Rilevare la presenza di forme di vita sarebbe complicato perfino sul “vicino” Marte figuriamoci in pianeti distanti (molti) anni luce da noi. Meglio una soluzione indiretta cioè cercare dei marcatori ambientali rilevabili con gli attuali telescopi (e successiva analisi spettroscopica), ad esempio molecole prodotte, anche se non in modo univoco, dall’attività biologica. Tra gli strumenti oggi disponibili per questo tipo di analisi il telescopio orbitale James Webb Space Telescope, arrivato a gennaio al punto di Lagrange 2 e in procinto di iniziare la sua attività di analisi.
Nota. L'analisi viene fatta durante il passaggio del pianeta davanti alla sua stella. È in questa fase che i contorni del pianeta forniscono informazioni sulla presenza e tipologia dell'atmosfera.
Image credit: exoplanets.nasa.gov
L’ossigeno è chiaramente la prima molecola che verrebbe in mente per cercare tracce di vita, ma la sua rilevazione non è semplice (e univoca) a grandi distanze. Sarebbe inoltre riduttiva perché escluderebbe dalla rilevazione pianeti con vita primordiale, come era la Terra prima dell'evento noto come Grande Ossigenazione, avvenuto circa 2 miliardi di anni fa.
Discorso simile per l'acqua, sia per limiti analitici (vedi l'articolo di Ethan Siegel sul tema) che per la divisione nel mondo accademico circa la idoneità di pianeti oceano a permettere la comparsa della vita (vedi articolo su Scientific American).
Molto meglio il metano atmosferico che è più semplice da rilevare e non vincolato alla sola presenza di organismi aerobi (sebbene anche da questi prodotto in date circostanze).
L'analisi spettrografica di un pianeta distante 870 anni luce da noi fatta dal telescopio Spitzer (oggi pensionato). Pur essendo un gioviano caldo (quindi di sicuro non adatto alla vita) è da menzionare in quanto è il primo esempio di esopianeta ricco di carbonio. I dati ottenuti indicano che l'atmosfera di questo pianeta ha monossido di carbonio, metano in eccesso e poco vapore acqueo. Image credit: NASA |
Come potrebbe apparire l'analisi dell'atmosfera della luna Europa fatta dal JWST (image credit: NASA-GSFC/SVS) |
Il potenziale informativo (specie nella banda infrarossa) di pianeti distanti decine di anni luce (image credit: discussion on Quora) |
Il metano è chiaramente solo un pezzo del puzzle, i cui tasselli comprendono la geochimica, l’interazione con la sua stella e i tanti processi che possono influenzare l'atmosfera di un pianeta.
Dato che il metano come biomarcatore può essere inficiato dalla produzione naturale (leggasi abiotica) dello stesso, servono linee guida per rimuovere "il fondo" dall'eventuale componente biologica. Viene in aiuto lo studio pubblicato questo mese sulla rivista PNAS.
L'articolo verte sull’analisi di una varietà di fonti non biologiche di metano, analizzate anche nel contesto delle condizioni atmosferiche per stabilirne la stabilità.
Tra le fonti non biologiche ben note (leggasi presenti sulla Terra) annoveriamo vulcani, dorsali oceaniche, camini idrotermali, zone di subduzione tettonica e perfino da comete e asteroidi.
Punto chiave è l'instabilità del metano nell'atmosfera (a causa di reazioni fotochimiche) il che implica che la sua presenza, deve avere una spiegazione "recente".
Ad esempio si stima che su Marte il metano possa permanere per circa 400 anni. Da qui l'ipotesi che, in assenza di attività vulcanica da eoni, la quantità ancora oggi rilevabile possa essere attribuita a microbi nel sottosuolo oppure al rilascio del metano intrappolato nelle rocce.
In altre parole se vengono rilevati livelli significativi di metano su un pianeta roccioso, devi prima rimuovere tutte le fonti non biologiche e da qui fare la tara di quanto rimane. Se una volta normalizzato per vulcani (geologia, etc) i valori non coincidono allora ci sono buone evidenze che possa esistere in loco una attività di produzione, possibilmente, biologica.
Questo calcolo vale per i pianeti siti nella zona abitabile ma non per quelli orbitanti oltre la “linea del ghiaccio” che notoriamente (vedi Plutone e alcune lune) abbondano di metano pur in assenza di attività tettonica. La ragione è che il metano è la forma termodinamicamente più stabile in cui può esistere l’atomo di carbonio all’interno di una atmosfera riducente e ricca di idrogeno. Facendo il discorso opposto, se le condizioni sono diverse (presenza di ossigeno e ozono, cioè ambiente ossidante, e CO2) il metano diventa un potenziale biomarcatore.
image credit: cdn.britannica.com
Usando la Terra come riferimento (con tutti i limiti che questo comporta), la presenza di metano nell’atmosfera è riconducibile in primo luogo all’attività biologica e questo fin dagli albori della vita, essendo tale metabolita tra i più semplici da produrre. Il perfetto esempio di organismi che producono metano in ambiente anossico sono i metanogeni le cui due reazioni chiave sono la fermentazione dell'acetato verso CO2 e CH4, e l'ossidazione di H2 a produrre H2O. In senso "opposto" procedono i batteri metanotrofi che ossidano il metano a metanolo e poi formaldeide convertita infine ad acido acetico.
Il ciclo del metano sulla Terra (credit: frontiersin.org) |
Altro punto importante è che il metano atmosferico originato da fonti non biologiche è sempre "in compagnia" del monossido di carbonio. Se vi sono microorganismi, quest'ultimo è il materiale preferito sia come deposito dell'energia chimica (ricavata altrove) che per fissare gli atomi di carbonio, il mattone della vita organica. Secondo le teorie più recenti i processi non biologici difficilmente sono in grado di generare atmosfere planetarie ricche sia di metano che di anidride carbonica e con poco o nessun monossido di carbonio.
Da qui le considerazioni sviluppate nell'articolo per cui su un pianeta roccioso in orbita attorno ad una stella simile al Sole, il metano atmosferico potrebbe fungere da biomarcatore se:
- l'atmosfera ha anche anidride carbonica;
- il metano è più abbondante del monossido di carbonio;
- non c'è una eccessiva presenza di acqua (reazioni acqua-rocce sono una fonte di metano). Come metro di riferimento consideriamo che sulla Terra l'acqua rappresenta lo 0,02% della massa totale.
Fissati i paletti minimi di cosa cercare, bisogna anche considerare che a causa di limiti intrinseci agli strumenti oggi disponibili, ci sarebbe un bias verso pianeti nella fase iniziale (microbica) dell'evoluzione, corrispondenti al nostro periodo Archeano, quindi un problema di falsi negativi. Il JWST dovrebbe migliorare la resa analitica.
Altre molecole con ruoli di biomarcatori sono state proposte e analizzate in altri articoli (vedi New Scientist, 2015)
Da ricordare che la presenza di idrocarburi a catena lunga non è sinonimo (solo) di vita. Un esempio ci viene dalla luna Titano la cui nebbia fatta di idrocarburi più lunghi del metano è il risultato di reazioni indotte dalla fotodissociazione del metano |
Fonti
- The case and context for atmospheric methane as an exoplanet biosignature
Maggie A. Thompson et al (2022) PNAS
- Exoplanet Biosignatures: A Review of Remotely Detectable Signs of Life
EW Schwieterman et al, (2018) Astrobiology, 18 (6)
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