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Marte. Un destino senz'acqua scritto nel suo "DNA"

Aggiornato 19/2/2022

Fin dagli albori delle osservazioni "ravvicinate" di Marte con i primi telescopi, l'essere umano ha cominciato a fantasticare sulla presenza di acqua nel pianeta arrivando a "vedere" (con Schiapparelli) una vera e propria rete di canali che ne solcavano la superficie. Un errore "umano" dovuto alla scarsa risoluzione degli strumenti e al "volere vedere" i canali (vedi in tal senso l'articolo sulla pareidolia e la nota a fondo pagina).

Esemplare in tal senso il paragone tra le immagini prese dalla sonda Viking 1 che "mostrava" un monte con una faccia (zona di Cydonia Mense) e la stessa area vista infine dal Mars Global Surveyor's (per maggiori dettagli vedi il sito della NASA). 

Con il progresso tecnologico sono iniziate le vere e proprie missioni in loco, prima con lo sguardo dall'alto (le sonde Mariner degli anni '70) e infine con una pattuglia di rover che scandagliano la superficie marziana da una decina di anni (vedi l'articolo sul rover Opportunity). Nel frattempo si sono accumulate le conoscenze sulla geologia e la struttura interna di Marte, una massa di informazioni che ha permesso di teorizzare nel passato del pianeta la presenza di ampi oceani che ricoprivano in buona parte l'emisfero settentrionale; oggi l'acqua permane nelle calotte polari e si evince in altre aree dalla comparsa di canaloni stagionali.

I canali stagionali di Marte. L'immagine è una GIF per cui dovreste vederla "animata". In caso di problemi cliccate sul link originale --> qui (credit: NASA/JPL/Caltech)

Si è però anche avuta la conferma che il pianeta aveva perso il suo campo magnetico (troppo piccolo per mantenere un nucleo "attivo" come lo hanno Terra e Venere) e con esso lo schermo dai venti solari che, inesorabili, hanno spazzato con il tempo gran parte dell'atmosfera, favorendo così anche l'evaporazione dell'acqua. Sebbene pertinente questa considerazione ha un punto debole che viene da Venere; il pianeta pur non avendo un campo magnetico ed esposto ad un vento solare nettamente più forte di quello che colpisce Marte, è dotata di una atmosfera molto densa. Questo dato implica che la magnetosfera è solo uno degli elementi che determina il destino dell'atmosfera planetaria (gli studiosi quantificano l'effetto in un 30%). 

Uno studio pubblicato nel 2022 che descrivo alla fine dell'articolo fornisce una spiegazione sul perché il moto convettivo si sia spento e con esso il campo magnetico.

Vedi in merito l'articolo precedente sulla relazione massa planetaria e capacità di trattenere gas atmosferici e in rete la descrizione della Jeans escape e un bel sito con un poco di matematica facile attinente all'atmospheric leakage.

Il tassello (definitivo?) sulla ineluttabile aridità del pianeta (predestinato dalla nascita pur in presenza di una "infanzia" acquatica) viene da uno studio di qualche anno fa che indicava nella geologia del pianeta, nello specifico nei basalti, il vero vulnus causale della scomparsa degli oceani.

Affrontiamo il problema acqua in modo pragmatico, con una domanda semplice: dove è finita l'acqua?
La prima teoria formulata (vedi sopra) è che questa sia andata persa nello spazio quando i cambiamenti nelle profondità interne di Marte causarono il collasso del suo campo magnetico. Ciò permise alle particelle ad alta energia e ai campi magnetici del vento solare di colpire, spazzandola, l'alta atmosfera del pianeta; con il crollo della pressione atmosferica (oggi poco meno dell'1% di quella terrestre) anche il "pesante" vapore acqueo si sarebbe perso con il tempo. Questa teoria ha solide fondamenta teoriche ma anche un punto debole: nell'infanzia marziana, si stima fossero presenti tra 20 e 200 milioni di chilometri cubi di acqua, il 10% degli oceani terrestri attuali (1,3 miliardi di chilometri cubi) ma pur sempre un volume importante, soprattutto data la minore dimensione del pianeta.


Video della NASA in cui si ricostruiscono gli antichi oceani marziani (--> video nella forma estesa)

Cominciamo a semplificare il problema con un assunto semplice. L'acqua scomparsa può avere preso solo due direzioni: su (verso lo spazio) o giù (nel sottosuolo).

I dati ottenuti dal MAVEN - Mars Atmosphere and Volatile Evolution (missione di esplorazione spaziale della NASA, parte del Programma Mars Scout, con satellite in orbita dal 2014) indicano che la velocità di evaporazione verso lo spazio non si accorda alle tracce geologiche (ad esempio nell'erosione) che indicano una perdita molto più veloce. Deve quindi esserci stato un contributo complementare, decisivo per la scomparsa dell'acqua. 

Sebbene alcune teorie ipotizzino che gran parte dell'acqua mancante sia intrappolata nel permafrost del suolo marziano (secondo alcuni ci sarebbero laghi sotto le calotte polari), una teoria proposta nel 2017 in un articolo pubblicato sulla rivista Nature, prevede che gli oceani siano stati letteralmente "succhiati" verso l'interno dalla particolare chimica dei basalti posti sul fondale oceanico.

La chiave di volta per comprendere questa teoria è nella composizione del mantello del pianeta (da cui origina il magma), ricco di ferro. Quando Marte era ancora vulcanicamente attivo (si ipotizza che l'ultima eruzione sia avvenuta un centinaio di milioni di anni fa) l'incontro tra la lava ricca di ferro e l'acqua superficiale avrebbe favorito alcune reazioni chimiche di per sé non molto diverse da quelle  terrestri. Ma il basalto marziano (dati confermati dai rover che scandagliano la superficie di Marte) avrebbe il doppio del ferro rispetto a quello terrestre con il risultato della formazione di rocce idrate  ricche di ferro. Secondo i calcoli degli autori dello studio, supponendo una certa efficienza nella reazione acqua-rocce, diventa reale la possibilità che un oceano profondo 3 km ricoprente l'intera superficie marziana (ipotesi estrema visto che ricopriva solo una parte) possa essere  stato "catturato" dalle rocce basaltiche, nei tempi previsti.

Con il tempo le colate laviche avrebbero seppellito le precedenti, spostandole sempre più verso l'interno dove sarebbero state nuovamente fuse. Un processo simile a quello che avviene sulla Terra ma con una differenza. Mentre da noi questa nuova amalgama genera magma arricchito di acqua che dalla litosfera torna verso la superficie, la diversa chimica delle rocce marziane avrebbe favorito il processo inverso cioè un ulteriore perfusione dell'acqua verso il basso fino a raggiungere il mantello da cui non poteva più riemergere.
Di conseguenza Marte sarebbe stata condannata fin dalla sua "culla" ad un futuro privo di acqua.

Il risultato sottolinea come la chimica delle rocce abbia ancora più importanza del previsto. Sono sufficienti piccole variazioni (su scala planetaria), come la quantità di ferro, perché si abbia un effetto sproporzionato nel decidere il destino di un pianeta del tipo se la superficie del pianeta potrà trattenere l'acqua per un periodo di tempo sufficiente al "tiro di dadi" che prima attiva la scintilla biotica e poi consente lo sviluppo di organismi pluricellulari.

L'interno di Marte in un 1' (video credit: NASA/JPL)

La scoperta non ha solo valenza per la comprensione dell'evoluzione del nostro vicino planetario ma fornisce informazioni utili allo studio degli esopianeti, in particolare nella predizione di quali siano i candidati migliori per ospitare la vita. Non basta trovarne uno alla giusta distanza dalla giusta stella, delle giuste dimensioni e atmosfera, e con tettonica attiva. Deve avere una composizione particolare del mantello affinché sia capace di mantenere per un tempo "sufficiente alla vita" le risorse chimiche (acqua, etc) presenti sulla superficie.

Ultima in ordine di tempo la recentissima osservazione (articolo pubblicato su Science 2 settimane fa) in cui i ricercatori evidenziano come un ulteriore contributo alla perdita di acqua (tuttora in atto) viene dalle stagionali tempeste di sabbia, talmente estese ed impetuose che possono trasportare le polveri fino a 100 km di altezza e con essa il vapor acqueo, facilitando così la sua perdita nello spazio (vedi "Martian dust storms parch the planet by driving water into space"). 


Perché Marte perse il suo campo magnetico
Un recente studio pubblicato su Nature Communications ("Stratification in planetary cores by liquid immiscibility in Fe-S-H") cerca di rispondere a questa domanda.
Partiamo dalla Terra dove il campo magnetico è dovuto alle correnti convettive dovuto ad un nucleo interno  composto da una zona "solida" e da una parte più esterna liquida a cui la trasmissione del calore innesca i movimenti convettivi secondo schemi generati dalla somma di rotazione del pianeta ed effetto Coriolis.
Nota. La magnetosfera terrestre non è in realtà sferica in quanto il vento solare la "modella" dandogli una forma asimmetrica. 
 Image Credit: NASA
Si suppone che sugli altri pianeti la magnetosfera (quando presente) debba avere una origine simile. Nel caso di Marte la comprensione è limitata dall'avere poche informazioni sulla sua composizione interna; i dati ottenuti dall'analisi dei meteoriti suggeriscono che il suo nucleo sia ferro fuso arricchito di zolfo. Dati più recenti ottenuti grazie all'analisi delle onde sismiche marziane rilevate dalla sonda InSIGHT, ci dicono che il nucleo marziano è in realtà più grande e meno denso di quanto finora ipotizzato. Un dato che implica la presenza nel nucleo di elementi leggeri come l'idrogeno.
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 Image Credit: By Andrew Z. Colvin via universetoday.com

Una tale correzione nella composizione ha permesso di rifare esperimenti di simulazione sulla Terra con i quali cercare di capire perché il campo magnetico del pianeta si è spento. Esperimenti necessari perché i precedenti mancavano proprio della presenza dell'idrogeno.
Le teorie sulla genesi planetaria ipotizzano che l'acqua sia stata inglobata in modo analogo sulla Terra e su Marte durante la fase di accrescimento, per cui anche l'idrogeno dovrebbe farne parte. Nonostante la sua importanza teorica, finora il sistema Fe-S-H è stato meno studiato rispetto al sistema Fe-S alle alte pressioni.
I ricercatori hanno preparato un campione di materiale che riproducesse quello che compone il nucleo di Marte (ferro, zolfo e idrogeno) posizionandolo all'interno di un dispositivo noto come Diamond Anvil Cell (DAC). In poche parole il campione in studio viene compresso tra due piccole piastre diamantate (il motivo è che i diamanti resistono a pressioni estreme, simili a quelle che li hanno generati all'interno della Terra.
Il DAC può sottoporre campioni microscopici a pressioni di centinaia di gigapascal, con in più il riscaldamento effettuato da un laser in modo da similare le condizioni del nucleo marziano. In queste condizioni, il campione è stato analizzato ai raggi X e con elettroni per monitorare cosa succedeva al materiale in queste condizioni. Hanno così osservato che il campione Fe-S-H non solo si scioglieva ma cambiava di composizione che determinava la sua immiscibilità. 
Da qui l'idea che l'immiscibilità di Fe-S-H ad alte temperature e pressioni ha svolto un ruolo significativo nella storia planetaria marziana.
Vediamo un poco più in dettaglio che cosa significa. Il Fe-S-H, inizialmente omogeneo, una volta sottoposto alle precedenti condizioni si separa in due liquidi distinti. Uno dei liquidi era ferro arricchito di zolfo mentre l'altro era arricchito di idrogeno. In queste condizioni, nel nucleo marziano il liquido più denso sarebbe rimasto confinato nella parte più profonda, mentre quello leggero verso l'esterno. Questo in condizioni normali avrebbe generato le correnti convettive, ma in questo caso si è dedotto che nel punto di separazione tra i due si è avuta una stratificazione stabile che ha "spento" ogni possibilità di corrente convettiva. Senza convezione anche la magnetosfera viene meno e cascata inizia il fenomeno di perdita atmosferica di cui si è detto in presenza.
 Image Credit: Yokoo et al. 202 via universetoday.com

Si sapeva già che la convezione su Marte era cessata circa 4 miliardi di anni fa; oggi si capisce anche perché e ancora di più che il destino di pianeta "morte" fosse scritto nel suo "DNA" cioè nella sua composizione.


Fonti
- Dust storms on Mars propel water's escape to space
Science (nov. 2020)
- The divergent fates of primitive hydrospheric water on Earth and Mars
Jon Wade et al, Nature volume 552, pages391–394(2017)
- Is Mars still volcanically active? New study says maybe
earthsky.org
- The mystery of Mars’ interior
seis-insight.eu 
- Stratification in planetary cores by liquid immiscibility in Fe-S-H
S. Yokoo et al, Nature Communications 13: 644 (2022)


***

Nota. I canali marziani descritti da Schiapparelli (per come vennero percepiti dal grande pubblico) furono il frutto di un doppia coincidenza. In primis la risoluzione dei telescopi permetteva di avere una vaga idea della superficie del pianeta e questo portò ad errori interpretativi di cui quello mostrato ad inizio pagina è solo un esempio recente. Il cervello riempie le informazioni mancanti in modo che per lui abbia senso (oltre all'articolo sopra citato - C'è chi vede la faccia di Elvis in un toast - ne ho scritto anche in "... chi vede gli occhi su un pallone").

Il secondo errore è da attribuire ad un astronomo americano Percival Lowell, estimatore di Schiapparelli, che tradusse erroneamente la parola "canali" in "channels" (canali artificiali) invece che con "canals" (canali naturali). Basta leggere il commento dell'italiano alle proprie osservazioni per vedere che lui non si riferiva a canali creati dai marziani:
«Piuttosto che veri canali della forma a noi più familiare, dobbiamo immaginarci depressioni del suolo non molto profonde, estese in direzione rettilinea per migliaia di chilometri, sopra larghezza di 100, 200 chilometri od anche più. Io ho già fatto notare altra volta, che, mancando sopra Marte le piogge, questi canali probabilmente costituiscono il meccanismo principale, con cui l'acqua (e con essa la vita organica) può diffondersi sulla superficie asciutta del pianeta»
(Giovanni Schiaparelli, La vita sul pianeta Marte, dal fascicolo n°11 - Anno IV della rivista Natura ed Arte, maggio 1895, cap.I)
La mappa pubblicata da Schiapparelli nel suo articolo del 1888

Vero anche che Schiapparelli non fece molto per smontare le idee di Lowell, tanto che nel 1895 pubblicò l'articolo "la vita su Marte" in cui in modo molto divertente (e sicuramente divertito) racconta di come la struttura deputata all'organizzazione dei canali fa capo al Gran Prefetto dell'Agricoltura che nella stagione dello scioglimento dei ghiacci da l'ordine di aprire le chiuse dei canali. Insomma i marziani come un popolo di idraulici.
Non è un caso se nella sua copia del libro conservata presso l'osservatorio di Brera lui abbia scritto una nota illuminante "semel in anno licet insanire" (una volta all'anno è lecito fare pazzie).




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