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Scoperti 3 squali "che brillano nell'oscurità

Scoperto al largo della Nuova Zelanda quello che ad oggi è il più grande tra i vertebrati capaci di bioluminescenza. Ho usato il singolare ma in realtà sono 3 le specie di squali descritti nell'articolo appena pubblicato che in comune hanno l'habitat sui fondali a media profondità (tra 50 e 1200 metri). Di questi il più grande con il suo metro e mezzo abbondante è il Dalatias licha.
La cattura degli esemplari (13 squali pinna nera, 7 ventre neri e 4 lanterna del sud) risale a gennaio 2020, da cui lo studio pubblicato questo febbraio sulla rivista Frontiers in Marine Sciences.
La vista diurna e con bioluminescenza del Dalatias licha vista di lato (A) e dorsale (B). La luminescenza della seconda pinna dorsale è indicata dalla freccia rossa. La barra della scala corrisponde a 10 cm. (Image Credit: Jérôme Mallefet et al, Front. Mar. Sci.)


La bioluminescenza ovvero la produzione negli organismi di luce visibile attraverso una reazione chimica, è un fenomeno diffuso tra la vita marina (specie negli invertebrati e organismi planctonici) ma meno nei vertebrati. Anzi finora io associavo la bioluminescenza dei vertebrati marini alle specie abissali immerse nel buio perenne, abitanti della zona afotica (sotto i 1000 metri), mentre questi squali sono tipici abitanti della zona crepuscolare degli oceani.
L'origine della bioluminescenza può essere sia endogena che mediata da batteri simbionti ospitati in speciali organi; nel caso dello squalo l'origine è endogena. Nella pelle di tutte e tre le specie, i ricercatori hanno trovato fotofori, strutture ghiandolari responsabili della produzione della luce mediante reazioni chimiche.
Elemento interessante che in tutti questi squali la produzione della luce è controllata da ormoni e si tratta dell'unico caso noto tra gli animali. L'innesco è mediato dalla melatonina  mentre lo spegnimento è mediato dagli ormoni alfa-melanocitici (α-MSH) e adrenocorticotropi (ACTH).
Lo scopo della produzione del bagliore è ancora oggetto di discussione. Negli animali mesopelagici la bioluminescenza è usata per attirare un compagno o una preda, mimetismo o confondimento (in inglese schooling per indicare il comportamento di masse di pesci singoli ad agire in sincrono dando l'idea di un organismo più grosso e altrettanto elusivo per un predatore). Nel caso di questi squali la difesa (specie per i pinna nera che sono quasi al vertice della catena alimentare) avrebbe solo una utilità limitata, difesa da altri squali più grossi. Probabile che tale mimetismo sia però anche utile ai fini della predazione.
Non a caso la bioluminescenza non è uniforme ma si concentra nella zona ventrale il che per animali che bazzicano i fondali in una zona in cui dall'alto riesce ancora ad arrivare la luce, permette un maggior occultamento rispetto ad una massa scura che oscura il fondale.

Rimane da comprendere però perché la bioluminescenza sia presente, e ben visibile, anche sulla pinna dorsale.
Fun fact. Anche gli umani emettono una debole, ma presente, luminescenza come scoperto da una team di ricerca giapponese. No, non si tratta della ben nota emissione termica visibile con i visori all'infrarosso.

Fonte
- Bioluminescence of the Largest Luminous Vertebrate, the Kitefin Shark, Dalatias licha: First Insights and Comparative Aspects
Jérôme Mallefet et al, Front. Mar. Sci., 26 Feb. 2021




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