"Too much information is even worse than no information at all," mi disse un saggio. Io voglio correggere questo detto cercando di recuperare dalla "nuvola" scientifica (life sciences & astronomia in primis) alcune fra le notizie più interessanti ma sconosciute ai più, a causa dell'appiattimento dei media generalisti sulle stesse identiche notizie di agenzia.
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Un "urlo" per riposizionare l'antenna della sonda Voyager 2
Riporto in prima pagina la missione Voyager, le cui sonde sono in viaggio da 45 anni.
Credit: NSSDC NASA
L’aggiornamento odierno riguarda Voyager 2 che qualche settimana fa era apparentemente ammutolita. Con ragione in effetti. Si scoprì quasi subito, che la la causa era un errore nella stringa di comando inviata il 21 luglio dalla Terra, che causò uno spostamento di due gradi dell’orientamento dell’antenna.
Due gradi può sembrare poco ma se il segnale arriva da una sonda distante 19,9 miliardi di chilometri equivalgono a … parlare al vuoto.
In un primo momento si era stimato che l’errore non avrebbe potuto essere corretto prima del 15 ottobre, data in cui la Voyager 2 avrebbe dovuto effettuare una manovra di riallineamento automatizzata. Ma, come si dice, la necessità aguzza l’ingegno e il 1 agosto gli ingegneri della NASA hanno usato la rete di osservatori terrestri che formano il Deep Space Network (DSN) per rilevare l’onda portante proveniente dalla Voyager 2.
Nota. ricordo che il Deep Space Network equivale ad avere, come copertura e risoluzione (dopo interpolazione) un rilevatore del diametro del pianeta Terra.
La rete di telescopi che forma il DSN
Come la rete DSN viene usata per parlare con le varie sonde
Sebbene il segnale fosse ancora troppo debole per leggerne i dati trasmessi, l'averne intercettato la portante era la prova che si poteva inviare un messaggio alla sonda… purché “urlato” (sic!).
Operazione eseguita il 4 agosto dal JPL (produttore e gestore di Voyager) mediante il DSN.
Ci sono volute 18,5 ore di viaggio alla velocità della luce perché il messaggio arrivasse a destinazione e 37 ore in totale perché i controllori della missione verificassero che il messaggio era stato ricevuto e, soprattutto, interpretato correttamente riposizionando l’antenna. Nella notte del 4 agosto Voyager 2 ha iniziato a restituire dati scientifici e di telemetria indicando che stava funzionando normalmente e che era nella traiettoria prevista.
Fonte
- NASA Mission Update: Voyager 2 Communications Pause
Quando scrissi l’articolo sulla uscita dei due Voyager dal sistema solare pensavo fosse il capitolo finale di una avventura durata (ad oggi) 45 anni. In fondo una volta usciti dalla eliosfera, con poca energia rimasta e “nessun incontro ravvicinato” previsto (fatto salvo qualche membro fuggito dalla nube di Oort o, per miracolo, il fantomatico pianeta 9) non ci sarebbe stato molto da aggiungere alla già raggiunta gloria.
In una rotta che porta sempre più lontano dal Sole si sapeva già in fase di progettazione che l’energia non avrebbe potuto essere ricavata da pannelli solari ma si doveva sfruttare una batteria "atomica” (più precisamente dei generatori termoelettrici a radioisotopi di plutonio) che non è eterna e il suo esaurimento avrebbe richiesto (per preservare almeno la capacità di inviare messaggi) lo spegnimento di uno strumento scientifico, in aggiunta ai vari sottosistemi spenti nel corso degli anni.
La soluzione escogitata si è focalizzata sul sistema di backup per stabilizzare la tensione della corrente che alimenta i rilevatori così da proteggerli da sbalzi improvvisi. Si è optato per utilizzare questa potenza addizionale per alimentare gli strumenti scientifici anziché lo stabilizzatore.
Voyager 1 non ha per ora queste necessità (anche se in futuro potrebbe seguire la strada del fratello) in quanto perse uno dei suoi strumenti scientifici nelle prime fasi della missione, quindi meno energivoro.
Il miracolo di queste sonde è che furono progettate per una missione di quattro anni, il tempo sufficiente per avvicinare Giove e Saturno. Solo in seguito, dato l’allineamento dei pianeti che si ripete solo ogni 175 anni, si sfruttò questa finestra temporale per inviare Voyager 2 verso Urano e Nettuno. La sonda Voyager 1 avrebbe nei piani dovuto raggiungere Plutone ma si preferì inviarla su una rotta che intersecasse Titano, una delle lune di Saturno. Plutone ricevette infine la tanto attesa visita dalla sonda New Horizon nel 2015.
*** I dati inviati da Voyager 2 dopo avere attraversato il confine del sistema solare *** (04/11/2020)
Quando tutti davano per defunta Voyager 2 dopo la sua uscita "ufficiale" dal sistema solare (--> "Il viaggio di Voyager 2") ecco arrivare dallo spazio profondo un suo messaggio (del tipo "tutto ok").
Notevole se si pensa che è in viaggio da 43 anni (il lancio risale al 20 agosto 1977), con la missione di studiare la parte esterna del Sistema Solare. Il messaggio, risalente a fine ottobre, è stato captato dall'antenna radio terrestre Dss43 (Deep Space Station 43), sita in Australia.
Credit: NASA
Con i suoi 70 metri di diametro, le periodiche manutenzioni e i recentissimi aggiornamenti, la pur datata Dss43 continua a svolgere il suo lavoro, in concerto con altre antenne della rete NASA site in California e vicino a Madrid.
E' stato proprio al termine di uno di questi aggiornamenti che i tecnici hanno testato la funzionalità dell'antenna inviando una stringa di comandi a Voyager 2, che dopo qualche ora (ci vogliono 16 ore per raggiungerla) ha risposto di averli eseguiti correttamente.
Chissà mai che uno dei prossimi messaggi che riceveremo da Voyager sia riferito al fantomatico Planet 9 (no, NON si tratta della storpiatura del titolo del film di Ed Wood "Plan 9 from outer space") che verosimilmente non esiste; una delle ipotesi alternative atte a spiegare l'effetto gravitazionale sui pianeti esterni è che sia dovuto ad una miriade di piccoli planetoidi nella zona nota come Nube di Oort.
Quale è la fonte d'energia per comunicare e fare rilevazioni ad una tale distanza da qualunque sorgente luminosa?
Entrambe le sonde Voyager sono dotate di generatori plutonio-238 MHW RTG (Multi-Hundred Watt Radioisotope Thermoelectric Generators) che forniscono tutta l'alimentazione necessaria.
Ciascuna sonda ha tre di questi generatori. Ogni RTG fornisce circa 157 watt (quando è nuovo di zecca) il che significa per i primi anni di viaggio poteva contare su circa 470 watt di potenza.
Il lancio è avvenuto nel 1975 e da allora il plutonio (con un tempo di dimezzamento di 88 anni si è consumato solo in minima parte).
Il fattore limitante non è quindi il plutonio ma le termocoppie di silicio-germanio che trasformano questa energia in corrente elettrica utilizzabile dalla sonda. Il loro problema è che essendo esposte direttamente al flusso di neutroni proveniente dal decadimento del plutonio si danneggiano e questo spiega come mai a soli 40 anni dal lancio la potenza residua sia scesa al 25% di quella originale. L'energia residua è appena sufficiente per mantenere accesi i riscaldatori della navicella e inviare ancora un segnale da 19 watt alla Terra e fare poche altre rilevazioni.
*** 8/11/2019 ***
È passato circa un anno da quando Voyager 2 ha varcato i confini del sistema solare nel suo moto senza fine all'interno della galassia. Un passaggio anticipato qualche anno prima da Voyager 1; sebbene lanciati a poche settimane di distanza l'una dall'altra nel 1977 le due sonde hanno seguito rotte diverse, da qui l'ampio sfasamento temporale.
E' di pochi giorni fa la pubblicazione di una serie di articoli sulla rivista Nature Astronomy in cui sono riportati i dati raccolti durante il passaggio in questo invisibile confine. I dati arrivano solo ora sia perché è stato necessario attendere il loro arrivo sulla Terra (19 ore circa) e soprattutto elaborarli ed analizzarli (mesi di lavoro). Inoltre lo strumento preposto, Plasma Science Experiment, ha funzionato correttamente solo su Voyager 2 (la versione montata su Voyager 1 ha smesso di funzionare ben prima del previsto)
La prima cosa che emerge è che l'uscita di Voyager 2 è stata molto più "pulita" rispetto alla gemella Voyager 1.
L'uscita di Voyager 2 è avvenuta "ufficialmente" il 5 novembre 2018 quando lo strumento registrò una improvvisa riduzione delle particelle del "vento solare" (provenienti quindi dall'interno, cioè dal Sole) e un aumento parallelo di quelle associate ai raggi cosmici (provenienti da fuori, dalla galassia) e del campo magnetico interstellare.
credit: NASA via space.com
Nel loro insieme, questi dati indicavano che la navicella spaziale era passata oltre la "sfera" d'influenza del nostro sole, un confine noto come eliopausa.
Nota. L'eliopausa ha una definizione vaga del tipo il punto di inizio dello spazio interstellare. E' anche definita come il limite esterno della eliosfera.
Le due Voyager sono le prime e uniche, al momento, macchine costruite dall'uomo ad aver raggiunto lo spazio interstellare.
Sebbene in punti diversi (la distanza è di circa 165 UA), il traversamento dell'eliopausa è avvenuto a distanze dal Sole tutto sommato simili (su scala del sistema solare, ovviamente): 121,6 UA per Voyager 1 e 119 UA per Voyager 2 (ricordo che UA sta unità astronomica ed è la distanza media della Terra dal sole -->"Definito il valore esatto di 1UA" ). Grande differenza invece nel tempo necessario per traversare questo confine: 28 giorni per Voyager 1 meno di 1 giorno per Voyager 2.
La ragione non è ben compresa ma sembra che Voyager 1 sia stato l'unico ad avere incontrato una cosiddetta regione di stagnazione, ampia 8,6 UA, una zona cioè dove il movimento del plasma attorno al veicolo spaziale è quasi nullo (un dato ricavato da altri strumenti a bordo visto che, come detto, il Plasma explorer era rotto). Voyager 2 non ha incontrato nulla di simile ma una regione definita di transizione in cui il flusso di plasma (alias gas ionizzato) proveniente dal sole inizia a cambiare in forza e direzione fino a che incontra uno "strato limite" in cui i flussi provenienti dall'esterno aumentano fino al culmine dell'eliopausa.
La ragione di questa differenza (nelle regioni incontrate) non è chiara. Potrebbe essere conseguenza di una riduzione dell'attività solare (il ciclo solare dura 11 anni) per cui quando Voyager 2 si avvicinava al confine l'eliopausa si stava muoveva verso l'interno.
Interessante il fatto che le distanze di uscita delle due sonde siano mappabili a distanze simili (nonostante la distanza tra esse), pur in presenza di livelli significativamente diversi di attività solare. Il che fa sorgere interrogativi sulla possibile struttura dell'eliosfera: una "bolla" sferica o qualcosa di più simile ad una cometa, con una coda che si estende all'indietro indietro a causa del movimento del sole attraverso la galassia?
Interrogativi a cui si spera potranno contribuire le nostre due viaggiatrici, la cui attività è prevista durare ancora per un altro decennio.
***Aggiornamento giugno 2020***
Grazie all'utilizzo dei dati ottenuti dalla sonda IBEX della NASA durante un intero ciclo solare, si è potuto studiare come varia l'eliosfera nel tempo. Il ciclo solare dura circa 11 anni, durante il quale il Sole alterna fasi di bassa ed alta attività. I ricercatori erano curiosi di capire come queste variazioni si ripercuotessero ai confini del sistema solare. I risultati mostrano in grande dettaglio le variazioni della parte esterna dell'eliosfera esterna. I dati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Supplements il 10 giugno 2020. Di seguito un video riassuntivo creato da NASA/Goddard
"Un libro non merita di essere letto a 10 anni se non merita di essere letto anche a 50" Clive S. Lewis
"Il concetto di probabilità è il più importante della scienza moderna, soprattutto perché nessuno ha la più pallida idea del suo significato" Bertrand Russel
"La nostra conoscenza può essere solo finita, mentre la nostra ignoranza deve essere necessariamente infinita" Karl Popper
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