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Perché alcuni suoni sono capaci di evocare attenzione ed allarme nel nostro cervello

In presenza di un pericolo incombente l'essere umano avvisa chi è vicino urlando. Perché il segnale di allarme sia efficace, induca cioè uno stato di attenzione immediato  in chi lo riceve, quello che conta non è, solo, la sua intensità ma la frequenza del suono (in senso fisico, cioè la frequenza dell'onda sonora).

 Non si tratta, ovviamente, di una caratteristica limitata al genere Homo e nemmeno ai soli primati. Molti animali sociali (e questo di fatto esclude gran parte dei rettili), dagli scimpanzé agli uccelli, emettono in caso di bisogno segnali di allarme caratterizzati da suoni rapidi e ripetitivi, di cui l'urlo umano è una variante.

I segnali di allarme delle auto, le sirene della polizia, i rilevatori di fumo e ...  le urla dei bambini non sono semplicemente rumorose. Tutte queste hanno la particolarità di avere frequenze tra  40 e 80 Hz.

Da qui la domanda su cosa abbiano di così particolare questi suoni da attirare l'attenzione anche dell'individuo più distratto e resiliente all'azione. La risposta va cercata in cosa succede nel cervello quando capta questi suoni.

Un compito, quello della decodifica dei segnali neurali attivati da questi suoni, a cui si sono dedicati i ricercatori dell'università di Ginevra, con un approccio sistematico: 

  1. esporre volontari ad una gamma di suoni diversi (ampiezza, frequenza, ...) fino ad identificare i parametri che inducono una sensazione di sgradevolezza e allerta;
  2. tracciare a livello cerebrale le aree e le reti neurali che si attivano in concomitanza con la comparsa di tale sensazione.

I risultati di tale studio, pubblicati sulla rivista Nature Communications, hanno mostrato che non solo il suono "allertante" attiva il classico circuito di elaborazione del segnale sonoro (che dall'orecchio interno va alla corteccia uditiva, di fatto le aree di Brodmann 41 e 42) ma vengono sollecitate anche le aree corticali e subcorticali coinvolte nell'attivazione dell'attenzione e in quelle del pericolo. Un risultato che spiega perché il cervello entri in uno stato di allerta reattiva nel momento stesso inn cui percepisce questi suoni.

Di seguito la sintesi dei punti chiave dello studio.

I ricercatori hanno esposto 16 pazienti epilettici (vedremo poi perché proprio loro)  ad una gamma di suoni ripetitivi, con frequenza compresa tra 0 e 250 Hz, fino ad identificare la soglia di fastidio prima e di "insopportabilità" poi (relativa al soggetto e non, sia chiaro, a soglie capaci di causare alcun danno fisico... impossibile del resto per la gamma di suoni usati). Nello specifico l'esperimento è avvenuto in due fasi. Nella prima fare si è chiesto ai partecipanti di segnalare quando la percezione del suono cambiava da "rugoso/ruvido" (suoni distinti l'uno dall'altro) a fluido/uniforme (si percepisce un unico suono, evento tipico quando le frequenze superano una certa soglia).

Nota. L'orecchio degli esseri ha una soglia dettata dalla capacità di processamento dei suoni, per cui suoni troppo ravvicinati non sono più distinguibili come "molteplici". Si tratta di una conseguenza della particolare struttura trasduttiva del nostro orecchio capace di captare suoni tra 20 e 20 mila Hz (già in fase adulta il limite scende a 16 kHz). Altri animali (ad esempio i cani) sono sono in grado di captare anche gli ultrasuoni. Da notare che gli infrasuoni, pur non percettibili in modo conscio dagli umani sembrano capaci di evocare sensazioni negative


Sulla base delle risposte, i ricercatori identificarono in 130 Hz il limite superiore della ruvidità del suono, al di sopra del quale il suono veniva percepito come continuo. 

La domanda successiva era comprendere perché mai il cervello giudicasse sgradevoli i suoni ruvidi? A tale scopo si chiese ai partecipanti di ascoltare suoni a diversa frequenza, classificandone la sopportabilità su una scala da 1 a 5, da sopportabile a insopportabile. I suoni che emersero come insopportabili avevano frequenze tra 40 e 80 Hz, non a caso la gamma di frequenze utilizzate dagli allarmi ... e dai neonati. Una delle caratteristiche più importanti di queste frequenze è che sono percepibili a distanza, un elemento evidentemente importante nella selezione di quali suoni usare per massimizzare l'efficacia dell'allarme (quindi la sopravvivenza).

Tecnicamente quello che avviene è che se l'intervallo tra un suono e l'altro scende sotto i 25 millisecondi, il cervello non è in grado di anticiparne "l'arrivo" per cui i circuiti di soppressione sonora (evidenti quando smettiamo di accorgerci di un suono che pur persiste) smettono di funzionare: ecco perché non si può ignorare il pianto di un neonato o l'antifurto della macchina sotto casa che nelle sere d'estate rischia di indurre chi abita in zona a gesti sconsiderati.

Il passo successivo era comprendere cosa avviene nel cervello quando elabora i segnali derivanti da queste frequenze. Qui la procedura si è fatta più invasiva, dato l'utilizzo della EEG intracranica, tecnica solitamente usata per mappare nei pazienti epilettici le aree in cui sorgono i "cortocircuiti" neurali. 

Ecco spiegata la ragione del coinvolgimento (volontario) nello studio di individui affetti da epilessia intrattabile per cui era già previsto tale esame diagnostico. 

I risultati ottenuti hanno permesso di capire che quando  il suono viene percepito come continuo (frequenza superiore a 130 Hz), si attiva solo il circuito neurale classico che porta all'elaborazione di quanto udito (la corteccia uditiva nel lobo temporale superiore). Al contrario quando i suoni vengono percepiti come ruvidi (in particolare a frequenze tra 40 e 80 Hz) si attiva una risposta neurale prolungata che coinvolge un numero ben maggiore di regioni corticali e subcorticali che non fanno parte del circuito uditivo convenzionale. Tra le aree attivate ci sono l'amigdala, l'ippocampo e l'insula, tutte aree, guarda caso, in prima fila nelle risposte che evocano attenzione, avversione e dolore. Facile capire ora come mai questi suoni hanno una tale capacità di attenzionare e indurre all'azione chi è in ascolto.

I suoni percepiti come fluidi o ruvidi attivano diverse reti cerebrali. Mentre i primi inducono risposte principalmente nel sistema uditivo "classico", quelli ruvidi attivano una rete cerebrale più ampia coinvolta nell'elaborazione dell'avversione e della salienza (image credit: UNIGE.ch)

Si tratta del primo studio su umani in cui viene dimostrata la capacità di alcune frequenze di attivare aree neurali chiave.

I dati ottenuti saranno di sicuro interesse per lo studio di alcune malattie che hanno la particolarità di generare risposte cerebrali anomale quando i soggetti si "imbattono" in suoni  a 40 Hz. Tra le patologie che presentano questa anomala risposta vi è l'Alzheimer, l'autismo (ben nota la loro non sopportazione di particolari suoni) e la schizofrenia. Dallo studio delle reti neurali anomalmente attivate a queste frequenze, si spera di sviluppare metodi per una diagnosi precoce (e sicura) della malattia, al posto di altre procedure nettamente più complesse.

Fonte
- The rough sound of salience enhances aversion through neural synchronisation
Luc H. Arnal et al, Nat. Comm, (2019) 10:3671



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