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Il cioccolato fa bene al cuore?

Nel precedente articolo si è parlato dei potenziali vantaggi di un integratore a base di cacao, fitosteroli e grassi omega-3.
Completo oggi idealmente il tema parlando del cacao e in particolare dei suoi effetti benefici sia sull'umore (innegabili) che nella prevenzione di malattie metaboliche, effetti questi ultimi a lungo ipotizzati ma mai inequivocabilmente dimostrati.

Gli effetti benefici del cioccolato (diverso dal cacao essendo il primo un derivato più o meno puro del secondo, arricchito come è di grassi e zuccheri) sono principalmente da attribuire ad un mix di polifenoli, in particolare i flavonoidi, responsabili dell'azione antiossidante. Il cacao e il cioccolato dark forniscono in una singola "dose" una quantità di tali sostanze ben superiore a quella presente in té, mele o vino rosso.
Semi di cacao
Effetti sottolineati da diversi studi epidemiologici in cui si è osservata una certa correlazione tra l'assunzione dei flavonoidi e la riduzione sia del rischio generale di patologie cardiovascolari che della mortalità ad esse associate.
Un esperimento condotto recentemente su topi geneticamente obesi alla cui dieta è stato aggiunto cacao come supplemento nutritivo (rispetto ai controlli) ha mostrato la riduzione della insulino-resistenza, un marcatore che anche negli esseri umani precede la comparsa del diabete di tipo 2. A questo studio è seguita una indagine preliminare negli esseri umani, centrata cioè su un campione ridotto di volontari, affetti da ipertensione e insulino-resistenza, che ha di fatto confermato i risultati ottenuti nei topi.
E' bene ricordare che la complessità di questi studi non è tanto da un punto di vista sperimentale quanto per l'enorme numero di variabili di cui bisogna tenere conto nella valutazione dei risultati. Il numero di soggetti da analizzare affinché la forza statistica dell'analisi sia tale da minimizzare i fattori di confondimento sottostanti (età, genetica, stato di salute, sesso, ambiente, attività fisica, etc etc) deve essere necessariamente molto alto. Soprattutto nel caso del cacao (ma anche di altri prodotti alimentari) dove non esiste una singola molecola responsabile dell'effetto cercato, ma un mix di molecole poco caratterizzate.

Una prima risposta alla necessità di studi più ampi viene dal lavoro pubblicato sul British Journal of Nutrition da un team internazionale coordinato dalla università di Warwick. Lo studio di tipo osservazionale ha coinvolto un migliaio di lussemburghesi di età compresa tra 18 e 69 anni scelti in quanto già sotto controllo medico per rischio cardiovascolare; ciascun partecipante venne invitato a compilare un questionario dettagliato sulle sue abitudini alimentari e di vita, incrociato successivamente con i risultati delle analisi di laboratorio sullo stato dei marcatori metabolici. La ragione della scelta della popolazione lussemburghese come campione d'esame nasce dalla necessità di usare un campione sufficientemente omogeneo da un punto di vista genetico e delle abitudini socio-alimentari.
L'ipotesi di partenza da verificare (o smantellare) era che i flavonoidi avessero un effetto benefico sulla sensibilità delle cellule all'insulina e/o sull'attività degli enzimi epatici.
Nota. Una precisazione per chi non fosse addentro ai metodi della ricerca scientifica e all'analisi statistica. Per verificare una teoria si parte da una ipotesi e si costruisce una serie di test per verificare la probabilità che tale ipotesi sia falsa. Nella scienza NON si dimostra mai che qualcosa sia vero ma la probabilità di sbagliarsi nel considerare una ipotesi come falsa. Può sembrare un metodo controintuitivo ma è il modo più rigoroso di procedere; la scienza non è una religione fatta di dogmi e assunzioni aprioristiche; si procede come si farebbe procedendo lungo un percorso con scarsa visibilità, tastando il terreno primo di compiere ogni svolta. Non si imbocca una strada se il terreno è cedevole anche se si è convinti di vedere qualcosa alla fine del sentiero.
Riassumendo in una sola frase i risultati dello studio si potrebbe dire che il vecchio adagio "mangiare quello che piace fa bene" ha un fondamento di verità. Nello specifico, non solo mangiare cioccolato è utile per prevenire il diabete di tipo 2  ma l'effetto è maggiore mangiandone molto.
Cosa vuole dire "molto"? Nel caso del cioccolato si parla di circa 100 grammi al giorno, di fatto una tavoletta intera di prodotto. Troppo anche per chi come me va ghiotto del cioccolato ultra-dark, quello al 99 per cento per intenderci.
Il questionario fornito ai partecipanti allo studio era particolarmente specifico nella valutazione del cioccolato consumato (sia per quantità che per tipologia) nei 3 mesi precedenti. Per quantificare al meglio la "dose" di cacao assunta (e degli eccipienti spesso molto calorici associati) venne fornito insieme al questionario un manuale fotografico con tutte le diverse tipologie di prodotti in commercio.
E qui va sottolineato un concetto importante su cioccolato (prodotto complesso) e il molto più salutare (in quanto a grassi e zuccheri presenti) cacao; non a caso quando si parla di cioccolato come antiossidante benefico nella dieta ci si riferisce non semplicemente a quello fondente ma soprattutto a quello ad alta purezza (almeno il 70 % anche se idealmente bisognerebbe consumare solo dall'80% in su e meglio ancora quelli ultrapuri ed amari al 99%). 

In effetti il valore di 100 grammi può essere fuorviante in quanto è in realtà il prodotto del metodo statistico usato dai ricercatori, la regressione multivariata. Un metodo che porta ad estrapolare il valore, teorico, associato alla massimizzazione del beneficio in base ai dati sul consumo medio dei diversi partecipanti.
Il cioccolato è sempre meno un taboo nella
dieta dei diabetici (attenzione però, si parla
sempre di cioccolato "vero" e non dei suoi
derivati ad alto contenuto di zuccheri e grassi)

Il consumo medio di cioccolato dei partecipanti era di 28,4 grammi/giorno con estremi compresi tra un minimo di 0,66 ed un massimo di 500 g/giorno (dei veri golosi questi ultimi!!). I dati sono stati normalizzati tenendo conto di stile di vita, dieta e consumo di tè e caffè (entrambi ad alto contenuto di polifenoli).
Se da una parte l'analisi dei dati ha mostrato che in effetti chi consuma cioccolata mostra una glicemia inferiore e insulina sotto controllo, rispetto a chi ne mangia poco o niente, il valore di 100 grammi al giorno viene fuori dalla analisi di regressione.

L'analisi dei dati ci porta ad altri elementi di interesse ma anche di cautela su come interpretarli. Esiste infatti una curiosa correlazione tra livello di istruzione, età e consumo di cioccolata; il fatto che le persone più istruite, non anziane e attente alla forma fisica siano anche quelle che consumano più cioccolata implica de facto l'introduzione di elementi confondenti. Il consumo di cioccolato potrebbe essere infatti "un effetto associato" al profilo di chi per caratteristiche socio-culturali e anagrafiche si tiene in forma, e non la causa prima del benessere. Vero che i ricercatori hanno tenuto conto di questo problema e lo hanno neutralizzato nella statistica ma è un dato di fatto di cui tener conto.

Saranno necessari ulteriori studi osservazionali su un numero di soggetti molto maggiore per potere giungere ad una "sentenza" definitiva. Non una sentenza di colpevolezza o beatificazione beninteso; è oramai acclarato che il cioccolato migliora l'umore e NON provoca la comparsa di brufoli, (al netto di allergie personali) e quindi non presenta sostanziali controindicazioni se si tiene conto del suo potere calorico. Rimane da capire però QUANTO faccia bene e se sia veramente utile come adiuvante in alcune malattie metaboliche.
Una considerazione quest'ultima non secondaria alla luce della sempre maggiore diffusione del diabete dell'adulto anche in quei paesi dove fino a pochi anni tale malattia era sconosciuta e dove l'alimentazione eccessiva e di uno stile di vita non proprio centrato sull'attività fisica, sta creando un cortocircuito letale insieme all'invecchiamento della popolazione.

Fonte
- Daily chocolate consumption is inversely associated with insulin resistance and liver enzymes in the Observation of Cardiovascular Risk Factors in Luxembourg study
A. Alkerwi et al, British Journal of Nutrition Br J Nutr. (2016) 17:1-8.

- What foods can help fight the risk of chronic inflammation?
University of Liverpool, news

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