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Le 9 scoperte astronomiche del 2020

L'anno appena trascorso è stato per forza di cose egemonizzato da tematiche legate alla pandemia ma la scienza è andata avanti in ogni campo. 
Le difficoltà logistiche, tra cui l'obbligo di smart working, hanno paradossalmente creato le condizioni per portare avanti analisi che altrimenti sarebbero state sommerse dalla routine o da altri progetti.
Lo stesso dicasi per chi le notizie le legge. Quale occasione migliore se non il primo mese di un anno si spera diverso per ripercorrere le 9 scoperte (oggi mi limito a quelle in ambito astronomico) più importanti del 2020; notizie di cui non ho accennato in alcun precedente articolo ma che mi ero segnato con l'idea di approfondirle ... in futuro. Il futuro è arrivato, quindi non perdiamo altro tempo



Rilevazione di onde radio “aliene”
Come prevedibile con notizie del genere la maggior parte dei media generalisti ha usato come richiamo sotteso alla parola “onde radio” del comunicato, l’idea alla base del film Contact (esempio di clickbaiting) salvo poi spiegare tra le righe che non era nulla di tutto questo.
Va da sé che le onde radio non sono (solo) uno strumento per trasmettere informazioni ma, semplicemente, onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda maggiore di 1 metro prodotte da sorgenti naturali come stelle e pianeti in determinate condizioni.

Rappresentazione artistica del pianeta Tau Boötes in cui è mostrato il campo magnetico
(Image credit: Jack Madden/Cornell University)

Nel caso della Terra il campo magnetico (originato dai moti dinamici del ferro fluido nel nucleo esterno), tra le altre cose, ci scherma dalle radiazioni e dai venti solari (il povero Marte che ne è privo si è visto spazzare via l'atmosfera).
Nel nostro sistema solare ci sono altri pianeti come Giove che, pur privi di un nucleo ferroso, hanno una magnetosfera ed emettono onde radio ... e di sicuro non sono sede di centri di comunicazione. 

Notizia del 2020 è l'individuazione, la prima in assoluto, di onde radio provenienti da un esopianeta, quindi da un altro sistema stellare. Il segnale è stato tracciato su un pianeta gioviano, il gigante gassoso Tau Boötis b, distante 51 anni luce.
Lo studio del segnale fornirà agli astrofisici uno strumento ulteriore (oltre ai metodi classici) per caratterizzare l’atmosfera del pianeta. 





Flash di raggi X che appaiono nella Via Lattea
Mappa a falsi colori delle "bolle" di raggi X (gialle e rosse) che torreggiano sul centro galattico
 
(Image credit MPE/IKI via Quantamagazine)

E' del 2010 la identificazione dei resti di una enorme esplosione avvenuta milioni di anni fa nel centro della Via Lattea; le "cicatrici" sono visibili nella banda dei raggi gamma come due gigantesche “bolle" di materia ad alta energia chiamate bolle di Fermi, che torreggiano sulla galassia per la bellezza di 50 mila anni luce (25 mila su ciascun lato).
Nel 2020, i ricercatori ne hanno identificate un’altro paio nella stessa regione, questa volta nella banda dei raggi X, correlate alle precedenti, battezzate eROSITA dal nome dello strumento usato.
Schematizzazione della figura precedente per mostrare le bolle eRosita (giallo) e Fermi (porpora)
(Image credit: Max Planck Institute)




Il ritorno di un "disperso"

L'animazione mostra l'orbita dell'oggetto 2020 SO, intercettato dalla gravità terrestre l'8 novembre 2020; rimarrà con noi fino a marzo 2021. 
(Image credit: Phoenix7777)
Per qualche mese la Terra si è accompagnata ad un oggetto diverso dal solito meteorite o cometa che vagano nel sistema, in genere provenienti dalla Nube di Oort. Che fosse diverso lo si è visto subito una volta entrato nel mirino dei telescopi.
Image credit: Credit: ZTF/Caltech Optical Observatories
Dopo un attento esame i ricercatori hanno dedotto che non poteva essere un oggetto naturale (oltre alla forma pareva proprio metallico) ma, si rilassino gli amici di Area 51, non di natura aliena. 
Si tratta infatti di una componente di un razzo della NASA lanciato nel 1966 che dopo avere vagato nel sistema solare (e non così lontano come “V’ger”” del film Star Trek) è tornato a farci visita.


Cerchi radio fantasma
L’immagine fantasmatica in blu/verde è la ORC, mostrata sullo sfondo (nello spettro del visibile) delle galassie . Difficile capire se quella arancione proprio al centro sia parte del ORC oppure in background
(Image credit: Bärbel Koribalski / Dark Energy Survey)
La prima ovvia domanda è cosa accidenti sia una ORC. Si tratta del mero acronimo (tendenza comune negli anglofoni) di Odd Radio Circles vale a dire “strani cerchi rilevati nella banda radio”.
Scoperti con il radiotelescopio nel 2019 e resi noti nel 2020, non se ne conosce l'origine. I ricercatori hanno escluso che si tratti di una supernova o di meri effetti ottici come gli anelli di Einstein
Einstein ring. Al centro la galassia che funge da lente gravitazionale mentre l'anello è una galassia sullo sfondo molto più distante la cui immagine è curvata dalla prima (vedi anche foto recente, 2021, ottenuta da Hubble)
Image credit: Lensshoe_hubble.

Qualcuno, non capisco se in vena di celiare, profondamente convinto o dopo avere visto troppe volte Interstellar, ha ipotizzato che potrebbero essere l’ingresso di un wormhole (teorizzati insieme ai buchi bianchi da E. Flamm nel 1916 e formalizzati da Charles Misner and John Wheeler nel 1957, ma a differenza dei buchi neri, mai osservati)


Un milione di nuove galassie
Il sistema di 36 radiotelescopi che forma l’ASKAP (Australian Square Kilometre Array Pathfinder)
(Image credit: Alex Cherney/CSIRO)

L'ASKAP, un sistema di radiotelescopi sito in pieno outback australiano, è riuscito a mappare l'83% dell'universo osservabile dopo circa 300 ore di osservazioni. Insieme alle mappe sono arrivati molti dati tra cui un milione di nuove galassie.
La novità dello studio è che per la prima volta tutti e 36 rilevatori sono stati utilizzati in contemporanea per un singolo progetto.

Questa è solo una preview del tool interattivo che riassume il lavoro di mappatura. Per la versione completa --> atnf.csiro.au.



Indizio di vita su Venere?
Immagine di Venere ottenuta dalla sonda Mariner 10 nel 1974
(image credit: NASA via virginia.edu)
Nemmeno il cacciatore di alieni più fantasioso, o l’esobiologo più audace, potrebbe mai ipotizzare che ci sia vita in un posto infernale (perfino per i nostri batteri estremofili) della superficie di Venere con le sue temperature da forno di pizzeria, una pressione di 92 atmosfere e le piogge di acido solforico (che invero evaporano prima di raggiungere la superficie).
Il record di permanenza funzionale delle sonde che hanno raggiunto la superficie di Venere spetta alla sonda sovietica Venera 13 con 127'.
Tuttavia, come ci hanno insegnato alcuni scrittori di SF la parte superiore dell’atmosfera non è malaccio … a patto di stare su una mongolfiera oppure di essere microbi sospesi.
Da qui il clamore suscitato dalla rilevazione di fosfina nelle nuvole di Venere.
La scoperta nasce per caso, frutto della fase di rodaggio dei telescopi tarati per cercare la fosfina (ritenuto un biomarcatore) e “addestrati” sul pianeta più vicino con l’idea che tanto non si sarebbe trovato nulla, date le condizioni locali (tra cui la radiazione UV) che la distruggerebbero rapidamente.
La scoperta ha fatto sorgere la domanda: se è presente vuol dire che continua a formarsi e se si forma come si forma?
Nota. La fosfina è un costituente dell'atmosfera terrestre sebbene a concentrazioni molto basse e altamente variabili. E’ parte del ciclo biochimico del fosforo, in primis come risultato del processo di riduzione del fosfato nella materia organica in decomposizione. 
Da notare che è stata rilevata anche nell'alta atmosfera gioviana (altro pianeta impossibile per la vita) il che suggerisce cautela prima di fare affermazioni incongrue sulla vita su Venere. La conclusione più ovvia è che mancano tasselli importanti sui processi abiotici capaci di generare questo gas in quantità apprezzabili.
 
Nota. E' di poche ore fa la notizia che i rilevamenti radio di fosfina potrebbero essere un falso segnale causato dall'anidride solforosa (vedi -->INAF


Una nuova magnetar
Nell’immagine catturata dal telescopio spaziale Hubble, è indicata la  zona in cui è stato rilevato l'insolito segnale luminoso, attribuito alla nascita di una magnetar
(image credit: Hubble Space Telescope / NASA)

Il termine kilonova indica una esplosione di enormi proporzioni(*) successiva alla fusione tra corpi superdensi come stelle di neutroni e buchi neri. Eventi talmente potenti da permettere la rilevazione sulla Terra delle increspature gravitazionali e con esse la prova della esistenze di queste onde
(*) Dal punto di vista dell’emissione luminosa siamo invece ad una media di 1/50 rispetto ad una supernova. Valore non a caso inferiore visto che la massa “in gioco” della stella che origina la supernova è maggiore di quella di un buco nero stellare o di una stella a neutroni, entrambi “residui” di precedenti supernova.
Risale allo scorso 12 novembre l’identificazione di una kilonova, attribuita alla fusione di due stelle di neutroni. Di per sé l'evento, pur interessante e raro, non meriterebbe i titoli in prima pagina essendone stati osservati altri in precedenza.
La peculiarità di questa osservazione è nella particolare emissione di luce che è stata spiegata con la nascita di una magnetar.
Una magnetar è in sostanza una stella di neutroni dotata di un enorme campo magnetico che fornisce l’energia per l’emissione di raggi X e gamma. Le magnetar sono una delle tre forme in cui possono presentarsi le stelle di neutroni; l’altra è la pulsar e infine la più rara, una combinazione delle due. La stella di neutroni si forma solo se la stella originaria (o la risultante della fusione tra due in sistema binario) ha massa di almeno 8 masse solari (Ms)
La massa di una stella di neutroni è >1,4 Ms con un massimo di 2,16 Ms (se rotanti possono raggiungere, forse, valori di 2,6 Ms) oltre i quali l’insieme di pressione di degenerazione e di forze nucleari non è più in grado di impedire il collasso gravitazionale e da qui si forma il buco nero.
Il che mi pone un dilemma di comprensione per spiegare la nuova magnetar formata dalla fusione di 2 stelle di neutroni dato che a somma di due stelle di neutroni eccede il limite massimo oltre il quale c'è per forza il buco nero.
Tra le ipotesi che mi vengono in mente la più semplice è che "la massa eccedente" sia stata espulsa durante l'energetico processo di fusione; in alternativa si tratta di una specie “di canto del cigno” di una stella che collasserà verso il buco nero oppure, con molta più fantasia, che sia diventata una stella di Quark, predetta dalla teoria ma mai trovata.


La fonte dei "Lampi Radio"
Nell’illustrazione, una magnetar emette un lampo di radiazioni
(image credit: Sophia Dagnello, NRAO / AUI / NSF)
Le magnetar possono essere tra le sorgenti di lampi di luce tra i più potenti nello spazio. Questi "lampi radio veloci"  (fast radio burst - FRB), di durata media sotto il millisecondo e nella banda radio, hanno disorientato per anni gli astronomi, intenti a capire come possa essere emessa in così breve tempo una quantità di energia paragonabile a quella emessa dal Sole in più giorni (e senza che tale emissione si associ ad un evento distruttivo della stella come nel caso della supernova).
La quasi totalità delle FRB proviene da altre galassie per cui l'identificazione nel 2020 di una FRB proveniente dalla nostra galassia, a circa 30 mila anni luce da noi, è stata accolta con entusiasmo soprattutto perché ha permesso di scoprirne la stella d'origine, una magnetar.
Questo vuol dire che tutte le FRB originano dalle Magnetar? Per ora non ci sono risposte


Gli alieni che potrebbero vederci
(image credit: NASA / NOAA)
La ricerca di esopianeti ha compiuto passi da gigante da inizio millennio con la conferma di oltre un migliaio (4341 ad oggi) di pianeti confermati, per molti dei quali, oltre ad orbita e caratteristiche strutturali, si può perfino inferire la presenza e le caratteristiche dell'atmosfera. Non attraverso l’osservazione diretta (perfino per i pianeti del nostro sistema sono servite sonde inviate in loco per studiarne i dettagli) ma mediante tecniche terze come la spettroscopia associata al metodo del transito; una procedura possibile solo nel caso in cui il pianeta si trovi in asse tra la sua stella e noi.
Seguendo questo ragionamento gli astronomi si sono chiesti da quali sistemi stellari ipotetici astronomi alieni potrebbero rilevare la Terra e la sua atmosfera. Con questa reverse analysis è stato possibile identificare 1004 sistemi stellari in grado di vedere la Terra da una distanza massima di 326 anni luce. Tra questi c’è una stella distante soli 12 anni luce i cui esopianeti saranno allineati in modo ottimale per "scoprirci" nel 2044.

Ma come disse saggiamente Stephen Hawking sul fatto di mandare segnali e magari trovare qualcuno che risponde: “we should be wary of answering back. Meeting an advanced civilization could be like Native Americans encountering Columbus. That didn't turn out so well”. Anche perchè qualunque entità con una tecnologia capace di coprire questa distanza non potrebbe che vederci che come termiti; organismi capaci di costruire strutture complesse e dotati di una struttura sociale ma con cui nessuno di noi si sognerebbe di scambiare opinioni.
Informazioni aggiornate sul numero e caratteristiche degli esopianeti sono reperibili su Exoplanet Search Program (NASA) o su exoplanetarchive (Caltech). Se invece volete avere un'idea dei metodi usati per identificarli vi rimando alla --> postilla metodologica.
 




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