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Virus "antibiotici"

In un precedente articolo accennavo ai virus batterici (batteriofagi) e al loro potenziale utilizzo in sostituzione e/o in aggiunta alla terapia antibiotica standard.
Un argomento attuale, sebbene l'idea di usare i batteriofagi a scopo terapeutico risalga a diverse decine di anni fa, data la sempre maggiore diffusione di batteri multi-resistenti agli antibiotici; un problema causato dal prolungato errato utilizzo, nei tempi e nei modi, degli antibiotici (senza prescrizione, per tempi inadeguati e perfino per la terapia di malattie virali!!). 
Il fago T4 in una immagine classica (®textbookofbacteriology.net)
I batteriofagi sono virus ampiamente studiati grazie ad i lavori pioneristici di Frederick Towrt nel 1915 e di Félix d'Hérelle nel 1917. Si tratta di virus molto diffusi che svolgono una funzione duplice nell'ecosistema batterico: mantengono sotto controllo la popolazione batterica; favoriscono la trasmissione genica orizzontale (scambio di materiale genetico fra batteri). In effetti è in  parte proprio grazie a quest'ultimo aspetto, e alla presenza di virus lisogeni (infezione non litica), che la resistenza agli antibiotici si propaga fra un ceppo batterico e l'altro.
Simpatica comparazione tra ciclo mitico e ciclo lisogeno indotto da alcuni virus batterici
(credit: amoebasisters.com)


T4 al computer (®cell.com)
Attenzione però a non confondere la modalità della diffusione della resistenza con le cause che hanno permesso l'emergere della resistenza. La diffusione di un qualunque carattere associato ad un vantaggio selettivo è un processo del tutto naturale.
Batteri resistenti agli antibiotici (®USA Today)

Il problema è a monte: per anni le persone hanno utilizzato male (leggi in modo inefficace o, peggio, inutile) gli antibiotici e tale cattivo  utilizzo ha favorito la diffusione di ceppi resistenti; inoltre per sua stessa natura l'ambiente ospedaliero ha "concentrato" in un'area ristretta una massa critica di batteri resistenti che hanno avuto vita facile a scambiarsi le diverse resistenze prima e a diffondersi nei frequentatori dell'ospedale poi.
I virus batterici sono quindi il mezzo e non la causa prima della diffusione della resistenza. Questo loro aspetto neutro li rende all'opposto delle armi micidiali per invertire la diffusione dei batteri resistenti.
Come? Attraverso la diffusione di virus litici in grado di eliminare rapidamente e specificamente i batteri bersaglio; questo approccio permetterebbe di evitare gli effetti collaterali tipici degli antibiotici classici ad ampio raggio. I batteriofagi inoltre sono in grado di contrastare le difese che i batteri attivano mutando, attraverso un identico processo di adattamento.
Mentre scrivevo quest'ultima frase già immagino la domanda fatidica: ".. e se poi il batteriofago muta e diventa capace di infettare l'uomo?".
Capisco l'obiezione ma è totalmente inconsistente per motivi spiegati nei corsi base di biologia (già al liceo):
un virus batterico NON può in alcun modo e qualunque mutazione acquisisca, infettare e tanto meno in una cellula eucariote (cioè funghi, piante, protisti, noi ... insomma tutto ciò che NON è procariote).
Una dimostrazione pratica senza tanti dettagli biomolecolari? Viviamo in un ambiente ricco di virus batterici; di più, ne ospitiamo un numero considerevole nel nostro intestino. Per loro noi "non esistiamo" in quanto non vedono proprio le nostre cellule. L'unico danno che un virus batterico potrebbe farci è essere così "di bocca buona" da fare fuori tutti i batteri intestinali. Il risultato sarebbe identico all'effetto collaterale di quando assumiamo antibiotici, cioè la necessità di assumere fermenti lattici per ricostituire la flora batterica

Torniamo allora all'idea di sfruttare i batteriofagi come nuovi antibiotici.
Una idea non nuova ma studiata negli anni '30 sia in Germania che in Unione Sovietica, poi abbandonata (tranne se non ricordo male in Georgia), perché meno conveniente rispetto agli antibiotici molecolari divenuti comuni alla fine degli anni '40.
Ma come dice Timothy Lu del MIT "ci sono oggi le condizioni per una rinascita dell'approccio fagico grazie alle tecniche di ingegneria genetica ora disponibili [e dalle necessità attuali]".  "Tecniche" aggiunge Mark van Raaij del CNR spagnolo," che permettono di smontare e rimontare il fago a proprio piacimento".

Quali sono allora i problemi principali che frenano lo sviluppo?
  • Il primo è di tipo economico. Le industrie farmaceutiche sono restie ad investire soldi in un'area in cui la possibilità di generare brevetti è limitata a causa della "notorietà" delle conoscenze associate. Ricordo che per depositare un brevetto la tecnologia proposta deve essere "nuova e non nota alle persone del campo". Il che diviene problematico quando le conoscenze del campo si basano su innumerevoli studi  condotti negli ultimi 90 anni. In altre parole no brevetti-no ritorno degli investimenti = investimento in perdita.
  • Il secondo problema è legato alla approvazione degli enti regolatori. Né la FDA (USA) ne la EMA (EU) hanno elaborato un protocollo che consenta alle biotech di affrontare tranquillamente (cioè in modo da essere sicuri di non ricevere contestazioni da parte di tali enti) lo sviluppo di combinazioni fagiche necessarie per affrontare in tempi rapidissimi l'emergere di batteri resistenti (senza aspettare che si evolvano naturalmente).
Alcuni esempi applicativi
  • nel 2009 Lu e Collins crearono un virus in grado di infettare batteri resistenti al quinolone; il virus modificato portava un gene che impediva al batterio di riparare i danni genetici causati dall'antibiotico. Il risultato fu impressionante: il trattamento virus più quinolone aumentò l'efficacia dell'antibiotico di 10.000 volte, di fatto impedendo sul nascere la comparsa di batteri resistenti (--> PNAS).
  • Nel 2012 Udi Qimron della Università di Tel Aviv mostrò che aggiungendo un batteriofago modificato a batteri resistenti alla streptomicina e all'acido nalidixico diversi giorni prima dell'antibiotico, la sensibilità all'antibiotico veniva ripristinata. Grazie a questi dati Qimron sta ora pensando di trattare direttamente i ferri chirugici con i fagi. Questo approccio assicurebbe una efficacia pressochè totale al trattamento antibiotico standard di prassi dopo l'intervento. Oltre al vantaggio di efficacia questo approccio faciliterebbe il percorso di approvazione: non si tratterebbe più di fagi da somministrare ad esseri umani ma di un trattamento per gli strumenti medicali.
    Quest'ultimo approccio si avvale del finanziamento fornito dalla Bill & Melinda Gates Foundation.
E siamo solo all'inizio

Aggiornamenti
2019. Un libro sulle potenzialità dei batteriofagi in clinica è "The Perfect Predator" di Strathdee & Patterson. Il lavoro a cui è ispirato è riportato in un articolo su The Verge.
2020. Un articolo divulgativo interessante sul newyorker

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Articolo sull'argomento
Lauren Gravitz   Nature Medicine 18, 1318–1320 (2012)

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