chiamata SKA da Square Kilometer Array).


La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Astronomy & Astrophysics (link al PDF)

Diverse lunghezze d'onda, diverso utilizzo (image credit: revistapesquisa)

***

Nota tecnica per chi come me è curioso e vuole capire come fanno i radiotelescopi a mappare la posizione di sorgenti così lontane e a "confrontare" i dati raccolti da antenne distinte.
Alla base di tutto c'è la Very Long Baseline Interferometry (VLBI) una tecnica in cui un segnale da una sorgente radio astronomica, ad esempio un quasar, viene raccolto da più radiotelescopi sulla terra. Le  distanza vengono calcolate utilizzando la differenza di tempo tra l'arrivo del segnale radio ai diversi telescopi (il tempo assoluto di riferimento è dato da orologi atomici). In questo modo è possibile combinare osservazioni in sincrono di una stessa sorgente, creando un "telescopio virtuale" di dimensioni pari alla massima distanza tra i telescopi.
image credit: blackholecentral.com

I dati vengono archiviati su dischi rigidi locali e in un secondo momento raccolti ed analizzati da supercomputer (la mole di dati è tale che non possono essere spediti via internet ma gli HD vengono inviati fisicamente al punto di analisi). Solo allora si potrà ottenere l'immagine della sorgente dell'onda radio.
La risoluzione ottenibile mediante l'interferometria è proporzionale alla frequenza osservata, ovvero maggiore è la frequenza, maggiore è la risoluzione dell'immagine finale.
La tecnica VLBI consente alla distanza tra i telescopi di essere molto maggiore di quella possibile con l'interferometria convenzionale, che richiede il collegamento fisico delle antenne tramite cavi coassiali o altri tipi di linee di trasmissione.
Le distanze dei radiotelescopi possono oggi essere molto alte grazie ad una tecnica inventata negli anni '50, nota come "closure phase imaging" che aggiusta ad ogni ciclo eventuali ritardi tra le varie antenne.




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