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Astemi e chi abusa di alcol a maggior rischio di demenza? Troppe variabili

Il lavoro che cito oggi non è in verità  recente essendo rimasto in "naftalina" dal 2018 in attesa di conferme o smentite da terze parti.
Image credit: ucl.ac.uk.


La ragione prima è che questo genere di studi sono esposti a molteplici varianti la cui non corretta valutazione può portare a conclusioni totalmente fuorvianti e dannose da un punto di vista comunicativo. Dire infatti che l'astemia porta con sé un aumento del rischio demenza simile a quello associato all'abuso di alcool è un concetto comprensibile e razionalizzatile da chi fa ricerca clinica ma fraintendibile per la persona comune.
 
La successiva pubblicazione di un largo studio epidemiologico cinese e quest'anno di altri due lavori chiude di fatto il cerchio arrivando a conclusioni anche opposte, quindi è giunto il tempo di mettere fianco a fianco i vari studi per sottolineare i rischi di conclusioni affrettate, specie nell'indagine epidemiologica.
 
Cominciamo con lo studio britannico del 2018 condotto da un gruppo della UCL e pubblicato sul British Medical Journal.
Condensando il tutto in due righe, lo studio osservazionale condotto su individui di mezza età con "abitudini etiliche" diverse, indicava che sia gli astemi che chi consumava più di 14 unità di bevande alcoliche (la soglia di "consumo normale" in UK) era a maggior rischio di ricevere una diagnosi di demenza negli anni successivi rispetto ai consumatori di alcool nelle categorie intermedie.
Lo studio è importante in un mondo che invecchia, in cui i disturbi neurologici diventeranno parte preponderante della pratica clinica.
Il campione analizzato era costituito da poco più di 9 mila cittadini britannici di età compresa tra 35 e 55 anni, già arruolati all'interno di un maxi studio osservazionale (Whitehall II) finalizzato a misurare l'impatto di fattori sociali, comportamentali e biologici sullo stato di salute a lungo termine.
Nel periodo compreso tra il 1985 e il 1993 i partecipanti furono visitati ad intervalli regolari registrando nel contempo anche il loro consumo dichiarato di alcool.
 A partire dal 1991 si cominciarono a registrare eventuali degenze legate a patologie da alcool, cardiovascolari o diagnosi di demenza.
Tra tutti i partecipanti, i casi di demenza registrati durante il follow-up durato circa 23 anni, sono stati 397 (età media alla diagnosi, 76 anni)
Dopo avere normalizzato per fattori di rischio familiare, sociodemografici, stile di vita e correlati alla salute (ad esempio conseguenti ad altre patologie) il dato che emergeva era che sia astemia che  consumo eccessivo erano di loro un fattore di rischio.
Un dato curioso ma non cosi sorprendente se contestualizzato a studi oramai storici come il classico studio di Tromsø. Verosimile che i fattori di rischio aumentato sottostanti a consumo nullo o eccessivo siano tra loro diversi, ma sul legame causa-effetto ben poco potevano dire i ricercatori (un limite intrinseco agli studi osservazionali); non si poteva nemmeno escludere che gran parte del rischio aggiuntivo fosse legato a fattori confondenti non debitamente pesati.
Lo studio di Tromsø (sia nella versione del 1986 che in una variante successiva del 2011 riferita alla relazione tra alcool e tromboembolismo, TVE) aveva mostrato un certo effetto protettivo contro eventi cardiovascolari associato al consumo basso-moderato di alcool rispetto al non consumo o al consumo eccessivo. Nel dettaglio si osservava una protezione del 22% di eventi TVE nel solo caso di assunzione di vino in dosi  >= 3 unità/settimana (1U= 14 grammi di alcool). Una correlazione, è bene ricordarlo, NON associata al solo alcool ma al "veicolo", vale a dire vino contrapposto a superalcolici o birra.

Nel 2019 un imponente studio cinese pubblicato su Lancet basato su mezzo milione di persone non confermava il nesso causale tra il consumo (minimo) di alcool e l'effetto protettivo. Lo studio in sé era interessante perché sfruttava controlli interni basati su varianti genetiche, comuni in Cina, associate a non tolleranza per l'alcool (quindi un ottimo controllo dei "veri" astemi). Importante sottolineare che il consumo di alcool qui monitorato è riferito a prodotti diversi dal vino, elemento invece centrale per paesi come Francia e Italia.

Arriviamo nel 2021 ed ecco arrivare un nuovo studio in cui si scopre che l'alcool anche a dosi moderate (il classico "un bicchiere al giorno") porta con sé un aumento del rischio di fibrillazione atriale. Anche qui il problema è che si prende in esame la quantità di alcool contenuta in un bicchiere di vino, birra, etc ma non la bevanda in sé (e il vino è qualcosa di molto più complesso dell'alcool etilico in esso contenuto, vedi resveratrolo a antiossidanti vari).

Sempre nel 2021 un altro studio cinese indica che un consumo inferiore a 25 grammi a settimana abbassa il rischio di eventi cardiovascolari, cancro e mortalita generale.

Chiudo con una metanalisi del 2018 su Lancet, che conclude: "la quota di alcool che minimizza il rischio di eventi terzi è pari a ZERO".

Come direbbero in USA, the jury is still out per valutare appieno il rischio legato all'assunzione anche minima di alcool e soprattutto nel caso del vino.


Fonti
Ciascun riferimento bibliografico è in hyperlink all'articolo citato.

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