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Ha senso fare studi clinici su trattamenti che mancano di basi scientifiche?

Il termine medicina alternativa è un termine fuorviante. L'alternativa alla medicina è infatti la non-medicina, cioè la non-cura basata su criteri di scientificità. Mi si obbietterà che il termine vuol indicare trattamenti diversi rispetto a quelli della medicina ufficiale basata sulla farmaceutica e sulla chirurgia. Ma anche in questo caso il termine non è corretto in quanto l'unico requisito che deve avere una terapia è quello di funzionare e di fornire un beneficio al paziente. Questi ultimi due termini sono essenziali per capire il punto centrale dello scontro ideologico; un trattamento deve funzionare in modo riproducibile e avere un rapporto beneficio/rischio aggiuntivo nettamente maggiore di 1.
Una terapia non necessita di una conoscenza dettagliata per essere considerata. E' altrettanto vero però che una terapia mai testata prima deve avere delle solide basi razionali se si vuole decidere di testarla.
  • Un trattamento ipotetico basato sull'olio estratto da una pianta sconosciuta, di cui si ignorino i principi attivi, ma di cui si abbiano chiare evidenze della sua attività cicatrizzante non è medicina alternativa ma un trattamento basato su dati accumulatisi nel tempo.
  • Una ipotetica terapia che dimostrasse l'azione benefica sull'acne giovanile dei raggi lunari in una notte di plenilunio, purché depauperata della componente "effetto-placebo", potrebbe perfino essere considerata valida se l'effetto fosse provato anche se non se ne capisse il meccanismo.
Se un trattamento funziona almeno tanto bene (e sul lungo termine) di un intervento chirurgico o di una pastiglia, questa è medicina e non medicina alternativa.

Ma è proprio sul punto centrale della riproducibilità che la discussione si distacca da una discussione semantica e diventa un vero e proprio confronto tra trattamenti validati e non validati. Senza questa evidenza non si può parlare di medicina o conoscenza tout-court.
La ricerca dell'evidenza è compito del metodo sperimentale che crea le condizioni affinché sia possibile distinguere ciò che appare funzionare da ciò che funziona. O come avviene in molti casi, identificare semplicemente ciò che sembra funzionare ma non in modo riproducibile e quindi è per definizione non prevedibile. Se manca la prova della efficacia, allora il trattamento, anche se teoricamente ineccepibile, non è "vendibile" a terzi come terapeutico o peggio ancora come un'alternativa ad altri trattamenti ancorché poco efficaci.

In medicina il compito di distinguere tra ciò che è e ciò che non è, è svolto dalla sperimentazione clinica (vedi QUI) ed è proprio questo il punto dolente della omeopatia e di tutti i trattamenti che nell'accezione comune rientrano entro i termini medicina complementare e alternativa (CAM) e medicina integrativa (IM).
Medicina integrativa è un termine più usato in UK che da noi ed indica un approccio che mischia medicina alternativa con la medicina basata sull'evidenza. I fautori sostengono che si tratta di curare "tutta la persona" e non solo i sintomi, mettendo l'accento sul rapporto medico-paziente. Questo approccio è stato sottoposto a pesanti critiche in quanto potenzialmente in grado di compromettere l'efficacia della medicina tradizionale includendo rimedi alternativi inefficaci,
In effetti negli ultimi 20 anni molti sono stati gli studi clinici iniziati con lo scopo di dimostrare l'efficacia dei metodi alternativi. Il problema è che molti di questi studi hanno usato punti di partenza errati e fuorvianti, in grado di minare alla base il concetto stesso di studio clinico. Il risultato è stato quello di alterare un metodo rigoroso con assunti pseudoscientifici. 

Per chiarire meglio il punto, cominciamo con un esperimento mentale.

Immaginate che qualcuno vi stia descrivendo un trattamento che si fonda su due principi. Il primo principio afferma che i sintomi devono essere trattati con composti che sono in grado di indurre gli stessi sintomi in soggetti asintomatici. Il secondo principio afferma che se diluisci serialmente il principio attivo alla base del trattamento, il trattamento stesso diventerà più forte. E non parliamo di diluizioni minime ma di numeri anche dell'ordine di 10^60, un valore di molti ordini di grandezza maggiore rispetto alla costante di Avogadro, ad indicare che la possibilità che sia rimasta una singola molecola di composto è quasi nulla. Dato questo, è ragionevole credere che tali rimedi abbiano una qualche probabilità di essere efficaci? E in subordine, è etico testarli all'interno di uno studio clinico randomizzato (RCT)?
L'esempio non è casuale dato che quanto sopra descritto è l'omeopatia, un approccio sviluppato da Samuel Hahnemann circa 200 anni fa e basato sulle teorie del vitalismo e altre idee prescientifiche.
Facendo una ricerca su PubMed per i termini "studio clinico randomizzato omeopatia" compaiono più di 400 referenze, molte delle quali sono delle review del campo. Le restanti tuttavia si riferiscono a RCT, quindi a studi in cui sarebbe stato lecito attendersi che l'ipotesi da verificare fosse sostanziata. 
Tra questi i più famosi (o famigerati?) sono due studi (randomizzati, in doppio cieco e controllati con placebo) per il trattamento di diarrea acuta infantile in Nicaragua e Honduras, rispettivamente. Nei due studi i rimedi omeopatici testati erano diversi e riguardavano diluizioni 10^60 volte di miscele contenenti sostanze tra cui Arsenicum album (triossido di arsenico), Calcarea Carbonica (carbonato di calce), camomilla, estratti della pianta podophyllum e mercurio metallico. Risultati? Uno studio ha riportato un beneficio statisticamente discutibile mentre l'altro, successivo e più rigoroso, non ha trovato alcun beneficio. Eppure, ed è questo il vulnus, entrambi gli studi sono stati condotti sebbene non vi fossero evidenze che i rimedi proposti nella sperimentazione avessero alcuna efficacia reale per la diarrea infantile. Anzi, due degli ingredienti usati, arsenico e mercurio, decisamente tossici, sono stati di fatto diluiti fino alla non-esistenza.
Nota. Non è l'elemento "sostanza tossica" ad essere centrale quanto il fatto che la molecola sia stata diluita alla non-esistenza. Molti altri sono gli esempi di sostanze sedimentatesi nella pratica medica antica, allora ovviamente ignote, caratterizzate solo in tempi recenti. I due esempi classici sono quelli del salicilato (estratto dal salice) e dell'arsenato presente in alcuni ingredienti della medicina tradizionale cinese. Nel primo caso il prodotto moderno ottenuto è l'aspirina, che tra l'altro funziona meglio rispetto ai prodotti di nuova generazione estremamente purificati (un caso che indica come la somma eccipienti e prodotto attivo dia un risultato maggiore della somma delle singole parti). Nel secondo caso, l'arsenato è stato scoperto quando si è andati ad isolare gli elementi attivi dei prodotti usati; una scoperta che ha permesso di ottenere un'arma efficace per il trattamento dei casi di leucemia promielocitica acuta resistenti al trattamento con acido retinoico.
Se si parte dal concetto di una diluizione infinita, allora non è irragionevole attendersi che i risultati del RCT non potranno essere positivi e daranno luogo nel migliore dei casi a dati incerti (qualora esista una forte componente placebo). Al che la domanda: che senso aveva iniziare studi del genere?

Non c'è solo l'omeopatia. Negli USA (e non solo) ha avuto successo il Reiki, una pratica anche nota coma "medicina energetica" che in alcuni casi pretende di riuscire a convogliare con una mano l'energia di guarigione, attinta da una fonte non meglio precisata nota come 'fonte universale', direttamente nel paziente. Sempre nell'ambito della medicina energetica abbiamo anche il "tocco terapeutico".
Anche qui sono stati condotti studi clinici (!?) che si sono conclusi con un nulla di fatto circa la pretesa utilità delle stesse. Il problema è che ancora oggi un certo numero di ospedali in USA hanno al loro interno luoghi in cui si pratica il reiki e che portano avanti studi clinici su di essi. 
Ma non sono i soli; basta dare uno sguardo al sito ClinicalTrials.gov (in cui sono registrati tutti gli studi ufficiali in corso) per vedere che reiki, tocco terapeutico, omeopatia, riflessologia, terapia cranio-sacrale, agopuntura, e altre modalità più o meno fantasiose sono oggetto di studio.

La scienza clinica (o medicina basata sull'evidenza - EBM) presuppone che se un trattamento sperimentale non abbia accumulato tutta una serie di evidenze sostanziali non possa accedere allo stadio di RCT. Questo perché uno studio clinico costa tempo, soldi e fatica oltreché risorse umane come quella dei volontari (sani o malati che siano). Se se ne abusa, altri studi meritevoli non potranno essere fatti appunto perché le risorse sono per definizione limitate.

La plausibilità biologica è l'elemento centrale che deve guidare l'accesso al RCT. Attenzione però.
Dire che qualcosa è "biologicamente plausibile" non implica "conoscere l'esatto meccanismo". Vuol "solo" dire che il meccanismo ipotetico non viola leggi e teorie scientifiche che poggiano su basi ampiamente provate e consolidate. Nel caso specifico, l'assunto base dell'omeopatia viola molte leggi della fisica dato che presuppone la memoria dell'acqua. Questo dovrebbe de facto eliminare anche solo il prendere in considerazione l'omeopatia come pratica medica.
Non a caso alcuni autori spingono per aggiornare il termine EBM nel nuovo SBM, cioè "science based medicine". In questo modo il fuoco viene spostato sui dati scientifici e non su ciò che appare. Forse un passo estremo, ma è la conseguenza dell'inquinamento dell'EBM causato dall'ammissione di pratiche non scientifiche dentro gli studi clinici. 
Non si tratta di una mera discussione di termini. Il punto centrale è se sia etico esporre soggetti sani o malati a pseudoscienza.
Un esempio classico degli effetti dannosi lo si è avuto esponendo soggetti con tumore al pancreas ad una terapia alternativa basata su un radicale cambiamento del regime alimentare fatto mediante succhi di frutta, grandi quantità di integratori e perfino clisteri di caffè. Lo studio inizialmente condotto con modalità da doppio cieco e randomizzato, è stato successivamente modificato in "aperto", cioè il paziente sceglieva se usare la terapia ufficiale o quella "alimentare". Quando i dati sono stati infine pubblicati, i risultati sono apparsi da subito inquietanti. La sopravvivenza ad un anno (il cancro del pancreas è tra i peggiori tumori) si è ridotta di quattro volte nei soggetti del gruppo "alimentare" rispetto a quelli trattati normalmente. Non solo come sopravvivenza ma anche usando parametri chiave come QoL (qualità della vita dei mesi di sopravvivenza).
Questo è un esempio di uno studio che non avrebbe mai dovuto essere approvato. Resta sempre libera la scelta di un individuo capace di intendere e volere su quale trattamento iniziare, ma non è accettabile che si siano spesi milioni di dollari pubblici per questo studio.
Tutti gli studi clinici, non solo RCT, dovrebbero essere basati su evidenze precliniche o derivanti dalla pratica medica scientificamente supportati, che li giustificano; meglio ancora se supportati con biomarcatori per guidare la selezione dei pazienti e il follow-up
Solo se le evidenze sono tali da giustificare l'inizio di uno studio clinico, allora coinvolgere soggetti umani nella sperimentazione diventa anche una scelta eticamente giustificabile.

Quanto scritto lo abbiamo visto in azione in Italia pochi mesi fa. Sull'onda mediatico popolare di Stamina sono stati attivati studi clinici basati sul nulla e che sono finiti nel nulla. Purtroppo il nulla non è stato sufficiente per alcuni, dato che hanno imposto la continuazione del trattamento. Ma questa è una storia di cui abbiamo già parlato (qui).

(articoli preceedenti sul tema in questo blog qui e qui)

Fonte
- Clinical trials of integrative medicine: testing whether magic works?
 Trends in Molecular Medicine Volume 20, Issue 9, p473–476, September 2014

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