Tra i mammiferi i cani sono la specie con la maggiore gamma dimensionale, ben riassunta dal confronto chihuahua e alani.
image credit: Kelly Makielski & Aaron Sarver |
Essendo un lupo (Canis lupus) il progenitore del cane (Canis lupus familiaris) la domanda è quando è comparsa la/le mutazione/i all'origine di questa varietà.
La domesticazione del cane (anche se oggi si pensa l'opposto cioè varianti di lupo con minore timore per gli umani e "pronti alla domesticazione") è avvenuta a più riprese in un periodo intorno a 30 mila anni fa in Eurasia, anche se non mancano indizi che spostano le lancette a qualche millennio prima.
Da considerare però che, anche ammettendo una certa differenza di taglia tra lupo selvaggio e domestico, la vera e propria esplosione della varietà in taglie e tipologie è da collocare agli ultimi due secoli quando sono state poste le basi per le razze canine moderne, che mostrano differenze di taglia fino a 40 volte.
Da circa 15 anni si crede che il gene chiave di tale variabilità sia IGF1 (un ormone della crescita), senza però che questa ipotesi sia stata formalmente confermata; gli studi di segregazione fenotipica identificato il gene come responsabile, ma mancavano le mutazioni (alleli) causali.
Finalmente il problema pare risolto e con la soluzione è venuta anche la riscrittura della radiazione evolutiva del cane: non più originato da un lupo qualsiasi ma da un lupo di piccole dimensioni (vedi sotto).
Lo studio, apparso pochi giorni fa sulla rivista Current Biology, ha infatti identificato in una porzione non codificante del gene IGF1 due alleli che danno origine al fenotipo "grande" e "piccolo".
Come è possibile che questi due alleli siano associati alla porzione non codificante del gene? La risposta è da cercare in un'ampia classe di molecole di RNA che hanno funzioni di regolazione dell'espressione genica, note come long non coding RNA (lncRNA). Nel caso in esame caso la variazione era a livello di un introne, nella zona in cui viene prodotto un RNA (chiamato IGF1-AS) che decorre antinsenso (antiparallelo) al mRNA di IGF1, con cui si sovrappone per 182 nucleotidi. Il risultato è il classico meccanismo di regolazione negativa mediante blocco della traduzione del messaggero e quindi riduzione della quantità di IGF1 disponibile. Riduzione dell'ormone della crescita equivale a riduzione della dimensione dell'animale.
L'analisi comparativa è stata condotta su circa 1430 sequenze geniche ottenute da 13 razze di cani, sia di recente che antico "lignaggio".
In sintesi sono state trovate due varianti di questo IGF1-AS, di cui una sola in grado di appaiarsi (quindi inibire) al mRNA di IGF1. I cani con due copie di tale allele pesavano meno di 15 chilogrammi, mentre due copie identificava i cani di taglia superiore ai 25 chilogrammi. La presenza di una copia ciascuno di entrambi gli alleli si associa alla taglia intermedia. A conferma dell'ipotesi lavorativa, i cani con due copie dell'allele "big"avevano anche più alto livello ematico di IGF1.
Conclusioni simili sono state ottenuti dall'analisi genomica di altri canidi (24 genomi di 11 specie, dallo sciacallo alla volpe); coyote, sciacalli, volpi etc hanno in gran parte due copie della versione "small". Il che fa ritenere che l'allele small sia evolutivamente molto più antico della versione "big".
Un punto di svolta alla narrazione evolutiva corrente sui cani, è venuta dallo studio del DNA di un lupo siberiano (Canis lupus campestris) di 54 mila anni fa, quindi ben antecedente il periodo in cui si colloca la domesticazione. Anche qui si è trovata evidenza della mutazione "small" ad indicare che l'origine dell'allele "dimensione cane" era preesistente all'esistenza del cane e che, per dirla in senso lato, l'evoluzione ha tenuto da parte questo allele senza selezionarlo né contro né a favore.
Comprensibile che in natura un predatore di maggiori dimensioni (per quanto abituato alla caccia cooperativa) avesse più probabilità di successo con prede di discreta stazza ma è anche vero che questo né diminuisce l'agilità e aumenta il fabbisogno calorico. Per tale ragione il mantenimento nel pool genico della popolazione dell'allele "small" permettesse un equilibrio dimensionale facilmente adattabile (in alcune generazioni) al variare delle condizioni dell'ambiente.
Non è chiaro quando si sia evoluto l'allele "corpo grande". Partendo dal presupposto che era presente nel lupo siberiano e che gran parte dei lupi (antichi e moderni) tendono ad averne due, la conclusione è che questo allele abbia fornito vantaggi competitivi al lupo.
Credit: Jocelyn Plassais et al, Current Biology (2022) |
Da qui l'idea che se l'allele small era già presente nel lupo e sia poi stato ereditato dal progenitore del cane, allora è verosimile che i primi lupi che si avvicinarono ai bivacchi umani fossero di piccole dimensioni, diversi dai lupi "classici". Il che ha senso anche come "accettazione" (non pericolo) da parte umana.
Nei millenni successivi (fino all'esplosione degli ultimi 2 secoli) la selezione umana operò per ottenere il cane più utile ai propri bisogni (pastorizia, caccia, guardia, ...) variando in modo inconsapevole la frequenza dell'allele small nella popolazione.
Questione risolta?
Non del tutto. Alla variante ora identificata si deve il 15% della variazione tra le razze canine, quindi altri geni svolgono un ruolo sinergico.
Fonte
- Natural and human-driven selection of a single non-coding body size variant in ancient and modern canids
Jocelyn Plassais et al, Current Biology (27 Jan. 2022)
Un legame basato sullo sguardo talmente importante da meritare la copertina di Science (ne ho scritto sull'articolo dedicato) |
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