Positivo il risultato di studi clinici preliminari per testare il primo vaccino peptidico contro il Sars-CoV-2 (denominato CoVac-1) progettato per indurre l'immunità cellulare (mediata dai linfociti T) invece di quella anticorpale (in cui gli attori principali sono i linfociti B). Dallo studio non sono emerse né criticità di sicurezza né problemi di efficacia, il tutto a fronte della capacità, intrinseca alla risposta cellulare, di essere meno sensibile al rischio varianti virali "invisibili".
Un tale vaccino, se e quando verrà validato da studi clinici più ampi, potrebbe offrire l'opzione di immunizzazione, che oggi manca, ai pazienti con carenze nella risposta linfocitaria B, ai quali i vaccini oggi in uso conferiscono scarsa o nulla protezione. Se usato come richiamo nella popolazione generale già vaccinata, potrebbe minimizzare il rischio di malattia e prolungare il tempo di copertura, essendo l'immunità cellulare meno labile di quella anticorpale.
Il vero vantaggio sarebbe però un'altro: è in grado di far fronte alle varianti del futuro dato che sfrutta molteplici bersagli virali.
Linfocita T (falsi colori). Credit: Credit: NIAID |
Lo studio di fase 1 (condotto su un campione ristretto, solo 36 soggetti) ha mostrato che una singola dose del vaccino inizia la cascata di eventi che porta all'attivazione dei linfociti T CD4+ e CD8+ in modo molto più marcato che in seguito ad infezione naturale e a vaccinazione. Dettaglio quest'ultimo non trascurabile perché sappiamo bene come in entrambi i casi la protezione conferita non sia di lunga durata e i casi di reinfezione non rari.
Da notare che a seguito della vaccinazione, in tutti i vaccinati si è registrata la comparsa di un nodulo indurito nel sito di iniezione; evento in sé innocuo e previsto data la presenza nel vaccino di un adiuvante (peptide sintetico XS15), che lega, attivandoli, i recettori Toll-like (TLR) 1 e 2 ed è immerso in un emulsionante (Montanide), necessario alla creazione di un deposito a rilascio lento e prolungato dell'antigene.
Riguardo all'antigene, il vaccino contiene sei peptidi risultanti dalla frammentazione del HLA-DR (antigene leucocitario umano DR) e di cinque proteine proprie del SARS-CoV-2 (S, N, M, E e ORF-8); il primo, membro della famiglia MHC, è coinvolto nel riconoscimento del TCR, il recettore sui linfociti T, mentre i 5 rimanenti sono il bersaglio che i linfociti T devono "imparare" (attraverso la selezione che avviene durante la maturazione immunitaria) a riconoscere.
In prospettiva i vaccini a cellule T potrebbero persino essere in grado di fornire una protezione immunitaria "abortiva" nel senso di essere capaci di bloccare sul nascere l'infezione prima ancora che compaiano i marcatori virali nei test. L'ipotesi formulata dopo la scoperta dell'esistenza di una popolazione di cellule T capaci di riconoscere un cluster di proteine virali non strutturali (RTC), necessarie alla replicazione virale.
Alcuni test sono stati condotti anche su pazienti che non possono sviluppare la risposta anticorpale indotta dai vaccini classici a causa di motivi genetici (agammaglobulinemia legata all'X), cancro (leucemia o linfoma) o per terapie concomitanti (farmaci anti-CD20 o terapie con cellule CAR-T)
Nello specifico un campione di 14 pazienti che rientrano nelle suddette categorie e in cui la vaccinazione classica usando l'antigene Spike non aveva avuto successo, ha confermato (in tutti i soggetti tranne uno) l'induzione della risposta a cellule T.
Con il fallimento (più che prevedibile) della politica zero-covid mirante alla eradicazione del virus e ad un futuro presente in cui il virus sarà endemico e la popolazione vaccinata nella quasi totalità, arriva il momento di un cambio di obiettivo: da vaccinazione mirante a impedire la diffusione del virus si passerà a booster finalizzati a minimizzare al massimo il rischio di malattia.
I vaccini "a cellule T" potrebbero essere lo strumento ideale sia in termini di efficacia che per il lungo tempo di copertura prevista.
Il vantaggio della immunità basata sui linfociti T (attivati anche da precedenti esposizioni a coronavirus di altro tipo) è nella loro capacità di riconoscere bersagli diversi e diversi tra un individuo e l'altro. Il che renderebbe vana la comparsa di varianti (Nature, 2022).
Fonte
- T-cell vaccines could top up immunity to COVID, as variants loom large
Nature/news (01/2022)
- A COVID-19 peptide vaccine for the induction of SARS-CoV-2 T cell immunity
Jonas S. Heitmann et al, Nature (2021)
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