Schermature di litio e "bio-stampanti" 3D per i futuri viaggi spaziali: schermatura e tessuti su misura per prevenire e affrontare le emergenze biomediche
Viaggiare nello spazio, anche "solo" verso il pianeta più vicino, non è cosa per tutti e, da un punto di vista meramente salutistico, non è una attività invidiabile.
Il viaggio, specie quelli prolungati al di fuori dell'ombrello protettivo della magnetosfera terrestre, esporrà gli astronauti ad una serie di pericoli (sia concreti che potenziali) su cui la NASA e l'ESA stanno lavorando da molto tempo con progetti dedicati (vedi gli articoli precedenti dedicati al tema e lo studio in Antartide).
Al netto di malfunzionamenti o incidenti (ad esempio collisioni con microasteroidi), per loro natura difficili da cancellare, si lavora per minimizzare i problemi reali con cui verosimilmente gli astronauti dovranno confrontarsi: radiazioni (cosmiche e solari); solitudine e coabitazione forzata in spazi ristretti; prolungata assenza di gravità (e a cascata la demineralizzazione ossea, etc) e ogni tipo di problema medico che dovesse sorgere la cui risoluzione non potrà venire dal ricovero al pronto soccorso o dall'intervento di un dentista. Vero che nell'equipaggio sarà sempre presente un responsabile medico ma questa persona dovrà essere autosufficiente con la strumentazione disponibile (ridotta per ovvie ragione di spazio) così da affrontare emergenze.
L'esempio delle radiazioni è il più semplice da visualizzare.
Gli astronauti che viaggeranno alla volta di Marte saranno esposti a dosi di radiazioni fino a 700 volte più alte di quelle sul nostro pianeta.
Credit: ESA |
Si stima che in un viaggio di sei mesi verso il pianeta rosso un astronauta potrebbe essere esposto ad almeno il 60% della quantità di radiazione massima totale oggi stimata lungo tutta la sua carriera.
Una volta arrivati sul pianeta le condizioni saranno solo un poco migliori (in assenza di rifugi sotterranei o adeguatamente schermati) data l'assenza di campo magnetico sul pianeta; i dati ottenuti da Mars Odissey indicano una dose di radiazione 2.5x e 50x quelle sulla ISS e sulla Terra rispettivamente.
Mappa globale di Marte che mostra i dosaggi stimati di radiazioni da raggi cosmici che raggiungono la superficie (image credit: nasa) |
Sebbene in un primo momento la componente radiazione solare sia stata minimizzata rispetto a quella cosmica c'è sempre il rischio imprevedibile legato ai brillamenti solari e la conseguente emissione di particelle ad alta energia, tutto concentrato in un breve lasso di tempo.
Gli astronauti che risiedono sulla ISS possono proteggersi da questi brillamenti perché una volta rilevata l’emissione dal centro di controllo, questi vengono fatti spostare verso aree ad alta schermatura all'interno della stazione e in caso di necessità si possono attuare manovre per posizionare la ISS in una orbita più interna, meglio schermata dal campo magnetico terrestre.
Quando ci si trova in viaggio nello spazio profondo non ci sono vie di fuga e l’unica copertura è quella della nave.
Il rischio, in assenza di opportune contromisure, di sviluppare tumori e malattie neurodegenerative è reale. Su questo aspetto i ricercatori della NASA lavorano da lungo tempo con studi comparativi sugli astronauti di cui quello sui gemelli (uno a terra e l'altro sulla ISS) ha rappresentato il meglio per la presenza del miglior controllo interno. Mancano però studi sull'effetto a lungo periodo.
L'ESA ha attivato una serie di collaborazioni con vari istituti europei che ospitano acceleratori di particelle, con lo scopo di riprodurre le radiazioni cosmiche.
Credit: ESA |
Bombardando cellule e materiali biologici con particelle ad alta energia a velocità prossime alla velocità della luce si sono messi alla prova vari materiali utilizzabili per il rivestimento della navetta. I risultati hanno indicato nel litio uno degli elementi più interessanti.
Dato che radiazioni e assenza di gravità favoriscono la demineralizzazione ossea, il rischio di fratture (o altro) causati da "banali" incidenti, aumenta, il che mette in evidenza la necessità di sviluppare trattamenti adeguati.
Tra i rimedi allo studio la stampa 3D di tessuti umani con cui produrre tessuti epiteliali (essenziali in caso di ustioni) e pezzi ossei disegnati ad hoc per trattare le fratture ossee conseguenza della osteoporosi.
Esempio di un osso prodotto mediante la stampa 3D (Image credit TUD via ESA) |
Il progetto, sponsorizzato da ESA e da Blue Horizon, e sviluppato da un team dell'università di Dresda (TUD), ha ottenuto i primi risultati con la produzione di di "biostampe" di pelle e ossa.
Senza entrare in troppi dettagli tecnici le cellule della pelle possono essere "stampate" usando il plasma sanguigno umano come un "bio-inchiostro" ricco di nutrienti, che ha il fondamentale pregio di essere prelevabile dagli stessi astronauti.
Il processo di "stampa" della pelle (video credit: TUD e ESA)
Lo svantaggio del plasma è nell'alta fluidità che lo rende difficile da usare in condizioni di assenza di gravità; per aumentarne la viscosità i ricercatori hanno aggiunto metilcellullosa e alginato, prodotti facilmente ottenibili da piante e alghe, la cui presenza è prevista nei futuri viaggi spaziali per garantire all'equipaggio autosufficienza alimentare oltre che produzione di ossigeno.
Per quanto riguarda la stampa del campione osseo, si sono utilizzate cellule staminali immerse nel suddetto bioinchiostro in presenza di fosfato di calcio con la funzione di supporto e cemento; una volta iniziata la crescita il calcio verrà riassorbito dalle cellule stesse.
La stampa del campione osseo (video credit: TUD e ESA)
L'osso in fase di crescita (Image credit: TUD e ESA) |
In mancanza di test condotti sulla stazione spaziale orbitale, i ricercatori hanno provato a stampare i tessuti artificiali in laboratorio ma "sottosopra" in modo da verificare la tenuta in condizioni sfavorevoli (vedi video seguente).
(video credit: TUD e ESA)
Il grande vantaggio di queste tecniche è nella assoluta biocompatibilità della biostampa, in quanto i mattoni costituenti saranno le cellule dell'astronauta stesso..
Si tratta solo di un primo passo nell'ambiziosa tabella di marcia per rendere le biostampe in 3D una realtà anche su una navicella spaziale.
La ricerca avrà ricadute anche sulla clinica terrestre permettendo di avere a disposizione pezzi di ricambio in tempi minori rispetto a quelli solitamente necessari per trovare un donatore compatibile.
Fonti
- Vedi i link associati al testo
Il libro di Andy Weir è molto più di un romanzo di fantascienza. Meglio definibile come hard-SF per il suo contenuto tecnico (forse troppo per chi non è del campo) ma che ben rende l'idea della complessità della sfida marziana per un futuro colono
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